CERNITI (de Cernitis, de Cernetis, Cernitus, Cernitti, Cemetti), Pietro
Nacque a Bologna da Giovanni probabilmente verso il 1270. Si dedicò allo studio del diritto civile frequentando l'università cittadina, dove già negli ultimi anni del XIII secolo iniziò a leggere extraordinarie in qualità di baccelliere, ma non poté tuttavia conseguire subito il dottorato in quanto il Collegio dei dottori bolognesi era allora deciso a non ammettere nuovi membri e di conseguenza rifiutava di esaminare gli studenti e di conferire loro la laurea. Il 14 dic. 1304 l'Università degli studenti, in accordo col Consiglio del Comune, impose ai docenti di esaminare e promuovere al dottorato tanto il C. quanto Giacomo Belvisi e Tommaso Marzaloli, che si trovavano nella stessa condizione, ma non pare che tale richiesta venisse subito accolta, in quanto nell'estimo del 1305 il C. è indicato insieme con i fratelli senza alcun titolo ed il primo documento conosciuto in cui gli viene attribuita la qualifica di legum doctor risale al 19 ott. 1306. Ancora più tarda fu la sua aggregazione al Collegio dei dottori giuristi, che avvenne probabilmente nel 1309 quando rimase vacante un posto per la morte di Basciacomare Basciacomari. Le convulse vicende politiche del tempo ebbero non poche ripercussioni sull'attività didattica, specialmente quando nel giugno del 1306 il cardinale Napoleone Orsini, essendo stato scacciato da Bologna dove si era recato come pacificatore in nome del pontefice, interdisse la città privandola del privilegio dello Studio; il C. si recò allora ad insegnare a Castel San Pietro, da dove fece ritorno nell'anno successivo riuscendo a convincere anche altri professori a riprendere l'insegnamento entro le mura di Bologna, nonostante che l'interdetto non fosse stato ancora tolto.
Questa sua dedizione al Comune ed allo Studio fece sì che venisse sempre confermato come professore di diritto civile e quando, nel novembre del 1321, contrasse una malattia degli occhi che non gli permise più di uscire nel freddo del mattino, ottenne di poter leggere al pomeriggio in ora per lui più comoda. Il Sarti ha avanzato l'ipotesi che perdesse addirittura l'uso della vista continuando perciò ad insegnare a memoria, ma l'appellativo di "memoriosus" che gli vien dato nell'iscrizione sepolcrale non sembra che esiga, necessariamente una tale spiegazione. Almeno per il 1321 ed il 1325 è sicuro che il C. lesse il Volumen con uno stipendio di 100 lire e da altre testimonianze risulta chiaro che i suoi interessi scientifici vertevano prevalentemente sulla materia feudale. Baldo lo definì come "magnus vir et magnae auctoritatis" e la sua scuola, che si trovava accanto a quella di Giovanni d'Andrea, ospitò scolari illustri fra cui Francesco Petrarca, il quale non diede tuttavia un giudizio troppo lusinghiero del maestro, forse perché tediato dal suo stile sentenzioso e dai troppi broccardi che ne infioravano le lezioni. Fra i suoi scolari è probabile che vi sia stato anche Bartolo, al cui esame di laurea il C. prese parte il 17 sett. 1334 assegnandogli come punto di discussione la legge Cod. 6,32,1.
L'attività didattica non fu l'unica occupazione del C., il quale partecipò alle vicende politiche del suo tempo e nel maggio del 1313 venne citato in giudizio dall'imperatore Enrico VII insieme con numerosi altri bolognesi colpevoli di aver favorito la ribellione dei Fiorentini. Ebbe anche incarichi pubblici da parte del Comune e si occupò di varie questioni inerenti all'università; così nel 1312 sentenziò, unitamente a Bliobarisio Azzoguidi, l'abrogazione della norma statutaria che vietava a quanti si fossero laureati a Bologna di insegnare in altre città; nell'agosto del 1316 fu tra i 25 "sapientes" incaricati di dare soddisfazione ai rettori degli studenti che, per protesta contro il podestà, si erano trasferiti ad Argenta; nel 1321 ebbe dal Senato della città, insieme con altri principali professori, il compito di ristabilire la normale attività dello Studio dopo che gli studenti avevano accettato di far ritorno da Imola dove si erano recati per una nuova controversia col podestà. Si ricorda anche una sua partecipazione alla revisione degli statuti comunali operata nel 1332.
Il C. possedeva due case a Bologna, dove abitava nella cappella di S. Alberto del quartiere di porta Ravennate, e parecchi altri beni in quel di Medicina, tanto che nel 1315 venne tassato per la somma di 1.500 lire. Il suo testamento porta la data del 12 giugno 1336 e contiene, oltre che legati a favore di chiese ed ospedali, lasciti per la moglie e le figlie Giovanna, Bartolomea, Lucia e Belda; un'altra figlia, Giacoma, era morta già prima del 1336. È incerto se fosse suo figlio quel Negro che nel 1317 andò in aiuto dei Padovani e fu fatto prigioniero da Cangrande Della Scala. Il C. morì a Bologna e fu sepolto il 13 dic. 1338 nella chiesa di S. Giacomo degli Eremitani; la lapide scolpita che ne ornava il sepolcro è una delle più note fra quelle dei lettori bolognesi e si conserva nel Museo civico di Bologna.
La produzione scientifica del C. ebbe notevole ampiezza, ma ci è pervenuta solo in piccolissima parte. Stando alle notizie del Fontana (Amphitheatrum legale, I,Parmae 1688, col. 214) ne sarebbero stati stampati nel corso del XVI sec. i Consilia, le Lecturae super Libris Feudorum, le Quaestiones iuris Bononiensis ed i Commentaria super Codice, ma si tratta purtroppo di notizie assai poco attendibili e l'esistenza di queste edizioni è quanto mai incerta. Di fatto si conoscono due suoi consilia che sono stati pubblicati nel Chartularium Studii Bononiensis (Bologna 1909, I, pp. 231, 235)ed alcune brevi quaestiones inedite (cfr. G. Dolezalek, Verzeichnisder Handschriften zum römischen Recht bis1600, Frankfurt a. M. 1972, ad Indicem). Di altre quaestiones è rimasta notizia attraverso le citazioni che ne fanno Giovanni d'Andrea ed Alberico da Rosciate. In particolare Giovanni d'Andrea nelle sue Additiones allo Speculum iudiciale di Guglielmo Durante attribuisce al C. le seguenti quaestiones: Titius cessit; Filio familias maiori XXV; Facta accusatione; Quidam fecit testamentum (cfr. Speculum, Venetiis 1566, parte 2, pp. 57, 564; parte 3, p. 62; parte 4, p. 584).Lo stesso autore (Speculum, cit., parte 4, p. 565e In titulumde regulis iuris novella commentaria, Venetiis 1581, c. 36v)afferma pure che il C. riprese e sviluppò una questione proposta da Martino Sillimano intorno alla reg. 65del titolo Deregulis iuris che chiude il Liber Sextus di Bonifacio VIII. Alberico da Rosciate (Commentariorum de statutis libri IIII, in TractatusUniversi Iuris, II,Venetiis 1584, c. 59v)ne ricorda un'ulteriore quaestio iniziante con le parole Statuto cavetur quod potestas, e Bartolo commentando Dig. 28,1,3 (Commentaria, III, Venetiis 1602, c. 83v)si rifà a quanto il C. aveva scritto intorno all'impossibilità di legittimare i figli illegittimi attraverso norme statutarie. L'attività del C. come glossatore dei Libri Feudorum è ampiamente testimoniata da Baldo e da Iacopo Alvarotti, ma la si conosce solo in minima parte attraverso le citazioni fatte da Baldo delle sue glosse ai Libri Feudorum 1,2; 1,24; 2,26; 236(cfr. E. A. Laspeyres, Ueber die Entstehung und älteste Bearbeitung der Libri Feudorum, Berlin 1830, pp. 423 s.).
Fonti e Bibl.: Il testamento del C., in pessimo stato di conservazione, si trova nell'Arch. di Stato di Bologna, Monastero di S. Giacomo, busta 7/1613, n. s. Altri docum. e notizie si ricavano da: Archivio di Stato di Bologna, Estimo 1304-05, busta 72; Estimo 1315-06, busta 175; Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 328: Matrimoni di famiglie nobili della città di Bologna ... cavati da una vacchetta d'Annibale Gozzadini, pp. 89, 100, 107; Bologna, Bibl. univers., ms. 2150, cc. 73r, 104r. Altri documenti ancora sono editi nel Chartularium Studii Bononiensis, I, Bologna 1909, p. 236; IV, ibid. 1919, p. 3. Inoltre si veda T. Diplovataccio, Liber de claris iuris consultis, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 240 s., 280; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, I, Bologna 1596, pp. 515, 525, 561, 568, 587, 595; G. N. Pasquali Alidosi, Li dott. bolognesi di legge can. e civile, Bologna 1620, pp. 189 s.; Id., Dichiaratione e corretione al libro delli dottori bolognesi di legge canonica e civile, Bologna 1623, p. 49; G. A. Bumaldi, Minervalia Bononiensium civium anademata, Bononiae 1641, p. 190; P. A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, p. 232; G. Pancirolo, De claris legum interpretibus, Lipsiae 1721, p. 124; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III,Bologna 1783, pp. 165 s.; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa università ... di Bologna, Bologna 1848, p. 92; C. F. Savigny, Storia del diritto romano nel Medio Evo, a cura di F. Bollati, I, Torino 1854, pp. 571, 597; O. Mazzoni Toselli, Racconti stor. estratti dall'Archivio criminale di Bologna, III,Bologna 1872, p. 87; C. Ricci, Monumenti sepolcrali di lettori dello Studio bolognese nei secc. XIII, XIV e XV, Bologna 1888, p. 15; M. Sarti-M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, Bologna 1888-96, I, pp. 293 s., 304 s.; II, pp. 339 s., 345 s., 355; F. Cavazza, Le scuole dell'antico Studio bolognese, Milano 1896, pp. 177 s.; F. Lo Parco, P. de' C. bolognese maestro di diritto di Francesco Petrarca, in Giorn. stor. d. lett. ital.,LII (1908), pp. 56-70; F. Filippini, L'esodo degli studenti da Bologna nel 1321 e il "Polifemo" dantesco, in Studi e mem. per la storia dell'univ. di Bologna, VI, Bologna 1921, pp. 140 s.; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto ital.,a c. di P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 857; G. Zaccagnini, La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna nei secc. XIII e XIV, Genève 1926, pp. 57, 165, tav. XII; F. Filippini, Cecco d'Ascoli a Bologna, in Studi e mem. per la storia dell'univ. di Bologna, X,Bologna 1930, p. 34; F. Lo Parco, Francesco Petrarca e Tommaso Caloiro all'univers. di Bologna, ibid., XI,ibid. 1933, pp. 86 ss., 106 ss., 129 s., 177; A Sorbelli, Il "Liber secretussuns caesarei", I,Bologna 1938, p. LIV; Id., Storia dell'univers. di Bologna, I, Il Medioevo, Bologna 1940, p. 97.