CARMELIANO, Pietro
Nacque nel 1451 da Giovanni (Zanino) Fava di Valle Sabbia, in territorio bresciano, e solo più tardi mutò il suo cognome in quello più nobile e solenne di Carmeliano, forse foggiato su assonanza con carmen e certamente più conforme alle sue ambizioni cortigiane di "poeta laureatus".
Dei primi anni della sua vita e dei suoi studi si sa solo quanto egli stesso ricorderà più tardi, riandando col pensiero alle sue giovanili fatiche letterarie, rivolte ai poeti, ai retori, agli storici. Giovanissimo, comunque, forse impegnato in traffici commerciali, si dedicò a lunghi viaggi per un decennio, visitando "provincias et insulas multas, urbes et oppida et quam plurima loca maritima in orientali plaga". Nel 1481 era a Roma, donde si dirigeva in Francia per passare poi, dopo un soggiorno di circa un anno, in quell'Inghilterra che, nonostante la sua intenzione di trasferirsi "subito ad Cymbros, deinde ad Germanos", gli avrebbe offerto fortuna e generosa ospitalità per oltre quarant'anni.
Qui, il 7 apr. 1482, dedicava al principe Edoardo di York, il futuro infelice Edoardo V, un suo poemetto De vere di circa 150 distici racchiusi in uno splendido codicetto pergamenaceo (British Museum, Royal 12.A.XXIX), nel quale il C., che già si definiva poeta laureato, faceva sfoggio di vasta erudizione naturalistica e di dotte digressioni mitologiche. Evidentemente il prestigio della sua cultura umanistica e della sua provenienza italiana sembravano offrirgli buone possibilità di sistemazione presso la corte inglese, come del resto dimostra la favorevole accoglienza incontrata in questi anni anche da tanti altri suoi compatrioti (Giovanni Gigli, Polidoro Virgilio, Andrea Ammonio, ecc.). E infatti, concludendo il suo poemetto, il bresciano avanzava esplicitamente una richiesta di aiuto: "Me tibi commendo, princeps celeberrime. Namque / me mea paupertas exiliumque premit". Contemporaneamente offriva allo stesso re Edoardo IV una copia a stampa del De oratore ciceroniano, accompagnandola con un carme latino. Le sue aspettative immediate non dovettero andare deluse, giacché a chiusura del De vere si possono leggere, certo aggiunti in un secondo tempo, 16 esametri di ringraziamento al principe "pro munere collato". Nel 1483, mentre in Italia si combatteva la guerra di Ferrara, curava la pubblicazione di una corrispondenza relativa a quel conflitto, intercorsa fra Roma e Venezia nel corso del 1482 (Incipit: "Hercules dux Ferrariae…"; excipit: "Finiunt sex perelegantissime epistolae, quarum tres a summo pontifice Sixto quarto et sacro cardinalium collegio ad illustrissimum Venetiarum ducem Ioannem Mocenigum, totidemque ab ipso duce ad eundem pontificem et cardinales, ob Ferrariense bellum susceptum, conscriptae sunt. Impressae per Willelmum Caxton et diligenter emendatae per Petrum Carmelianum poetam laureatum in Westmonasterio"; in -4º, pp. 48 n. n.; British Museum, IA. 55.067). Forse con questo lavoro il C. intendeva rendere omaggio alla sua patria veneziana, ma non è escluso che intendesse presentarsi agli ambienti di corte anche come valente esperto di epistolografia e potenziale utile collaboratore nelle questioni diplomatiche.
Per il momento, tuttavia, continuò a vestire i panni del poeta di corte e, dopo la violenta ascesa al trono di Riccardo III ai danni del suo primo protettore Edoardo V, nel 1484 offriva all'usurpatore un suo secondo poema di oltre 600 esametri, dal titolo: Beatae Katerinae Egyptiae, Christi sponsae, vita.
Tale opera si conosce in una copia autografa contenuta nel prezioso codice inviato dal C. come dono di Natale a sir Robert Brackenbury, governatore della Torre di Londra (Oxford, Bodleian Library, Laud 501).Nella dedica il poeta bresciano chiedeva il tangibile appoggio del destinatario e il suo intervento per ottenere di essere presentato al nuovo re, del quale non mancava di ricordare le sublimi e ineguagli abili virtù.
Le travagliate e sanguinose vicende dinastiche della corte inglese dovettero forse creargli qualche problema l'anno dopo, alla morte di Riccardo III, ma già nel 1486, alla nascita del primogenito di Enrico VII e di Elisabetta di York, il principe Arturo, poteva presentare a corte un suo nuovo poemetto: Petri Carmeliani Brixiensis suasoria laeticiae ad Angliam pro sublatis bellis civilibus et Arthuro principe nato epistola, contenuto in uno splendido manoscritto di 11 carte, ornato di raffinatissime miniature (British Museum, Add.33.736).
Riccardo III, del quale solo due anni prima aveva ricordato la "animi sapientiam", la "magnitudinem", la "modestiam", veniva ora bollato come "promptus ad omne nefas", "ferox", come lo "sceleratus… ille tyrannus", della cui morte l'Inghilterra tutta si rallegrava. Sulla base di scontati moduli di imitazione classica, fra congressi celesti e profetici inni al rampollo "per quem pax sancta resurgit", allo smaccato elogio del nuovo re fa da sfondo una gioia sincera per la pace ritrovata, per la fine della lunga guerra civile "post tantas clades tantasque ruinas, … post odium antiquum", simboleggiate dall'unione matrimoniale tra le due casate rivali.
L'ascesa al trono di Enrico VII aprì al C. le più brillanti prospettive di carriera. La devozione alla nuova famiglia regnante, prontamente manifestata con tanta eloquenza, era subito ricompensata con un primo beneficio nel vescovato di Worcester (27 sett. 1486), seguito ben presto da un secondo nel priorato di Christ Church (15 febbr. 1488) e da un terzo presso l'abbazia di Hyde (8 apr. 1488). Nei documenti che hanno queste notizie il C. è ricordato come un chierico e infatti, suddiacono e poi diacono nel 1489 (18 apr. e 13 giugno), fu ordinato prete il 10 apr. 1490 come "rector ecclesiae S. Georgii" nel quartiere londinese di Southwark. Ottenuta il 23 apr. 1488 la cittadinanza inglese, continuò per tutta la vita ad aggiungere altre pensioni ai suoi già numerosi benefici: il 7 marzo 1496 ottenne una prebenda a Compton Bishop (che aveva ancora il 5 maggio del 1511): il 30 nov. 1498 un'altra a Chisenbury e Chute; il 7 apr. 1501 un'altra a Ampleforth (che aveva ancora nel luglio del 1511); il 25 ott. 1519 un'altra a Ealdland, dipendente dalla cattedrale di S. Paolo (alla quale rinuncerà il 26 nov. 1526); un'altra a St. Stephen, Westminster, è testimoniata nel 1526 e un'altra ancora a Cublington nel 1527. Inoltre, dal gennaio 1512 fino alla morte fu arcidiacono della cattedrale di Gloucester. Già da tempo aveva assunto la carica di segretario latino di Enrico VII, veste nella quale il 2 luglio 1496 scriveva direttamente ai re cattolici Ferdinando e Isabella per patrocinare l'unione matrimoniale con la casa regnante inglese, e nel 1498 manteneva rapporti con l'ambasciatore di Milano. Nel 1500 il C., cui si attribuiva ancora il titolo di "cappellano", accompagnava il re a Calais, dove aveva modo di scrivere anche un "lepidissimum carmen" (oggi perduto) contro l'ambasciatore francese in Inghilterra, Gaguin.
Gli incarichi ufficiali che il C. ricopriva presso la corte, la possibilità, in quanto segretario del re, di essere al corrente di delicati negozi politici gli consentirono per lunghi e cruciali anni di rendere preziosi servigi alla sua patria veneziana. Già il 24 sett. 1504 non si peritava di inviare al doge Leonardo Loredan copia di una lettera del papa a Enrico VII, dalla quale apparivano chiare le sue intenzioni ostili nei confronti della Serenissima. Raccomandava la massima discrezione e segretezza per non causa la propria rovina, ma prometteva nel contempo di comportarsi da fedele servitore della Repubblica. Per queste segnalazioni si serviva talvolta della mediazione del gentiluomo veneziano residente a Londra Luca Valaresso, al quale il 1º sett. 1504, sulla base delle informazioni e dei dispacci di cui era a conoscenza, comunicava che il papa "pensa male verso di voi". Questa collaborazione risultò particolarmente utile alla Repubblica durante la crisi del 1508-1509, quando, alle frequenti sollecitazioni del console veneziano, il C. non mancava d'interporre i suoi buoni uffici presso il re, caldamente ringraziato dal governo della Repubblica.
Il Sanuto riferisce che ripetutamente, negli anni 1510-13, lettere del "Camarian" furono lette in Senato, mentre da Londra l'ambasciatore comunicava che "il Carmelian, secretario dil re, … voria far il tutto per la Signoria nostra". Rapporti di questo genere sono documentati fino al 1520 e, del resto, in nome della comune patria italiana, fin dall'agosto del 1496 il letterato bresciano aveva scritto offrendo la sua "fides" e "tacita servitus" al duca di Milano. La collaborazione politica del C., più o meno leale verso i suoi protettori inglesi, non era d'altra parte del tutto disinteressata; se ogni volta la Repubblica incaricava l'ambasciatore di promettergli ogni più generosa ricompensa, già il 1º febbr. 1498 aveva ordinato di concedere la cittadinanza bresciana al padre e ai fratelli del segretario reale "in aliqualem remunerationem fidei et meritorum ipsius", come fu eseguito il 22 febbraio dell'anno seguente; nel dicembre del 1508 egli otteneva che, secondo il desiderio da lui espresso, un non meglio precisato beneficio fosse attribuito a un suo nipote, studente presso l'università di Padova; il 30 ott. 1516 tramite l'ambasciatore a Londra e il 1º novembre scrivendo direttamente al doge, il C. chiedeva un "officieto" per il suo nipote bresciano Cipriano Maiolo, non trascurando di ricordare i servizi resi alla Repubblica e i gravi rischi corsi soprattutto per mitigare l'odio antiveneziano di Giulio II. Lo stesso ambasciatore dichiarava di non aver potuto respingere la sua richiesta, in considerazione dei numerosi favori da lui prestati, e il 10 sett. 1517 il Consiglio dei dieci affidava al nipote del segretario inglese una carica di capitano a vita a Rovigo.
Nel corso di questi anni non si interruppe l'attività di poeta e verseggiatore del C., che anche durante il regno di Enrico VIII continuò a mantenere le cariche di segretario latino e cappellano. Nel 1508, in occasione del fidanzamento tra la figlia di Enrico VII, Maria, e Carlo di Castiglia, il futuro Carlo V, il letterato bresciano pubblicava un carmen celebrativo, edito in un elegante volumetto in pergamena di 24 carte, ornate di illustrazioni, dallo stampatore reale Richard Pynson (rarissimo; unico esemplare conosciuto al British Museum: G. 6118). Lo stesso tipografo curava contemporaneamente anche un'edizione inglese del poemetto, in traduzione corretta ma lievemente ridotta, col titolo di: The solemnities and triumphes doon and made at the spousells and Mariage of the Kyngs doughter the Ladye Marye to the Prynce of Castile Archeduke of Austrige (anch'esso rarissimo, conservato in copia unica, mutila di qualche carta, al British Museum: C.21.b.12).
Le contrastate vicende del fidanzamento, più volte progettato e concluso ma mai concretatosi nel matrimonio a causa del ripetuto mutare della congiuntura e dei progetti politici, spiegano la rarità delle due edizioni, di cui si volle molto probabilmente impedire una imbarazzante diffusione. Due le ristampe dell'opera: la prima, in facsimile, dell'edizione inglese, curata da John Dent per il Roxburghe Club, London 1818; l'altra dei due testi, latino e inglese, coltitolo di: "The Spousells" of the Princess Mary, Daughter of Henry VII., to Charles Prince of Castile, A. D. 1508. First printed by Pynson in two editions, English and Latin, edita da J. Gairdner, in The Camden Miscellany, IX[London], 1993. Le fatiche del C. non incontravano però il favore del più dotto umanista europeo, Erasmo da Rotterdam che, se nel 1507, ringraziando l'italiano per un dono, lo aveva definito in un epigramma come "Antistes sacer elegantiarum, ac / princeps Carmiliane literarum", ebbe modo più tardi di esprimersi con derisione e ostilità nei suoi confronti in uno scambio epistolare con l'Ammonio nel corso del 1512-13. In un codice manoscritto di autore ignoto, fedelissima riproduzione di una stampa del Pynson del 1513 andata perduta (British Museum, Add.29.506: Thordre and behauvoure of the right honourable Erle of Surrey, Tresour and Marshal of Englande, ayenst the Kynge of Scottes and his Invasions. Howe the same Kynge at the Batayle of Brankston was slayne by the sayd Erle, di 14 carte: cfr. c. 14r), compare un EpitaphiumIacoobi [sic] regis Scotorum a Petro Carmeliano aeditum di 18 violentissimi versi contro Giacomo IV, lo "Scotorum perfide princeps … / … iusti simul et contemptor honesti". Anche tale poesia non mancò di suscitare gli astiosi commenti dell'Ammonio che, scrivendo a Erasmo il 25 nov. 1513, gli segnalava la traballante prosodia dell'epitaffio, "muliebribus maledictis refertum", ricevendone il conforto di un giudizio sprezzante sulla persona del Carmeliano. Restano oscuri i motivi più seri di una simile aspra ostilità da parte di Erasmo e Ammonio, quest'ultimo certo diviso dal suo compatriota da rivalità personali e professionali.
L'ultima opera poetica conosciuta del C. è rappresentata da un breve Hexasticon, premesso alla traduzione inglese dell'opera di Dominicus Mancinus, Libellus de quattuor virtutibus et omnibus officiis ad bene beateque vivendum, Parisiis 1488, pubblicata a Londra dal Pynson nel 1523 col titolo: A ryght frutefull Treatyse intituled the Mirrour of good maners, conteynyng the IIII. vertues called cardynall, compyled in latyn by Domynike Mancyn and translate [sic] into englysshe at the desyre of syr Gyles Alyngton knyght, by Alexander Bercley, priest and monk of Eiy (cfr. c. Aiv; l'Hexasticon del C., naturalmente si ritrova anche nelle successive ristampe della traduzione del Barclay: London 1570, in appendice alla traduzione inglese The Ship of Fooles della Stultiferanavis di Sebastian Brant; London 1885, nella riproduzione in facsimile di quest'ultima edizione, p. 83).
Scarse e frammentarie sono le notizie sugli ultimi anni della vita del C., che vide probabilmente diminuiti e ridotti di importanza i suoi incarichi ufficiali presso la corte inglese. Nel 1516 vendeva a un certo Roger Pynchestre una sua tenuta a Hartcombe; nel 1522 Enrico VIII, richiedendo una tassa straordinaria agli ecclesiastici, imponeva al C. il rilevante onere di oltre 333 sterline; nel 1526 otteneva la licenza per importare dalla Francia un cospicuo carico di vino guascone e di guado. Morì probabilmente a Londra il 18 ag. 1527.
Fu probabilmente un suo parente quel "Peter de Brecia" che dal 17 ott. 1512 fino a oltre il 1527 era titolare di uno stipendio di 40 sterline all'anno come suonatore di liuto di corte e che ripetutamente, ma credo a torto per evidenti ragioni, è stato confuso con il più importante Pietro Carmeliano. Allo stesso modo non è escluso che fosse una sua congiunta quella Alice Carmillian che nel 1529-30 riceveva un modesto stipendio reale come pittrice.
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