GOLISANO (Collesano), Pietro Cardona conte di
Nacque probabilmente nel 1467, primogenito di Artale Cardona conte di Golisano e di Maria, figlia del marchese di Geraci Antonio Ventimiglia; il loro contratto matrimoniale fu stipulato a Palermo il 22 luglio 1466. Della famiglia paterna, stabilitasi in Sicilia dalla Catalogna al seguito dei sovrani della casa d'Aragona, aveva fatto parte Antonio Cardona, bisnonno del G., che all'inizio del secolo era stato viceré sotto Alfonso V d'Aragona detto il Magnanimo.
Nel 1471 il G. ottenne dal padre una donazione propter nuptias in previsione del matrimonio con Beatrice Moncada, alla quale risulta essere sposato alla data del 22 nov. 1490, quando la moglie contrasse un prestito di 50 onze con il barone di Racalmuto, Giovanni Del Carretto. Ancora minore e sottoposto alla tutela della madre, il 28 nov. 1477 fu investito della contea paterna che, con Collesano, comprendeva sulle Madonie, nel Regno di Sicilia, le due Petralie e Caronia, oltre a diritti su Polizzi e su Naso. Dopo la morte del re Giovanni II d'Aragona, avvenuta nel gennaio 1479, del quale suo zio Giovanni Cardona, conte di Prades, era stato ultimo viceré in Sicilia, il G. fu inviato nella penisola iberica per prestare giuramento di fedeltà al successore, Ferdinando II il Cattolico.
Il 14 giugno 1481 il G. si scontrò in armi, tra Collesano e Petralia, con il fratello della madre, Enrico Ventimiglia marchese di Geraci, per una questione riguardante il possesso del castello della Roccella, importante sbocco al mare, assegnato in dote alla sorella Eleonora, che era andata in sposa allo zio: il G. ne uscì vincitore sia militarmente, sia politicamente.
L'episodio pose un freno ai tentativi dei Ventimiglia - privati nel 1444 da Alfonso il Magnanimo della contea in favore dei Cardona - di recuperare per via matrimoniale parte delle posizioni perdute. Il conflitto tra le due famiglie era stato preceduto, nel 1478, dalla contrapposizione del marchese di Geraci all'autorità del viceré Giovanni Cardona, in sostegno della protesta dei Messinesi, i quali rifiutavano di accettare le nuove gabelle fiscali per la difesa contro i Turchi.
Fatto arrestare dal viceré Gaspar de Spes perché, data la quantità di armati e di armi da guerra, il duello contravveniva alle leggi del Regno, il G. fu in seguito perdonato, mentre Enrico Ventimiglia fuggì in esilio a Ferrara e nel luglio 1487 fu condannato dalla Magna Curia come traditore e sottoposto alla confisca dei beni. Il contenzioso tra le due grandi famiglie per il controllo delle Madonie, che pare fosse complicato anche dalla richiesta della dote spettante alla madre del G., fu infine oggetto di una transazione con la quale Enrico Ventimiglia cedette al G. la terra di Pettineo, venduta, il 10 giugno 1486, al legum doctor Giovanni de Ansalone. Il 10 dic. 1487 fu venduto, a Nicola Barresi di Polizzi, anche il feudo di Xarrasia in Val di Mazara, che faceva parte della baronia di Petralia Soprana. Il feudo fu in seguito riscattato e venduto definitivamente a Pietro Bologna, probabilmente per riparare difficoltà economiche. Sempre nel 1487 il G. vendette anche la magistratura della secrezia di Patti, i cui diritti aveva ricevuto in eredità, al legum doctor Giacomo Russo. Nel 1490, grazie alla garanzia ottenuta dal cognato Pietro Gioeni, riuscì a riscattare il feudo di Bilici, che aveva dato in pegno.
Il forte indebitamento con i banchieri palermitani è da mettere in rapporto con le spese che la famiglia dovette sostenere per la partecipazione del G. e dei suoi fratelli (due dei quali erano Antonio e Giovanni) alla guerra in Andalusia, che si concluse il 2 genn. 1492 con la conquista di Granada. Al ritorno in Sicilia il G. ricevette la somma di circa 1500 fiorini per il riscatto dei diritti sulla castellania, secrezia, capitania e carcere di Polizzi - ricevuti dal nonno Pietro Cardona e tornati al Demanio regio - e per quanto non era stato pagato al padre Artale da Alfonso il Magnanimo per il riscatto della terra e del castello di Naso.
Nel febbraio 1494 il G. aveva comunque ancora difficoltà a versare le 27 onze annue per la guardia e le riparazioni del castello di Capo d'Orlando, a cui era tenuto come conte di Golisano, perché i suoi beni erano ipotecati. Gli creava problemi anche l'amministrazione della giustizia nei suoi feudi, infestati dai banditi, dove il viceré Fernando de Acuña inviò un commissario.
Il G. partecipò come tenente generale alla conquista del Regno di Napoli e alla guerra contro le truppe del re di Francia Carlo VIII, sotto il comando di Consalvo Fernandez di Cordova, che nel 1495 sbarcò in Calabria. Nel 1496, come strategoto della città di Messina, il G. catturò al largo di Capo Passero, presso Pachino, ventidue pirati spagnoli, che fece impiccare nella città peloritana. Nel 1497 fu nominato conestabile del Regno. Il 2 maggio 1498 fu inviato come capitano d'armi in soccorso delle truppe siciliane nell'isola di Gerba, contro le quali si era ribellata la popolazione locale. Doveva ancora essere strategoto di Messina nel 1498, quando fu contestato dal patriziato urbano con il conseguente intervento del viceré Juan de Lanuza, nel 1499, e di Ferdinando II, nel 1500, a difesa dei giurati della città contro gli eccessi di potere commessi dallo strategoto.
Il 4 sett. 1506 il G. salpò dal porto di Barcellona con due servitori, a bordo di una delle dieci galee che conducevano nel Regno di Napoli Ferdinando II e la nuova regina Germana de Foix, con il loro seguito, formato dalle più alte cariche. Il 1° ottobre le navi entrarono nel porto di Genova, dove incontrarono le galee napoletane comandate da Consalvo di Cordova; il giorno 19 raggiunsero Gaeta e il 1° novembre approdarono a Napoli. Durante l'assenza dalla Sicilia il G. aveva delegato tutta l'amministrazione dei beni alla madre che, come procuratrice generale, il 26 nov. 1510 vendette a Nicola Oddo un altro feudo situato in Val di Mazara, Ferru, che faceva parte della contea di Collesano. Il 3 apr. 1511 la vendita fu ratificata dal G., il quale si trovava allora a Roma. Il 19 agosto era però nuovamente in Sicilia, e a Palermo si opponeva, a fianco del viceré Hugo de Moncada, alla rivolta capeggiata da Giovanni Paolo Pollastra contro le truppe spagnole, reduci dalla sconfitta subita in Africa, contribuendo a domarla e a riportare la pace, anche con l'ascendente personale che doveva avere sulla popolazione palermitana in rivolta e sulle truppe.
Nell'agosto del 1514 ottenne la carica di ammiraglio del Regno di Sicilia, che era stata ricoperta dal fratello Antonio, morto l'anno prima, dal quale forse ereditò anche il marchesato di Padula nel Regno di Napoli. Nel luglio 1514 aveva intanto stipulato a Napoli un contratto di matrimonio con Susanna Gonzaga di Sabbioneta, figlia di Gianfrancesco e della nobile napoletana Antonia Del Balzo, che sposò in seconde nozze nel settembre 1515.
Dopo la morte di Ferdinando il Cattolico (23 genn. 1516), nel momento difficile della successione al trono, il G. fu tra quanti, avversari del Moncada, sostennero che il viceré non potesse più svolgere le sue funzioni in Sicilia e, nel rispetto delle tradizioni del Regno, dovesse essere sostituito dal gran giustiziere - che era il viceré del Regno di Napoli e già viceré di Sicilia Raimondo Cardona con il quale non è noto in che rapporto di parentela fosse -, o dal suo luogotenente, Giacomo Alliata.
In questa sua posizione il G. fu affiancato dal nuovo marchese di Geraci (il cugino Simone Ventimiglia) e da Guglielmo Ventimiglia barone di Ciminna, insieme con altri esponenti della nobiltà siciliana: il conte di Cammarata e maestro portulano, Federico Abbatelli Cardona, il conte di San Marco, Girolamo Filingeri, il marchese di Licodia, Matteo Santapau, i signori di Militello (Giambattista Barresi), di Racalmuto (Del Carretto), di Castelvetrano (Tagliavia) e di Motta d'Affermo (Albamonte).
Lasciata Palermo e diretti a Messina, il 5 marzo essi fecero celebrare a Termini Imerese le esequie per il sovrano defunto, come manifestazione di lealtà verso la Corona, ma anche per diffondere la notizia della morte di Ferdinando II, che il Moncada aveva cercato di tenere segreta per evitare quei disordini che invece si produssero a Palermo, fomentati anche dall'ostilità contro l'Inquisizione spagnola. A Caronia, che apparteneva alla contea del G., furono raggiunti l'11 marzo dalla notizia della fuga da Palermo del viceré, rifugiatosi a Messina. Dopo essersi riuniti a Termini Imerese con i deputati delle città demaniali che avevano risposto al loro appello, essi tornarono a Palermo, dove godevano del consenso del pretore e dei giurati della città.
Qui il G., la cui posizione pare essere stata più moderata e in sintonia con la politica del viceré di Napoli, coordinò tra marzo e aprile la partecipazione delle città siciliane, che si risolse nell'elezione, in sostituzione del Moncada, dei marchesi di Geraci e di Licodia come presidenti del Regno. Andò quindi a Catania come capitano d'armi, assumendo anche il controllo della città di Siracusa, ma le sue esortazioni non ebbero effetto sui Messinesi. Dopo essere stato convocato a Palermo dall'inviato del nuovo re Carlo d'Asburgo, il quale solo formalmente confermò i poteri del viceré Moncada, accompagnato dall'Abbatelli, obbedì all'ingiunzione di recarsi presso il sovrano a Bruxelles, mentre i due marchesi erano mandati in esilio a Napoli. Nel gennaio 1517 difese il suo operato, in contraddittorio con il Moncada. La voce, diffusa ad arte, della sua esecuzione capitale alimentò, nel luglio 1517, la nuova rivolta, nata a Palermo e guidata da Giovan Luca Squarcialupo.
Dopo essere rimasto due anni a corte, praticamente prigioniero, il G. fu compreso nell'indulto richiesto il 14 dic. 1518 dal Parlamento siciliano e accordato da re Carlo anche "in beneficio dei baroni confinati ed assenti". Prese quindi parte con le truppe spagnole, sotto il comando di Prospero Colonna, alla guerra contro il re di Francia Francesco I e fu ucciso presso Milano il 29 apr. 1522 nella battaglia della Bicocca, nella quale si distinse per il suo valore militare, come fu raccontato e dichiarato ufficialmente dall'imperatore Carlo V nel momento in cui assicurò al figlio Antonio la successione nei feudi e nelle cariche.
Lo storiografo siciliano Tommaso Fazello, suo contemporaneo e spettatore degli avvenimenti palermitani, nei quali gli attribuisce un ruolo primario, del resto riconosciutogli anche dal Moncada, ne difende la fedeltà al sovrano e ne elogia le capacità militari, le qualità morali, la cultura e l'aspetto regale. Un altro contemporaneo, l'umanista Lucio Marineo Siculo, lo inserisce in un elenco di siciliani illustri. Matteo Bandello, nel compiangerne la morte e ricordarne le tragiche circostanze, nella XXVII novella, lo definisce "buon uomo, valoroso ed onorato vecchio, padre de la milizia". È sepolto nella chiesa di S. Maria la Nuova a Collesano.
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