CARRERA, Pietro
Nacque a Militello (Catania) il 12 luglio 1573 da Mariano e da Antonia Severino. Il padre, un artigiano coinvolto nella crisi delle arti meccaniche, trovò nell'abito talare (da lui stesso indossato alla morte della moglie) una comoda soluzione ai problemi della famiglia: la più grande delle due figlie, Celidonia, rimasta nubile, fu fatta monaca di clausura e il C. venne mandato a studiare presso il seminario di Siracusa, con l'augurio di una promozione sociale da acquisire attraverso gli ordini sacerdotali. E difatti, ordinato sacerdote, il C. a partire dal 1601 fu cappellano della parrocchia di S. Maria della Stella in Militello, quindi maestro notaro nella locale corte vicariale e cappellano di Giovanna d'Austria, moglie del marchese di Militello e principe di Pietraperta Francesco Branciforte.
In stretta familiarità col marchese, il C. poté usufruire, per appagare la sua smania d'erudizione, della ricchissima biblioteca del Branciforte presto divenuta, insieme con un'efficiente "distillaria" (un laboratorio per ricerche di fisica), il centro di una libera accademia di dotte conversazioni per le quali s'invitarono persino letterati da fuori (e fra gli altri il sacerdote Niccolò Antonio Colosso di Messina, che guidò il C. nello studio della lingua greca). La velleità di F. Branciforte di fare di Militello un centro di cultura favorì la municipalistica iattanza di tanti eruditi di provincia, al servizio dei quali venne messa la tipografia di Giovanni Rossi fatto venire appositamente da Venezia. Ma chi più di tutti fece lavorare i torchi della tipografia fu la facile pennadel C. con una produzione bilingue (latina e volgare) nella quale avevano la stessa importanza erudizione, pretese letterarie, amore di campanile, cortigianeria e passatempo da prete avvezzo anche ad ameni intrattenimenti.
La prima opera del C. della quale si ha notizia è la Relazione delle chiese e figure della beata Vergine che sono in Militello, scritta intorno al 1608allo scopo di fornire notizie utili a Ottavio Gaetano che stava lavorando alla sua Idea sanctorum populorum.Nel 1610, secondo quanto asserisce il Mongitore, a Palermo apparve la prima ediz. dei Variorum epigramm. libri tres, di cui ci è pervenuta l'edizione del 1613(Venezia) che contiene in coda egloghe, odi ed elogi. Gli epigrammi, enfatici ed esuberanti, scritti in un latino da decadenza, sono interessanti per i riferimenti a talune costumanze popolari, nonché per i pudibondi accenni a scappatelle amorose non del tutto "sante" per un prete; di maggiore pregio letterario sono le egloghe e le odi. Ma prima del 1613 il C. aveva scritto il "carmen juvenile" (com'egli stesso lo chiama) Chorographia militellana:282esametri e pentametri descrittivi dedicati alla città natale. La prima opera stampata a Militello è Il gioco de' scacchi (1617), in otto libri, dedicata a F. Branciforte: trattato "utile a' professori del gioco" e "dilettevole agli studiosi per la varietà dell'erudizione cavata dalle tenebre dell'antichità". L'opera è accompagnata da due "discorsi" cavillosi ed encomiastici di Giambattista Cherubini e di Mario Tortelli; quest'ultimo scrisse pure gli "argomenti" premessi ai singoli libri. In polemica con il trattato carreriano Alessandro Salvio pubblicò a Napoli un'Apologia (1634), dalla quale il C. si difese in una Risposta fatta stampare a Catania nel 1635con lo pseudonimo di "Valentino Vespaio". Nella Risposta il C. insiste sulla necessità di considerare il gioco degli scacchi (al quale aveva dedicato anche un poemetto in esametri, la Pessopedia, andato perduto tranne pochi versi citati dallo stesso autore ne Il gioco de' scacchi)come "guazzadenti" e non come "pasto", nel malcelato tentativo di sminuire in qualche modo l'importanza di quel gioco che egli stesso, aveva innalzato addirittura al rango di "scienza". Alla Risposta s'accompagnano lettere dedicatorie e versi latini, spagnoli e dialettali, secondo un plurilinguismo da addebitare a strapaesana esuberanza piuttosto che a sperimentalismo. Nel 1620il C. (sempre a Militello) si fece traduttore dal latino ed editore (non senza cortigiana civetteria agli occhi della potente famiglia) de I tre libri dell'epistole diGiovanni Tommaso Moncada, conte di Adernò (Adrano), cui fece seguire un volume di Annotazioni e dichiarazioni (Militello 1622) al fine di mostrare, dopo ben centoventi anni dalla loro stesura, come l'autore fosse stato un "facondo oratore", un "fiorito poeta" e un "cristiano politico". Ma su queste epistole grava un pesante sospetto di falsificazione: sarebbe questo il primo di una serie di interessati "falsi", ai quali il C. deve la sua fama assai discussa. Intorno a questi anni cade probabilmente la stesura de Il Sicilianismo,ossia degli scrittori siciliani che rimasto manoscritto, e tuttavia noto ai contemporanei, è andato perduto a eccezione di un piccolo frammento conservato nella Biblioteca dei chierici minori regolari di Messina. Nel 1622 a Militello venne stampato l'Esercizio quotidiano "colquale ciascheduna ora della vita si distribuisce in servizio di Dio". Ma l'opera più importante di questa prima fase della produzione carreriana è il polimetro Zizza (Messina 1623): un idillio pastorale che venne scritto sul modello dell'Aminta del Tasso con suggestioni dalle Metamorfosi ovidiane e dalle Bucoliche di Virgilio. Si tratta di una favola eziologica che trae ispirazione dalla costruzione d'un acquedotto (avvenuta nel 1607), attraverso il quale venivano portate entro Militello le acque potabili della fonte Zizza: l'amore tra la "saracina" Zizza e il pastorello greco Lembesi è contrastato dal ricco pastore Melibeio; i due innamorati saranno infine trasformati dagli dei in fonti di vivide acque.
La morte del Branciforte nel 1622 pose fine all'ambizioso sogno di una Militello capitale di cultura: lo stampatore Rossi si trasferì a Catania e la fornitissima biblioteca del marchese venne donata ai padri teatini di Napoli. Il C. stesso si allontanò da Militello: fu a Messina e a Canicattini, dove pare sia stato segretario del duca Giacomo Bonanno.
A Messina nell'anno 1624, con il nome di G. Bonanni, vennero poi stampati i suoi due libri Dell'antica Siracusa illustrata, scritti in polemica con la Dichiarazione delle piante delle antiche Siracuse (Napoli 1612) di Vincenzo Mirabella: il libro I in dieci capitoli è dedicato alla topografia e ai monumenti della città siciliana; il libro II in otto capitoli parla degli uomini illustri. Subito dopo la morte del Bonanno il C. avocò a sé la paternità di questa confusionaria enciclopedia di erudizione storico-archeologica, attirandosi l'inimicizia dei figli del suo defunto protettore nonché la disistima di tanti letterati che lo accusarono o di vigliaccheria o di appropriazione indebita. Probabilmente il C. fu coautore dell'opera, anche se in preminenza sul Bonanno che ne fu senza dubbio il committente. Nell'anno 1625 (ancora a Messina) il C. diede alle stampe il dialogo IlBonanni, che traeva spunto dal grave terremoto che nel 1624 aveva colpito Militello per aprirsi a disquisizioni archeologiche. A Canicattini il C. tradusse dal latino l'Argenis di John Barclay, il cui manoscritto (ad eccezione delle Considerazioni sul romanzo, andate perdute) si conserva nella Biblioteca dei padri benedettini di Militello ai quali lo stesso autore volle mandarlo in dono. Al soggiorno a Canicattini risale pure la composizione del poema Bucoliasmus sive Ravenusa, rimasto inedito.
Nel 1625 il C., alla ricerca di libri e di documenti vari, si recò a Napoli e a Roma, città da lui rivisitate per lo stesso scopo nel 1636. Ma già dal 1633 si era trasferito a Catania, dove portò a termine la Notizia di Militello in Val di Noto, per la quale si servì delle sue precedenti esplorazioni sull'argomento (la Relazione sulle chiese e la Chorographia).Scopodell'opera era la dimostrazione dell'antichità dell'"oppidum" militellese, secondo quell'ottica antiquaria che condannò la storiografia municipalistica del Seicento al purgatorio delle falsificazioni e della mitologia inventata ad arte da genealogisti vogliosi di glorificare le famiglie che li stipendiavano e da preti e monaci impegnati nella costruzione, attorno ai loro conventi e alle loro parrocchie, di un magico cerchio di antiche e miracolose leggende.
Della Notizia di Militello, che doveva essere in tre libri, vennero stampati soltanto due "quinternoli" (o meglio, due fogli in quarto di 16 pp.) del primo libro dedicato all'"antichità" della città; la pubblicazione venne infatti interrotta per mancanza di fondi, da attribuire probabilmente al disinteresse degli eredi del marchese Branciforte. Un frammento manoscritto di quest'opera riguarda la descrizione di Militello così come si presentava nel 1634 in quanto a popolazione, chiese e conventi. Col 1636 hanno inizio le pubblicazioni d'argomento catanese: in questo anno, infatti, a Catania appaiono i suoi tre libri Del Mongibello sulle eruzioni dell'Etna e sui miracoli di s. Agata (patrona di Catania) ad esse connessi. L'opera, tra scienza e pseudoscienza, tra superstizioni popolari, antichi miti letterari e agiografia, contiene importanti annotazioni botaniche e mineralogiche, oltre ad erudite notizie sulle località etnee.
Il Senato di Catania affidò al C. il compito discrivere una storia della città che ne dimostrasse l'antica nobiltà da contrapporre agli altrettanto campanilistici vanti d'antichità di Palermo e di Messina. Per essa il C. poteva utilizzare (e difatti utilizzò) l'ampia "documentazione" già raccolta dal cancelliere del Senato, Ottavio D'Arcangelo, nella manoscritta Istoriadelle cose insigni e famosi successi di Catania; ma delle settecento e più fonti dell'opera del D'Arcangelo parecchie erano dei "falsi", e soprattutto le Epistole di Diodoro Siculo (pubblicate e postillate dal C.) e il Trattato delle cose ammirabili di Pietro Biondo. Pur consapevole delle mistificazioni del D'Arcangelo (attorno al quale pare ruotasse una prolifica accademia di falsari operanti a Catania e ad Acireale), il C. si servì di questa "documentazione" di comodo: nell'epistolario pseudo-diodoreo (soprattutto nelle lettere 52 e 53 del libro II) trovava infatti le presunte prove di una maggiore antichità di Catania su Palermo e la spiegazione, in chiave eroica, della insegna civica (un elefante) fatta risalire a un bottino di elefanti conseguente alla strepitosa vittoria riportata su un esercito libico che, 2400 anni prima di Cristo, avrebbe tentato l'assalto della città. Però vanto esclusivo dell'alchimia ingenua ma sottile del C. è la Vinuta di lu re Japicu: una cronaca dialettale spacciata come opera del monaco benedettino "Atanasio di Iaci" che l'avrebbe scritta nel 1287. L'invenzione serviva allo storico di scarsi scrupoli a dimostrare l'esistenza del porto di Catania nel Duecento e a celebrare le epiche imprese degli antenati di illustri e utilissimi ottimati della Catania secentesca.
Così nell'anno 1639 (a Catania) venne alla luce il capolavoro pseudo-storiografico del C.: Delle memorie storiche della città di Catania; nel primo volume "in quattro libri si discorre dell'antica origine e sito di essa, degli edifici, pertinenze, iscrizioni, medaglie ed avvenimenti insino al tempo di Cristo signor nostro compresi"; nel secondo (1641) "in quattro libri si discorre della vita, traslazione, miracoli ed altre pertinenze della gloriosa S. Agata, a cui per fine s'intesse una varia ghirlanda di poetici fiori". Non fu mai stampato il terzo volume delle "memorie" dedicato alle famiglie illustri di Catania; ma al primitivo disegno di esso risalgono i tre libri Della famiglia Tedeschi stampati, sempre a Catania, nel 1642. In risposta all'Antichitàdi Scicli del frate gerosolimitano Mariano Perello che, a sostegno dell'identificazione di Scicli con l'antica Casmena, polemizzava con alcuni luoghi Dell'antica Siracusa illustrata, il C. nel 1641 (a Catania) fece stampare un Discorso nel quale è sostenuta l'identità Casmena-Comiso. La polemica col Perello ebbe un ulteriore strascico nel 1643, quando il C. pubblicò una Risposta e censura contro le opposizioni di fra' don M. Perello (Messina). è questa l'ultima opera data alle stampe dall'infaticabile C., che ne lasciò inedite altre. Secondo quanto dice il Mongitore, nella Biblioteca dei chierici minori regolari di Messina nel sec. XVIII erano custoditi i manoscritti degli Annali di Sicilia (in più volumi) e della Relazione d'un meraviglioso caso d'un'anima del Purgatorio avvenuto in Militello nel 1621. Nella Biblioteca dei cappuccini di Militello il Mongitore poté vedere il ms. della Vita di quattro religiose di santi costumi e quello della sacra rappresentazione La sant'Agata, adesso introvabili. Perduto è andato pure il ms. dei Vari componimenti poetici, un tempo conservato nella Biblioteca di S. Niccolò dei padri cassinesi di Catania. Si hanno notizie pure di un Vigintimilliades ("poema in natalitiis Ioannis III, marchionis Hieracis") e delle Chiarezze istoriche di Sicilia.
Il C. morì a Messina, "in magno… nosocomio", il 18 sett. 1647.
Delle sue opere abbiamo le seguenti edizioni: La vinuta di lure Japicu a Catania, in Cronache sicil. dei secc. XIII, XIV, XV, a cura di V. Di Giovanni, Bologna 1865, pp. 165-70, dove però non viene neppure sospettata la paternità carreriana; Chorographia militellana, a cura di G. Majorana, nel vol. miscellaneo Studi storici e giuridici dedicati ed offerti a F. Ciccaglione nella ricorrenza del XXV anniversario del suo insegnamento, Catania 1908, pp. 57-87; Zizza, a cura di A. Basso, Catania 1947 (cfr. la rec. di G. Mannelli, in Boll. stor. catanese, XI-XII[1246-47], p. 236, e la lett. di B. Croce al curatore, pubbl. su La Sicilia del 16 sett. 1947, p. 4); Militello nel 1634 (il secondo frammento ined. della perduta Storia di Militello di P. Carrera), a cura di G. Majorana, in Boll. stor. catanese, III(1938), pp. 128-58.
Bibl.: G. Ventimiglia, De' poeti siciliani, Napoli 1663, lib. I, cap. V, soprattutto pp. 27-31; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1714, II, pp. 133 s. (dove, per la confusione con un omonimo, il C. viene fatto nascere nel 1571). L'errata datazione del Mongitore ritorna in G. E. Ortolani, Biogr. degli uomini illustri della Sicilia, IV, Napoli 1821 (rist. anastatica, Bologna 1971), sub voce, e in G. M. Mira, Bibliografia sicil., I, Palermo 1875 (rist. anastatica, Bologna 1973), sub voce.Ma cfr. inoltre: V. Natale, Intorno alla vita e agli scritti di P. C. …Discorso primo, in Lo Stesicoro, n. 3, giugno 1835, pp. 191-234; Discorso secondo, ibid., n. 9, dicembre 1835, pp. 115-32; n. 10, gennaio 1836, pp. 3-17; nn. 11-12, febbr.-marzo 1836, pp. 51-100 (poi in Sullastoria de' letter. ed altri uomini insigni nella Valle di Noto, Napoli 1837, pp. 9-87). Sul C. falsario cfr.: V. De Gaetano, La vinuta di lu re Japicu in Catania, Catania 1898; V. Casagrandi, I primi due storiografi di Catania (Ottavio D'Arcangelo e P. C.), in Arch. stor. per la Sicilia orient., V(1908), pp. 303-14; G. Musumeci, La difesa di P. C., Udine 1940. Qualche notizia utile si deve infine a M.Ventura, Storia di Militello in Val di Catania, Catania 1953, pp. 112-16, e a S. Correnti, Un idillio pastorale del '600 siciliano, in Studi e ricerche di storia di Sicilia, Padova 1963, pp. 73-88 (rifuso in La Sicilia del Seicento, Milano 1976, pp. 136-39; cfr. anche pp. 215-19).