GIANNONE, Pietro Celestino
Nacque a Camposanto, piccolo comune sul Panaro nel Modenese, il 14 marzo 1791 (e non il 5 o 15 marzo 1792 come erroneamente riportato in quasi tutti i repertori biografici) da Michelangelo, caposquadra delle milizie ducali, e Maria Saveria Del Vecchio, entrambi originari del Regno di Napoli. Rimasto orfano all'età di tre anni del padre, morto prematuramente di tubercolosi polmonare, seguì la madre a Pievepelago nel Frignano, i "luoghi alpestri" dove trascorse buona parte della sua infanzia e dei quali ebbe sempre caro il ricordo.
Compiuti con risultati soddisfacenti gli studi a Modena presso il liceo pubblico di S. Bartolomeo, diciottenne si arruolò volontario nei cacciatori a cavallo dell'esercito del Regno Italico. Nel 1814 entrò con le funzioni di quartiermastro nella scuola di equitazione di Lodi, diretta da G. Foscolo, fratello del poeta Ugo, di cui il G. fece la conoscenza in modo sia pure superficiale. Insieme con la madre visse nella cittadina lombarda per un anno, anche dopo la soppressione dell'istituto, vantando la frequentazione dell'avvocato G. Visconti, proveniente da una delle famiglie più illustri della città.
Due anni dopo, avendo maturato idee patriottiche di libertà e indipendenza, aderì alla carboneria, iniziatovi da G. Rossetti e B. Sestini, poeti improvvisatori conosciuti a Napoli, dove il G. si era recato per risolvere una questione ereditaria. Presto però le attenzioni della polizia locale lo costrinsero, il 23 maggio 1820, ad abbandonare la capitale del Regno borbonico e a riparare a Lodi, dopo una breve parentesi romana in cui si era cimentato, con successo, con la poesia estemporanea. Sospettato di appartenenza alla carboneria e alla massoneria, fu arrestato verso la fine di agosto e dopo alcuni giorni espulso dal Lombardo-Veneto. Uguale sorte lo attendeva a Modena, dove giunse il 1° ottobre e dove comunque venne rimesso in libertà dopo una breve detenzione. Poté così riprendere l'impegno in accademie, molto apprezzate, di poesia estemporanea, fin quando il 23 febbr. 1821 non lo arrestarono ancora, con l'accusa di essere autore dell'inno patriottico dei carbonari Sei pur bella cogli astri sul crine e di un proclama in latino ai soldati ungheresi diretti a Napoli per reprimervi la rivolta.
Pesantemente interrogato dal capo della polizia ducale G. Besini (già poliziotto dei Borboni a Napoli, odiato per i suoi metodi brutali) e dal giudice istruttore P.E. Zerbini, il G., nonostante l'infondatezza delle accuse (la paternità della canzone patriottica era di G. Rossetti, quella del manifesto latino dei sublimi maestri perfetti di Parma e di Reggio), fu trattenuto in carcere, ove compose Le rimembranze, un poemetto lirico in versi polimetri scritto col carbone sul pavimento e sulle pareti della cella. Dopo otto mesi di carcere duro, nei primi giorni di ottobre fu emessa nei suoi confronti una sentenza assolutoria, che l'obbligava però a lasciare il Ducato di Modena entro un mese e a non farvi ritorno senza uno speciale permesso, pena l'arresto. Ebbe così inizio una vita errabonda, che fece del G. quasi un paradigma dell'esule politico cui il Giusti indirizzò nel 1848 i versi: "Ma tu, Pietro, poveretto / senza pane, senza letto / senza refrigerio / ventott'anni hai tribolato / ostinato nel peccato / dell'amor di patria!".
Partito da Modena nel gennaio 1822 (la rivide per poco nel 1848 e nel 1861), il G. cercò rifugio prima a Parma, che dovette lasciare dopo aver appreso da alcuni amici che la polizia ducale era sulle sue tracce, poi a Marsiglia e, dopo tre mesi, a Parigi. Qui condusse la vita di esule, impartendo lezioni private e ricavando qualche compenso come traduttore e pubblicista. Nella capitale francese frequentò uno dei patriarchi delle sette segrete, L. Angeloni (di cui apprezzava ed esaltava Dell'Italia uscente il settembre del 1818 e Della forza delle cose politiche), ed ebbe modo di conoscere personalmente N. Tommaseo, F.-R. de La Mennais e G.A.L. Fossati.
Nel 1826, recatosi a Londra per presentare il melodramma Maria Stuarda scritto per la famosa cantante Giuditta Pasta, il G. vi ritrovò l'Angeloni, il Rossetti e U. Foscolo, che l'avrebbe voluto come collaboratore nei lavori danteschi ma al quale dovette opporre un rifiuto a causa delle precarie condizioni di salute. Di nuovo a Parigi, fissò la propria dimora a Batignolles.
Nel 1829 il G. pubblicò a Parigi presso l'editore Delaforest la sua opera principale, L'esule, un poema di ispirazione romantica e patriottica composto di quindici canti polimetri, cui aveva cominciato a lavorare nel 1825 e che fu ristampato nel 1868, e dedicato a G. Garibaldi quale "esempio mirabile delle patrie antiche virtù".
È la storia di un esule, che fa ritorno in Italia spinto dal desiderio ardente della patria, pensata e scritta più con intenti di educazione civile che letterari. Incontrò infatti molta fortuna e tanto entusiasmo in specie tra i fuorusciti italiani e, benché poco organica, sproporzionata nelle sue parti e piena di enfasi, fu recensita con favore su L'Indicatore livornese del 25 genn. 1830 da G. Mazzini, che offrì al G. la sua amicizia. E del genovese il G. divenne presto non solo amico, ma anche fervido seguace, collaboratore tra i più attivi e preziosi, discepolo sempre fedele, anche quando alcuni esuli, dopo l'infausta spedizione di Savoia, gli proposero di sostituirsi al maestro.
Dopo aver combattuto nel 1830 sulle barricate parigine durante la Rivoluzione di luglio, nel settembre 1832 il G. aderì alla Giovine Italia e cominciò la collaborazione all'omonimo giornale e al periodico L'Esule. Sulle colonne di quest'ultimo pubblicò articoli di critica letteraria e l'ode La tortorella, ispiratagli dal commosso ricordo della visione, durante la prigionia del '21, della giovane moglie di Ciro Menotti che si aggirava nei pressi del carcere nella speranza di vedere, sia pure per qualche istante, il marito.
Agli inizi del 1833, alla vigilia della spedizione di Savoia, il G. si trasferì in Corsica per motivi di salute (provocando lo sdegno di Mazzini, che interpretò quella decisione come un rifiuto alla lotta), ospite dell'amico G. Multedo. A Bastia, con l'amicizia fraterna di S. Viale, il più grande poeta corso, e del romano P. Sterbini, si adoperò per tenere accesa la fiamma del patriottismo diffondendo e sostenendo il programma mazziniano. Risale a questo periodo il carme All'Italia nel quale esprimeva la propria gratitudine ("Grazie, Cirno ospitale!") verso l'isola che gli permetteva di contemplare le coste amatissime della patria.
Dopo più di un anno di permanenza in Corsica, ormai guarito, fece ritorno in Francia per riprendere, da fiero e ardente repubblicano, l'impegno nella propaganda politica attiva. L'acquisita certezza dell'incapacità dell'istituto monarchico ("per vizi congeniti") di assicurare l'unificazione del Paese lo induceva a puntare sul rafforzamento della Giovine Italia dopo averne accettato la presidenza della congrega centrale di Parigi. Seguendo l'esempio di Mazzini, che a Londra aveva aperto una scuola per i figli degli esuli italiani, istituì l'Unione degli operai con annessa scuola serale, di cui fu direttore e insegnante. E in questa attività di istruzione e di apostolato portata avanti tra gli operai veniva incoraggiato dal Mazzini, che attribuiva grande importanza al problema formativo e gli scriveva: "Bisogna realmente cominciare a utilizzare questi operai nel senso nostro […]. Insistenza, e attività, finiremo pure per vincere!".
Proseguendo nell'opera di proselitismo, il G. contribuì alla formazione di un comitato per l'indipendenza italiana e per la raccolta di fondi per i fratelli Bandiera, curò la pubblicazione di scritti mazziniani, assunse la vicepresidenza, insieme con F. Canuti, dell'Associazione nazionale italiana (costituita a Parigi il 5 marzo 1848 in sostituzione della Giovine Italia) e creò la Legione nazionale italiana, composta di 500 volontari, per recare aiuto alla rivoluzione lombarda.
Dopo ventisette anni di esilio, ai primi del maggio 1848, in compagnia di madame Cassarini (una signora francese rimasta vedova con cui conviveva) e del figlio A. Cassarini, ritornò a Modena, ma l'accoglienza riservatagli non fu delle più calorose ("il popolo ci guardava in cagnesco", scrisse nelle sue Note autobiografiche).
Se ne sfogava il 29 maggio 1848 con A. Vannucci, conosciuto a Parigi cinque anni prima: "Ti dirò che se non siamo stati dichiarati nemici della patria con qualche atto solenne del governo provvisorio, lo dobbiamo ad una specie di miracolo […]. Non solo eravamo accusati (vedi enormità!) di republicanismo, ma di communismo, ma di voler dare la povera nostra patria in mano a' Francesi! Capirai che nessuno di noi ha fatto una parola, un passo, un gesto per rifiutare la prima accusa […] ma le altre due sono incompatibili". E però, pur di averne l'appoggio, il governo provvisorio, con decreto 15 giugno 1848, lo nominò bibliotecario aggiunto della Estense, carica subito rifiutata dal G., che la accettò solo quando gli fu offerta dal nuovo governo municipale. Con ben altro entusiasmo lo accolse invece il Comune di Sassuolo, dove si era recato dietro consiglio dell'amico D. Gazzadi e dove il G. scrisse i Pensieri politici, un opuscolo contro l'annessione del Ducato di Modena al Piemonte, non suffragata dall'adesione popolare, che però non pubblicò in quel momento per non alimentare discordie.
Costretto a riprendere la via dell'esilio dal ritorno di Francesco V, si diresse quindi a Firenze, dove conobbe N. Bixio, G. Mameli e G. Giusti, che gli dedicò l'ode La Repubblica. 20 agosto. Dopo l'inutile raccomandazione del patriota S. Savini a G.P. Vieusseux, direttore dell'Antologia, perché gli trovasse un'occupazione, fu il presidente del Consiglio toscano G. Montanelli a nominarlo segretario dell'ambasciata toscana a Parigi. Qui visse per un certo periodo "senza un soldo e senza un pezzo di pane", non potendo riscuotere all'estero lo stipendio di segretario della legazione toscana (la situazione si sbloccò solo nel 1858). Lo soccorse in quell'occasione L. Pianciani, inviandogli denaro e offrendogli la sua casa di Batignolles.
Nel 1859 un'infermità impedì al G. di ritornare nella sua patria liberata, ma il dittatore L.C. Farini, grazie ai buoni uffici di A. Vannucci, L. Frapolli e V. Malenchini, gli assegnò una pensione annua di 3000 lire italiane quale riconoscimento "pei lunghi servigi prestati alla causa nazionale e per le opere dell'ingegno e della mente, colle quali aveva illustrato il suo luogo natio".
Della sua gratitudine il G. dava testimonianza nelle memorie autobiografiche in terza persona: "Quest'atto è tanto più generoso e mirabile in quelli che l'hanno consigliato e in chi l'ha compiuto, in quanto che il Giannone non ha dato passo, non mosso parola, non dettata una linea, perché qualcuno si ricordasse di lui".
Finalmente nel 1861 riuscì a rimpatriare e, dopo una breve sosta a Modena, si stabilì insieme con la sua convivente a Firenze, dove visse solitario, avversato dai monarchici e dai federalisti e abbandonato dagli amici repubblicani che si erano conciliati col nuovo regime. Anch'egli però finì presto per convertirsi "per fatale necessità" alla monarchia sabauda, avendo essa - come scriveva all'amico G. Campi il 6 apr. 1861 - l'esercito che occorre "a cacciare il nemico dalle nostre terre". Stanco e ammalato, gli era di conforto soltanto la poesia: proprio a questo periodo risale un componimento poetico crittografico, combinato di cifre, lettere e astrusi segni convenzionali, di cui a tutt'oggi non si è trovata la chiave. Dopo il trasferimento della capitale a Firenze, che non approvava, manifestò il desiderio di trasferirsi a Modena, ma ne fu impedito dalla salute ormai declinante.
Infatti il 24 dic. 1872, "povero ed incontaminato", si spense a Firenze e fu sepolto nel cimitero di San Miniato al Monte. Toccò ad A. Vannucci, che gli dedicò la sua opera I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, esaltarne nel discorso commemorativo la figura e l'opera ("fu il poeta consolatore degli esuli").
Fonti e Bibl.: Camposanto, Arch. parrocchiale, Libro n. 7 dei nati, p. 260; Modena, Museo del Risorgimento, Fondo mss., Carte Giannone; Arch. di Stato di Modena, Alta Polizia, b. 12, f. 4; L'Italia centrale, 10 maggio 1848; Il Panaro, 27 dic. 1872; 15 maggio 1874; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana, II, Milano 1878, pp. 208-230; Parnaso modenese (Liriche scelte di poeti modenesi contemporanei), a cura di A. Namias, Modena 1880, p. 804; T. Grandi, Ciro Menotti e i suoi compagni, o le vicende politiche del 1821 e 1831 in Modena, Bologna 1880, pp. 96-113; G. Silingardi, Ricordi della giovinezza di P. G., Firenze 1880; A. Chiappe, La vita e gli scritti di P. G., con l'aggiunta di alcuni documenti inediti, Pistoia 1903; F. Solerio, Il patriottismo di P. G. nella vita e negli scritti, Casale 1906; Ediz. nazionale degli scritti di G. Mazzini, Indici, II, ad nomen; G. Sforza, Il poeta P. G. in Lunigiana, in Giorn. stor. della Lunigiana, III (1911-12), pp. 24-31; G. Canevazzi, Fra due patrioti autentici (P. G. e G. Campi), in Rass. stor. del Risorgimento, IV (1917), pp. 794-809; C. Pariset, Lettere inedite di P. G. di Camposanto (Modena) allo scrittore e patriotta anconitano F. Barattani, ibid., XIX (1932), pp. 129-140; G. Mazzoni, L'Ottocento, I, Milano 1934, pp. 726-728; G. Botti, Vie e piazze di Modena, Modena 1938, pp. 162 s.; A. Morselli, Patrioti modenesi esuli in Corsica (1831-1859), in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 8, IV (1952), pp. 22 s.; Id., Per la biografia di P. G., in Atti e mem. dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Modena, s. 5, XIII (1955), pp. 3-9; Id., Fanciullezza frignanese del poeta dell'"Esule", in Rassegna frignanese, II (1957), pp. 24-31; A. Spallicci, P. G. e il suo poema l'"Esule", Torino 1958; A. Morselli, Pagine mute del poeta P. G., in Atti e mem. dell'Accademia naz. di scienze, lettere e arti, s. 6, III (1961), pp. 151-160; A. Barbieri, Modenesi da ricordare, II, Modena 1971, p. 58; G. Ragazzi, P. Giannone. Il travagliato esilio e l'impegno nella "Giovine Italia", Parma 1992; G. Bedoni, P.C. G., tra utopie e realtà politiche, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XVI (1994), pp. 347-380; M. Pecoraro, Ciro Menotti. Un uomo che fece l'Italia, Modena 1996, p. 24; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", F. Ercole, Gli uomini politici, II, p. 168; Enc. Italiana, XVI, sub voce; Grande Diz. encicl., IX, sub voce.