CAPUANO (Capuanus, de Capua, Capuensis, de Cappuis, de Chapes), Pietro
Apparteneva a una famiglia della nobiltà amalfitana che discendeva dal conte longobardo Lando de Prata. I discendenti di Lando nel corso del secolo XI si erano stabiliti ad Amalfi e vi si erano imparentati con l'ultimo duca, Marino (1098). Del padre del C., Landolfa di Mansone, pronipote di Lando, si hanno notizie solo dal 1161 al 1176; deve essere morto prima del 1201. Non è noto invece il nome della madre; ma forse apparteneva alla nobile famiglia sorrentina dei Vulcano, visto cheil C. nel 1208 qualificava i membri di questa famiglia come suoi "consobrini". I Capuano possedevano terre, case e botteghe ad Amalfi, Atrani, Agerola, Maiori e Capri e detenevano anche diritti di patronato sulla chiesa di S. Sebastiano, che era posta sulle, alture di Amalfi.
Pare che il C. fosse l'unico dei quattro figli di Landolfo destinato alla carriera ecclesiastica. Ricevette (1170 c.?) i primi ordini ad Amalfi ed entrò a far parte del clero del duomo. La ricchezza della famiglia gli permise di proseguire gli studi, prima sembra a Bologna, poi per un periodo abbastanza lungo a Parigi. Nella scuola della cattedrale di Notre-Dame il C. entrò nella cerchia formatasi intorno a Pietro Lombardo. Ebbe un vivace scambio di idee soprattutto con due allievi del Lombardo, Pietro da Poitiers e Prepositino da Cremona. Anche se mancano notizie precise in proposito, è fuori dubbio che il C. stesso insegnò per un certo periodo a Parigi, dove elaborò il suo "Modus tractandi quaestiones theologicas", che nella introduzione alla sua opera principale cercò di spiegare con l'immagine di un edificio: sul "fondamento" delle auctoritates vengono erette le "mura" degli argomenti e delle quaestiones, che nel terzo ciclo del lavoro si chiudono con il "tectum solutionum et rationum". Più tardi il C. abbandonò Parigi e si trasferì alla Curia pontificia, a quel che pare al tempo di Clemente III. Non abbiamo notizie sulla sua posizione alla corte pontificia, ma è sicuro che insegnò per un certo periodo teologia e diritto nelle scuole ecclesiastiche di Roma.
Come dimostrano i numerosi punti di contatto con le Summae analoghe di Pietro da Poitiers e di Prepositino da Cremona e la discussione con la letteratura delle quaestiones propria dello stesso ambiente, il C. deve aver scritto la sua Summa durante il soggiorno a Parigi, mentre la sua seconda grande opera, un'enciclopedia (ordinata alfabeticamente) dei significati delle parole, dei concetti e delle immagini tramandata con i titoli di Alphabetum,Lexicon condonatorium, oppure Alphabetum de arte sermocinandi, fu composta a quel che pare più tardi, durante il periodo romano. La prefazione indirizzata al clero romano vide la luce probabilmente verso il 1190. Ma la redazione definitiva di quest'opera morale-esegetica risale al periodo dopo il 1193, visto che il C. rielaborò la parte iniziale quando già era cardinale.
Tutte e due le opere sono state attribuite quasi sempre fino ad ora erroneamente al nipote omonimo del C., professore a Parigi dal 1206, oppure addirittura ad altri autori. Ma sia per la Summa che per l'Alphabetum si può provare la paternità del Capuano. La Summa è dedicata all'arcivescovo Gualtieri di Palermo, famigliare del re, morto nel 1190. L'identificazione di questo con Gualtieri di Pagliara, che (1200) portò per pochi mesi il titolo di arcivescovo di Palermo, non ottenendo però la conferma pontificia, proposta per la prima volta da H. Denifle, è priva di fondamento. La prova che il C. fosse l'autore dell'Alphabetum è data dal racconto quasi contemporaneo della fondazione di S. Pietro di Canonica, inserito nel Martirologio di Fossanova, dove l'opera viene espressamente attribuita al Capuano.
Nelle sue opere teologiche il C., seguendo i metodi piuttosti conservatori di Pietro Lombardo, discute problemi dommatici, elaborando in molti casi spunti forniti da Pietro da Poitiers e proponendo in altri soluzioni più personali, senza riuscire però ad aprire nuove strade. La grande diffusione dei codici della Summa, presenti in molte biblioteche ecclesiastiche e monastiche della Francia, dell'Italia e anche della Germania meridionale dimostra però che il C. nel secolo XIII era un autore molto stimato. Era particolarmente apprezzato soprattutto l'Alphabetum redatto con l'intento di offrire uno strumento per la predicazione e per la spiegazione delle allegorie. Di esso infatti sono conservati circa venti manoscritti solo del secolo XIII, ma è inoltre presente anche in numerosi cataloghi di biblioteche dei secoli XIII e XIV.
Nonostante il C. fosse un interprete piuttosto conservatore delle "auctoritates", con una pronunciata tendenza ad ordinare il materiale in modo scolastico, e non un pensatore originale che seguiva le proprie strade in teologia, dommatica e allegoria, le sue opere, il successo conseguito nell'insegnamento e probabilmente anche la sua attività ecclesiastica gli procurarono fama di dotto teologo e brillante predicatore. E fu certamente questa fama che indusse Celestino III, nel febbraio o nel marzo del 1193, a conferire al C. la diaconia di S. Maria in via Lata resasi vacante con la promozione del cardinale Soffredo da Pisa, e di accoglierlo così nel collegio cardinalizio.
Come dimostrano le sue firme apposte alle bolle pontificie, il C. si trattenne, dal marzo del 1193 fino al luglio del 1195 alla Curia, dove presenziò nell'ottobre del 1193 alla solenne canonizzazione di s. Giovanni Gualberto e dove poco tempo dopo funse come giudice delegato del papa in una causa di appello relativa alla lite tra i canonici di Chartres e la contessa Isabella di Blois. Quando Celestino III, dopo l'incoronazione siciliana dell'imperatore Enrico VI, pensò di mandare nel Regno un legato per controllare che gli accordi in materia di politica ecclesiastica presi a Gravina con il re Tancredi fossero rispettati anche dai nuovi sovrani Enrico e Costanza, nominò il C., poco prima del luglio 1195, legato in Calabria e in Puglia, conferendogli nello stesso tempo i poteri di legato generale nel Regno. Nonostante le violente proteste dell'imperatrice Costanza il C., che nel luglio del 1195 esercitò per breve tempo anche le funzioni di rettore di Benevento, poté svolgere i suoi compiti fino alla primavera del 1196, almeno nelle province settentrionali del Regno. Fu portata davanti al suo tribunale la lite tra i canonici e il vescovo di Vieste relativa ai beni e ai benefici del vescovato, e grazie alla sua mediazione si venne ad un accordo provvisorio. Il vescovo Guglielmo di Melfi chiese il suo consiglio in una questione di diritto matrimoniale. Il C. è ricordato l'ultima volta come legato nel marzo del 1196 a Benevento, dove concluse con un compromesso la lite tra il vescovo Giovanni di Dragonara e il monastero di S. Maria di Gualdo Mazzocca per l'obbedienza di S. Matteo di Sculcola. Tornato in Curia, fu nuovamente nominato da Celestino III legato nella seconda metà del 1196. Ricevette l'incarico particolare di riformare le Chiese di Boemia e di Polonia, ma a quel che pare esercitò funzioni di legato già durante il viaggio, nell'Italia settentrionale e nella Germania meridionale, anche se è poco probabile che fosse stato nominato legato anche per quelle zone. Il 12 marzo 1197 fece il suo solenne ingresso a Praga e cominciò subito a mettere in atto le riforme ecclesiastiche di cui era stato incaricato. Benché in Boemia fossero molto ammirate le sue prediche e la dignità con cui si presentava, il suo rigore nelle questioni disciplinari suscitò una vasta opposizione. La richiesta di rinnovare con forme valide, tutte le ordinazioni sacerdotali conferite nel passato in modo non canonico provocò l'aperta rivolta di tutto il clero parrocchiale boemo al punto che si attentò alla sua vita. Sembra però che egli riuscisse a far valere il suo punto di vista in questa controversia come anche nella questione della disciplina monastica: due abati infatti furono destituiti. A Praga, dove si trattenne fino al maggio del 1197, convocò un sinodo per far accettare alla Chiesa boema il celibato e alcune riforme liturgiche. Durante il suo soggiorno in Boemia confermò anche, apponendo al documento il proprio sigillo e la propria firma, il privilegio del vescovo Enrico di Praga relativo alla fondazione di un monastero a Tepl presso Eger da parte del conte Hroznata.
Nell'estate del 1197 passò in Polonia e anche lì cercò di conferire nuovo valore al celibato e ai matrimoni canonici. Durante la sua legazione confermò l'atto con cui il vescovo Siroslav di Breslavia aveva affidato il monastero di S. Vincenzo presso Breslavia all'Ordine dei premonstratensi.
Durante il viaggio di ritorno negli ultimi mesi del 1197 il C. fu derubato e malmenato dal marchese Guglielmo Pallavicini e da alcuni cittadini di Piacenza. Poiché inutilmente il C. aveva chiesto risarcimento ai consoli di Piacenza, Innocenzo III, appena asceso al soglio pontificio, avocò a sé il caso, esigendo soddisfazione per il C. con la minaccia di pene severe. Tornato in Curia nei primi mesi del 1198, il C. svolse di nuovo funzioni di uditore nei processi curiali. Nell'agosto di quello stesso anno accompagnò il papa a Rieti per presenziare allasolenne esaltazione delle reliquie di s. Eleuterio.
Nel quadro dei preparativi per la crociata indetta da Innocenzo III al C. fu affidata la propaganda e la predicazione in Francia e in Borgogna, ma soprattutto egli dovette cercare di creare i presupposti politici per tale impresa con il tentativo di comporre il conflitto anglo-francese.
Poté registrare un primo successo già subito dopo il suo arrivo a Parigi alla fine di dicembre del 1198. Il papa aveva auspicato la conclusione di una pace o perlomeno di una tregua quinquennale. Ora, con la mediazione del C., il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e re Filippo Augusto di Francia, dopo lunghe trattative svoltesi nella zona tra Vernon e Andely, conclusero il 13 gennaio del 1199 una tregua, che il C. dopo la morte di re Riccardo poté rinnovare anche con il suo successore Giovanni, nel giugno e nell'ottobre del 1199, seppure ogni volta soltanto per tre mesi. Nello stesso tempo il C. riuscì ad ottenere la liberazione del vescovo Filippo di Beauvais e del vescovo eletto di Cambrai, Ugo, che erano stati imprigionati dai due re. Breve tempo dopo la morte di Riccardo Cuor di Leone confermò a Fontevrault, dove era stato sepolto il re, una fondazione della regina madre Eleonora per la celebrazione dell'anniversario. Durante il suo soggiorno in Normandia il C. si occupò anche di alcune controversie ecclesiastiche a York e a Canterbury e dell'elezione del vescovo di Cambrai.
Non dimostrò invece mano felice nella questione matrimoniale del re francese, affidatagli ugualmente da Innocenzo III all'inizio della sua legazione. Il papa chiedeva che Filippo Augusto ripudiasse Agnese di Merano e riammettesse nei suoi diritti la legittima consorte Ingeborg. Ma, di fronte al rifiuto del re, il C. convocò un sinodo a Digione per il 6 dic. 1199. Nel corso del sinodo furono discussi anche alcuni problemi, riguardanti l'eresia e il C. riuscì pure ad indurre una serie di prelati francesi ad offrire un trentesimo delle loro entrate per la crociata; ma soprattutto invitò nuovamente il re, con la minaccia dell'interdetto e nonostante l'oppositone di una parte del clero francese, a riconoscere di nuovo Ingeborg come sua moglie. Nonostante Filippo Augusto si fosse preventivamente appellato alla S. Sede, il C., nel corso di un nuovo sinodo convocato pochi giorni più tardi a Vienne, lanciò l'interdetto già deciso a Digione contro tutta la Francia, minacciando nello stesso tempo la sospensione dalle loro cariche per tutti gli ecclesiastici che non l'avessero rispettato. L'interdetto, pubblicato il 13 genn. 1200 a Vienne, rimase in vigore per vari mesi, ma non fu affatto rispettato ed il C. stesso fu costretto a procedere contro alcuni vescovi che lo avevano trasgredito.
Acuendo il conflitto matrimoniale con l'imposizione dell'interdetto, il C. aveva posto un grave ostacolo alla realizzazione della crociata progettata, rendendo anche precari i rapporti con Filippo Augusto, tanto da indurre Innocenzo III, ancora nello stesso 1200, a mandare in Francia il cardinale Ottaviano da Ostia per tentare una mediazione. Ma nonostante questo insuccesso, sembra aver continuato a godere della massima stima del papa, il quale nel marzo del 1201 lo elevò alla dignità di cardinale prete, conferendogli il titolo allora vacante di S. Marcello. Durante il successivo prolungato soggiorno in Curia fu auditore nella causa di divorzio del re Ottocaro I di Boemia contro la moglie Adele.
Quando i progetti per la crociata cominciarono ad assumere forme più concrete grazie all'accordo dei capi dei cavalieri francesi con il doge di Venezia nell'aprile del 1201, e si cominciò effettivamente a formare a Venezia un esercito di cavalieri provenienti dalla Francia e dall'Italia settentrionale, Innocenzo III nominò nell'aprile del 1202 legati il C. e il cardinale prete Soffredo da Pisa, scelti per questo compito sin dal 1198, senza però precisare nei particolari quali fossero i loro compiti e i loro poteri. Mentre Soffredo si mise immediatamente in viaggio per la Terrasanta per aspettarvi l'arrivo dei crociati, il C. fu mandato dal papa a Venezia, per impedire il piano dei Veneziani di attaccare prima Zara che faceva parte del regno ungherese. Ma il C. si dovette rendere molto presto conto, dopo l'arrivo a Venezia nel luglio del 1202, che i Veneziani erano disposti ad accettarlo soltanto come predicatore, ma non come legato per la crociata. Le sue proteste rimasero perciò senza eco nella maggior parte dei crociati, ma non si può escludere del tutto che il C., per non mettere in pericolo la crociata, non abbia proceduto con la sua solita durezza, anzi pare che abbia incoraggiato a rimanere alcuni cavalieri decisi a tornare in patria. Dopo aver pubblicato la minaccia di scomunica pontificia, tornò in Curia nel tardo autunno del 1202, riferendo ad Innocenzo III che i crociati franconi lo avevano pregato di informarlo che il pretendente al trono greco Alessio Angelo, già in precedenza respinto dal papa, cercava, con l'appoggio tedesco, di guadagnare per i suoi progetti i crociati e i Veneziani. Dopo essersi consultato con il papa, il C. si mise nuovamente in viaggio verso Nord per assolvere i crociati dalla scomunica nella quale erano incorsi con l'attacco contro Zara. Ma i loro giuramenti di purificazione furono trasmessi al C. soltanto nella primavera del 1203. Il C. stesso, d'accordo con il papa, non si unì più all'esercito crociato, senza dubbio per prendere le sue distanze dal progetto di attaccare Costantinopoli.
Nella primavera seguente il C., con un piccolo seguito, tra cui il vescovo Sicardo di Cremona e l'abate Martino di Pairis, passando da Benevento e da Siponto, si recò a San Giovanni d'Acri, dove arrivò il 25 apr. 1203 o, più probabilmente, qualche settimana dopo. Durante un breve soggiorno a Cipro, confermò a nome del papa i vescovi locali, introducendo anche alcune riforme, tese soprattutto a migliorare la cultura del clero, che furono confermate con uno statuto emanato nel marzo del 1204 nel corso di un sinodo celebrato ad Antiochia.
Da San Giovanni d'Acri informò il papa della situazione in Terrasanta e soprattutto delle trattative condotte da parte dei cristiani con il sultano. Un primo successo della sua legazione fu la composizione del conflitto tra Pisani e Genovesi a San Giovanni d'Acri. Poi, nel corso di un incontro svoltosi a Tripoli, poté indurre i vescovi maroniti a riconoscere l'ubbidienza romana. Ma di molto più difficile soluzione si presentò la crisi di successione nel principato di Antiochia, che da molti anni divideva le forze in Terrasanta. Già il legato Soffredo stava cercando da parecchi mesi di mediare un accordo nel conflitto tra il re Leone di Armenia, che rivendicava il diritto di successione in linea diretta per il proprio nipote Raimondo-Rupino, e il conte Boemondo IV di Tripoli, appoggiato dai templari e dai giovanniti; ma le proposte di compromesso da lui avanzate erano fallite per l'ostruzionismo di Boemondo e dei giovanniti. Il C. stesso, dopo il suo arrivo in Terrasanta, si recò, passando per Antiochia, a Sis in Cilicia per conferire il pallio al patriarca armeno e per accogliere i cristiani armeni sotto l'ubbidienza romana. Tuttavia sembra aver subito incontrato la più profonda diffidenza del re armeno e del suo patriarca, tale da compromettere tutti i suoi sforzi per risolvere la questione della successione. La parte armena vedeva sempre nel C. il rappresentante dei templari e dei giovanniti, e non - come in Soffredo - il mediatore neutrale della pace. Alla fine il re e il patriarca di Armenia scrissero personalmente ad Innocenzo III lamentando l'atteggiamento fazioso del Capuano. Gli addebitavano anche l'interdetto che il sinodo di Antiochia aveva lanciato contro l'Armenia, visto che il C. non aveva rispettato l'appello alla Santa Sede, né ascoltato il patriarca, favorendo unilateralmente i templari. Un anno più tardi Innocenzo III revocò l'interdetto. Nel luglio del 1204 il C. si trovò insieme con Soffredo a San Giovanni d'Acri, dove confermò per desiderio dei templari e dei giovanniti il testamento di un cavaliere aragonese e le donazioni di un nobile francese a favore dei templari.
Giunta in Terrasanta la notizia della conquista di Costantinopoli da parte dei crociati, il C. e Soffredo nell'ottobre del 1204 decisero di accettare l'invito del nuovo imperatore latino Baldovino che aveva chiesto il loro aiuto per dare un nuovo assetto all'organizzazione ecclesiastica nell'Impero latino. Prima di partire pattuirono ancora una tregua di sei anni con il sultano d'Egitto, ma non riuscirono ad impedire che altri cavalieri ed abitanti della Terrasanta seguissero il loro esempio mettendosi in viaggio per Costantinopoli. Così giustamente Innocenzo III rimproverò severamente i due legati, che non avevano chiesto il suo consenso, di aver messo in grave pericolo la Terrasanta.
Nel dicembre del 1204 il C. e Soffredo giunsero a Costantinopoli, dove furono solennemente accolti nella basilica di S. Sofia. Per suggerimento di Baldovino il C. si incontrò ancora nello stesso mese con il clero greco della capitale. Ma le trattative per l'unione fallirono già nella prima fase, dato che il C. rivendicò con intransigenza la supremazia e il primato romani e rimase irremovibile di fronte all'opposizione greca. Nei mesi successivi concesse una serie di chiese greche a chierici o Ordini latini e riservò all'imperatore trenta prepositure della capitale, dividendo le entrate ecclesiastiche, sensibilmente diminuite a causa delle secolarizzazioni operate dai cavalieri latini, tra il clero e il futuro patriarca. Avvalendosi dei poteri concessigli in precedenza, aveva fatto assolvere, già prima della conquista di Costantinopoli nell'estate del 1204, da un suo inviato, l'amalfitano Marino Quatrario, tesoriere di Nicosia, il doge Enrico Dandolo e i Veneziani, senza però imporre loro alcun obbligo di riparazione. Ma quando nel 1205 sciolse dal voto anche i crociati ancora presenti a Costantinopoli, a condizione che si impegnassero a difendere l'Impero latino per un altro anno, finì per irritare definitivamente il papa, che già prima si era insospettito delle iniziative non autorizzate del Capuano. Con aspre parole Innocenzo III gli rimproverò di aver abbandonato la Terrasanta e di aver completamente travisato le intenzioni pontificie riguardo all'aiuto da concedere ai latini di Costantinopoli.
Criticandolo così aspramente, Innocenzo III non tenne però presente che dopo la scomparsa dell'imperatore Baldovino nella battaglia di Adrianopoli contro i Bulgari (aprile 1205) e la morte del doge Enrico Dandolo (giugno 1205), il C. per un certo periodo era rimasto uno degli ultimi capi politici dei crociati capaci di agire. Era stato proprio l'immediato pericolo nel quale si era venuto a trovare il nuovo Impero, ad indurlo a trattenere a tutti i costi i crociati sul Bosforo. D'altra parte il C. si presentò a Costantinopoli anche come il difensore della nascente Chiesa franco-latina contro i Veneziani che tentavano di imporre la propria organizzazione ecclesiastica e il loro rito, mettendosi dalla parte di quegli ecclesiastici che inizialmente rifiutavano l'ubbidienza al nuovo patriarca Tommaso Morosini. Confermò i privilegi ecclesiastici delle altre città marittime e garantì anche l'indipendenza della Chiesa cipriota.
Già prima dei rimproveri rivolti al C. nel maggio del 1205, Innocenzo III aveva nominato un proprio legato per l'Impero latino nella persona del cardinal prete di S. Susanna Benedetto, invitando contemporaneamente il C. a tornare in Terrasanta. Nonostante quest'ordine, egli si trattenne a Costantinopoli fino alla metà del 1206, quando l'Impero latino, sotto l'imperatore Enrico, aveva riconquistato una nuova stabilità. Dopo l'arrivo del cardinal Benedetto, il C. collaborò con lui per appoggiare il nuovo reggente nelle sue trattative con i Veneziani e per normalizzare la situazione ecclesiastica.
Poi si recò nuovamente in Siria. Il papa doveva presupporre questo viaggio quando nell'agosto del 1206, in un documento relativo alla lite per la chiesa veneziana di S. Marco a Tiro, qualificò il C. come legato, insieme al patriarca Alberto di Gerusalemme. Durante questa seconda legazione dev'essere esploso anche il grave conflitto con il patriarca Pietro di Antiochia, nel corso del quale il C. scomunicò e sospese dalle loro funzioni Pietro e il suo capitolo, che si erano rifiutati di riconoscere i suoi diritti relativi all'assegnazione di cariche e benefici nel patriarcato.
Ancora in quello stesso anno il C. tornò a Gaeta con una piccola flottiglia. Portò con sé come del resto usavano molti crociati un gran numero di reliquie preziose, scoperte in chiese bizantine ed ora trafugate in Occidente. Riservò per la cattedrale della sua città natale le reliquie dell'apostolo Andrea. Ma anche altre chiese della Campania, come le cattedrali di Capua, Napoli, Sorrento, Gaeta, nonché chiese francesi come Notre-Dame di Parigi, St. Denis, la cattedrale di Langres, alle quali il C. era legato sin dal tempo dei suoi studi o da quello della sua legazione francese, ebbero grazie a lui una parte del bottino di reliquie della quarta crociata.
Dopo il suo ritorno in Curia all'inizio del 1207, non ebbe più affidate altre legazioni, pur godendo ancora di grande influenza. Infatti, gli ambasciatori dei re dell'Europa occidentale si rivolgevano spesso a lui per aiuto. Un buon indizio della stima di cui godeva nell'ambito della Chiesa è costituito dal fatto che nel 1202 il capitolo di Amalfi lo mise al primo posto nella lista dei candidati proposti al papa per la sede arcivescovile e che nel 1211 il capitolo di S. Sofia di Costantinopoli chiese addirittura la sua elezione a patriarca; ma Innocenzo III non accolse né l'una né l'altra delle proposte. Nel 1212 il pontefice affidò al C. l'esame dell'elezione di Parisio ad arcivescovo di Palermo, il quale, come famigliare del re siciliano, godeva della particolare protezione di Federico II. Il risultato dell'esame condotto dal C. e da altri cardinali fu tuttavia la destituzione di Parisio.
Dopo il suo ritorno dalla crociata il C. soggiornò più volte - nel 1207 o 1208 e nel 1212-1213 - per periodi abbastanza lunghi nella sua città natale, che non solo fu riccamente dotata di reliquie, ma anche di altre fondazioni ecclesiastiche. In occasione della solenne traslazione delle reliquie di s. Andrea, celebrata personalmente dal C. e dall'arcivescovo Matteo Costantini, fece rinnovare a proprie spese da artigiani romani e siciliani l'abside e la "confessio" della cattedrale amalfitana. Nel 1208 regolò con uno statuto la spartizione dei proventi connessi ai pellegrinaggi alle reliquie dell'apostolo e alla loro venerazione tra i chierici della cattedrale e l'ospedale dei poveri di S. Maria della Misericordia, fin da allora progettato dal C. ma realizzato solo nel 1213, che fu affidato alle cure dell'Ordine dei crociferi. Nell'ottobre del 1208 istituì una "schola liberalium artium" per l'istruzione gratuita di giovani chierici e laici di Amalfi e di Atrani, che dotò con propri mezzi e che munì di uno statuto per garantire il suo futuro. Riservò per sé e per la sua famiglia la nomina del "magister scholae".
Ma la fondazione più importante fu il monastero di S. Pietro di Canonica, per il quale acquistò nel 1212 la chiesa di S. Pietro di Tozzolo posta ai margini della città. La dotò di possedimenti ad Amalfi e nei pressi di Eboli e le donò anche la cappella di corte S. Pietro al Corto regalatagli da Federico II. Un fratello del C., Mansone, donò alla nuova fondazione il bagno regio ("balneum regium") di Amalfi concessogli nel 1205 da Federico II. Quando il re venne a Roma, nel marzo del 1212, promise al C. di concedergli per la sua fondazione un contributo regolare dai proventi del baiulato di Tropea. Dopo la conclusione di questi preparativi consegnò la chiesa, istituita come "canonica regularis", ai canonici lateranensi. Ma il loro tenore di vita corrispondeva così poco alle idee e alle possibilità economiche del C. che questi verso la fine del 1213 decise di sostituire i canonici con i cisterciensi. L'abate Pietro di Fossanova inizialmente si dimostrò poco incline ad assecondare i nuovi piani del C. perché riteneva che la dotazione non era sufficiente per un monastero autonomo. Solo l'intervento di Innocenzo III rese possibile l'insediamento di monaci provenienti da Fossanova nella chiesa chiamata ormai S. Pietro di Canonica (marzo 1214). La nuova comunità fu accolta come priorato nella famiglia monastica di Fossanova.
Il C., che aveva anche finanziato l'ampliamento del porto di Amalfi, morì il 30 ag. 1214 a Viterbo, dove in quel momento si trovava la Curia. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Aracoeli a Roma. La sua morte è ricordata nei necrologi e memoriali delle cattedrali di Notre-Dame a Parigi e di Sens, ma anche nel monastero di Fossanova.
Pur mancando di una vera presa sui contemporanei, il C. fu certamente uno degli autori più produttivi nell'ambito della scuola teologico-filosofica fondata da Pietro Lombardo. La sua "academic latitude" (A. M. Landgraf) era considerevole, anche se le sue argomentazioni scolastiche non oltrepassarono mai i limiti posti dalla tradizione. Sul piano della politica ecclesiastica che lo impegnò prevalentemente a partire dalla sua elevazione al cardinalato, provocò con la sua rigidità e con l'intransigenza della sue richieste spesso forti opposizioni che maggiori doti diplomatiche avrebbero potuto evitare. Ma nonostante tutti questi difetti non lievi, il C. era uno dei cardinali più stimati, più influenti e più attivi dell'entourage di Celestino III e di Innocenzo III. Tra il 1195 e il 1206 fu quasi ininterrottamente impegnato in legazioni senza tuttavia raggiungere, se non raramente, gli obiettivi desiderati. Il suo comportamento negli anni 1202 e 1203, quando i Veneziani misero in crisi i progetti di crociata, non è del tutto chiaro in quanto la disposizione al compromesso alla quale si allude talvolta nelle fonti, risulta in forte contrasto con tutto quello che sappiamo del Capuano. D'altra parte è innegabile che la decisione di recarsi a Costantinopoli alla fine del 1204 contribuì in modo decisivo ad aiutare l'Impero latino a superare la crisi del 1205, e a dare un'organizzazione stabile alla Chiesa latina in terra greca. Al C. evidentemente mancava ogni comprensione per una qualsiasi deviazione dalla tradizione della Chiesa romana. Ne è prova sia il contrasto manifestatosi immediatamente con la Chiesa armena in Cilicia sia la rottura con la Chiesa greca nel 1204. Per lungo tempo però rimase viva la memoria del C. ad Amalfi dove fu considerato uno dei maggiori figli della città: in quanto aveva donato le reliquie di s. Andrea, fondato le prime istituzioni culturali e insediato i cisterciensi in S. Pietro di Canonica.
Dei parenti del C. anche due suoi nipoti abbracciarono la carriera ecclesiastica. Giovanni nel 1215, poco tempo dopo la morte del C., diventò arcivescovo di Amalfi; Pietro fu nominato cardinale da Onorio III nel 1219. Non si conoscono allievi diretti del Capuano. Provenivano dall'ambiente della sua "famiglia" sicuramente l'arcidiacono di Amalfi e più tardi vescovo di Aversa, Matteo di Garofialo il quale lasciò una descrizione della traslazione delle reliquie di s. Andrea ad Amalfi, dando particolare risalto alle iniziative del C. nella sua città natale; il vescovo Gerbino di Minori (1228-1257) che nel 1212 era ancora cappellano del C., e l'arcivescovo Cesario de Anglo di Salerno (morto nel 1263) che aveva iniziato la sua carriera come arcidiacono di Paphos e vescovo di Famagosta nella Chiesa cipriota riformata dal Capuano.
Opere. Il C. fu autore della Summa in libros sententiarum magistri PetriLombardi, (ined.), conservata nella Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 4296 e 4304; nell'abbazia di Montecassino, codd. 354 e 475; a Todi, Bibl. com., cod. 51; a Melk, Stiftsbibliothek, cod. 198; a Monaco di Baviera, Staatsbibliothek, Mon. lat. 14508; per altri codici cfr. F. Stegmüller, Repertorium commentariorum in sententias Petri Lombardi, I, Würzburg 1947, p. 321. n. 667; P. Glorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIIIe siècle, I, Paris 1933, p. 265; Id. La faculté des arts et ses maîtres de Paris au XIIIe siècle, Paris 1971, pp. 279 s. Il C. scrisse inoltre: Alphabetum o Lexicon condonatorium,Alphabetum in arte sermocinandi,Dictionarium concionandi, parzialmente edito da: J. B. Pitra, Spicilegium Solesmense, Paris1855, II; III pp. 487-498 (pp. 496 s.: "Indiculus capitulorum", p. 498: "prologus"); Mss.: Vat. lat. 1157, 1158, 4304 (frammento); abbazia di Montecassino, codd. 355 e 356; Vercelli, Biblioteca capitolare, cod. 32; Tolosa, Bibl. de la Ville, Cod. lat. 211; Parigi, Bibl. naz., Lat. 16894. 16895, 16896, 2802; Ibid., Bibl. Mazarine, mss. 1007, 1008; Vienna, Nationalbibliothek, Pal. lat. 1380; Bruges, Bibl. de la Ville, cod. 253; Monaco, Staatsbibliothek, Clm. 8000; Badia di Cava de' Tirreni, cod. 16; in tutto 20 mss. del sec. XIII, 5 del sec. XVI (cfr. Martini, Intorno a P. C., pp. 302 s.; Glorieux, Répertoire, I, p. 265; Id., Faculté, pp. 279 s.); Commentaria in ius pontificium (perduta); Sermones (di dubbia attribuzione): Parigi, Bibl. naz., Nouv. acq. lat. 999.
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Bouquet, Recueil des histor. des Gaules et de la France, XIX, Paris 1833, pp. 336 ss., 386 ss.; Continuatio Aquicinctina Sigeberti Gemblacensis, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VI, a cura di G. H. Pertz, Hannoverae 1844, pp. 435 s.; Annales s. Benigni Divinionensis,ibid., V, a cura di G. H. Pertz, ibid., pp. 46 s.; J. L. A. Huillard-Bréholles, Historia diplom. Friderici II, I, 1, Paris 1852, pp. 116, 207-211; Gesta Innocentii III papae, capp. 46-53, 84-100, 116-119, in Migne, Patr. lat., CCXIV, coll. 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