CAPPELLO, Pietro
Del ramo originario di S. Maria Materdomini del nobile casato veneziano, nacque da Giovanni di Giorgio e da Maria di Andrea Mocenigo presumibilmente nel 1445, dato che il 10 nov. 1463, a diciott'anni compiuti, fu iscritto dal padre, che nell'occasione lo disse "extra civitatem Venetiarum", all'Avogaria de Comun per concorrere all'estrazione della Balla d'oro.
Figura autorevole quella paterna; comandante dei convogli mercantili di Aigues-Mortes, Barbaria e Fiandra, inviato straordinario a Costantinopoli per maneggi di pace nel 1446, più volte savio del Consiglio, coronò la sua attività pubblica con la nomina a procuratore de Supra; la madre era figlia di quell'Andrea, che si distinse come ambasciatore a Milano ed a Roma, come capitano generale in Golfo contro i Genovesi nel 1426 e provveditore in campo contro Filippo Maria Visconti nel 1438, ed anche come duca di Candia. Dei due fratelli minori, Filippo fu senatore ed entrò in Collegio come consigliere e savio, Lorenzo entrò anch'egli in Pregadi e fu dei Dieci.
Scarse le notizie finora reperite sui primi cinquant'anni della vita del C.: si sa solamente che egli fu avvocato di petizion nel 1467, membro della Quarantia nel 1475, provveditor sopra il Polesine nel 1487 (almeno secondo la non molto attendibile genealogia del Priuli), castellano a Spalato l'anno dopoe che fin dal 1473 aveva sposato Maria di Bartolomeo Vendramin, figlio di quell'Andrea, che sarebbe asceso al dogado nel 1476; questo parziale silenzio delle fonti sta, forse, ad indicare che il C., seguendo le tradizioni del patriziato veneziano, alternò alle prime tappe della carriera politica l'esercizio della mercatura. Sicuramente documentabile invece il suo cursus honorum dopo l'elezione, avvenuta nel settembre del 1492, alla zonta di Pregadi, dove venne confermato anche per i tre anni successivi. Dopo una parentesi a Vicenza, dove era stato inviato come podestà alla fine del 1496 in concomitanza con la ripresa dei contrasti tra Vicentini e Trentini circa il possesso di alcuni territori montani di confine, il C., nell'ottobre del 1498, fu chiamato ancora una volta nella zonta del Senato, mentre nel nov. del 1499, come anche nell'ottobre dell'anno successivo, fu nominato tra i Dieci savi "a tansar" allora incaricati del reperimento del denaro necessario alla guerra che s'era da poco riaccesa contro il Turco. Nell'aprile del 1500, entrò in Collegio come savio di Terraferma, carica cui fu richiamato anche nell'aprile del 1501.
Tiepido fautore d'ulteriori intese con Luigi XII in vista della nuova spedizione francese a Napoli - assieme a Paolo Barbo egli sostenne più volte la necessità di rispondere alle sollecitazioni d'intervento che venivano d'oltralpe prendendo tempo e facendo presente il pericolo che minacciava il dominio marittimo - il C. nei suoi interventi caldeggiò invece la lega antiturca tra Venezia, il papa e l'Ungheria, effettivamente conclusa nel maggio del 1501, propugnando nel contempo, per far fronte al sempre maggior bisogno di denaro, una rigida politica fiscale alla cui attuazione contribuì, come testimonia il Sanuto nei Diarii, sia facendo approvare, dopo accese discussioni cui prese parte lo stesso doge, una ulteriore "meza tansa" in occasione della quale "el serenissimo principe doveria esser el primo taxado per dar bon exempio a li altri", sia appoggiando tutte le iniziative dirette ad escludere dai pubblici uffici i debitori dello Stato.
Il 13 giugno 1501 il C. fu eletto avogador di Comun, ma rinunciò poiché il 24 dello stesso mese venne nominato podestà a Brescia.
Raggiunta a novembre la nuova sede egli succedette a Lorenzo Giustinian nel governo della città che resse, con Marco Molin prima e Francesco Foscari poi come capitani, fino all'aprile del 1503, quando gli subentrò Andrea Loredan. Due gli obiettivi principali che perseguì in quei giorni in esecuzione della commissione ducale del 15 nov. 1501: dando attuazione alla politica di centralismo protezionistico e di pesante fiscalismo che la Repubblica si era allora prefissa, egli s'adoperò sia per far rispettare le norme che miravano a frenare l'esodo delle maestranze operaie, attratte sopratutto nel Milanese dal miraggio di più alti salari, sia a far osservare le disposizioni che consentivano d'importare solamente da Venezia lane, sete e cuoi necessari all'artigianato bresciano, intensificando contemporaneamente la repressione del contrabbando che proprio in quegli anni fioriva come reazione alla catena di dazi imposti dalla Serenissima.
Tornato a Venezia e rieletto, nel luglio del 1501, savio di Terraferma, il C., forse in base alla considerazione che la Repubblica dopo il recente accordo con la Porta era libera da impegni militari, sostenne la linea della debole maggioranza di governo che, pur di fronte al manifestarsi di gravi perplessità tra il patriziato circa l'opportunità dell'impresa di Romagna, insisteva nella politica d'ingrandimenti territoriali ai danni della Signoria borgiana ormai in sfacelo. Nel gennaio del 1504 egli fu chiamato a far parte del Consiglio dei dieci. Nel maggio dell'anno dopo entrò nel Collegio dei quindici alle Acque deputato a decidere gli interventi da eseguire sul Brenta, che stava interrando parte della laguna, e nell'ottobre fu prescelto, con Leonardo Grimani e Gerolamo Diedo, per ispezionare lo stato dei rii di Venezia (annota ancora il Sanuto che nell'occasione egli fece fare "cride nium butasse scovazze in canal" per non peggiorare una situazione già pesante). Pochi giorni più tardi fu nuovamente eletto in Consiglio dei dieci, mentre l'8 marzo 1506 ottenne una nuova carica esterna, la luogotenenza della Patria del Friuli.
Il C. prese possesso del reggimento in luglio subentrando a Francesco Foscari e lo tenne sino alla fine del 1507, quando fu sostituito da Andrea Loredan. Come documentano i dispacci inviati alla Signoria, sua preoccupazione principale durante quei mesi fu raccogliere notizie sulla consistenza e sugli spostamenti delle truppe imperiali ai confini, nonché adottare, assieme ai provveditori Gianpaolo Gradenigo prima e Giovanni Diedo poi, le misure necessarie a fronteggiare ogni evenienza, secondo quanto andava consigliando anche il progressivo deteriorarsi dei rapporti tra la Serenissima e Massimiliano. Di qualche rilievo, soprattutto per l'importanza delle materie trattate, anche i provvedimenti ch'egli dovette adottare sia per stroncare la circolazione di monete non legali, sia per riportare la normalità nel funzionamento delle miniere di mercurio di Idria.
Nei quattro anni che seguirono il ritorno dal Friuli il C. rimase ininterrottamente al governo della Repubblica alternando la presenza nel Consiglio dei dieci (ottobre-dicembre 1507, ottobre 1510-agosto 1511) con l'ufficio di consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio (gennaio-dicembre 1508), di savio del Consiglio (aprile 1509-settembre 1510), di savio "a tansar" (febbraio-aprile 1509) e ricoprendo contemporaneamente anche quello di provveditore sopra i Denari di guerra (aprile 1509-ottobre 1510).
In occasione delle gravi decisioni con cui Venezia nei giorni dell'isolamento diplomatico e dei rovesci militari pose in forse la sua stessa esistenza, egli diede prova d'impulsività e spregiudicatezza non disgiunte però da una lucida visione della realtà. Così nella primavera del 1508, mentre gli iniziali successi imperiali nella guerra trentina sembravano consigliare una condotta prudenziale per evitare nuove sconfitte e non irritare le già ostili potenze europee, assieme a Marco Bolani, Pietro Lando e Paolo Pisani sostenne la necessità d'iniziare quella controffensiva che di fatto frutterà ampliamenti territoriali in Friuli ed in Istria; così l'anno dopo, poco prima della battaglia d'Agnadello, forse erroneamente valutando, come la maggior parte del patriziato, la forza della Serenissima e la debolezza avversaria, si scontrò con Alvise Priuli ed Antonio Tron che proponevano di scongiurare l'urto con la coalizione europea mediante la restituzione al papa dei territori romagnoli occupati nel 1503 e l'offerta all'imperatore di denari ed alleanza per la conquista del ducato di Milano. Quando poi, nell'ottobre del 1509, il bisogno di denaro si andava facendo sempre più pressante, egli non esitò a suggerire di mettere una seconda volta all'incanto le galee dei convogli di Beirut ed Alessandria non ancora partite a causa della precaria situazione militare, mentre nel gennaio successivo, intuendo come per Venezia fosse più conveniente concludere la pace con Giulio II anziché con Massimiliano, che pure ancora pericolosamente ne minacciava l'esistenza, contrastò la proposta di Giorgio Emo e Alvise Pisani d'accelerare le trattative iniziate con la cancelleria asburgica.
La carriera politica del C. sembrò improvvisamente interrompersi nel settembre del 1511 quando, dopo il passaggio agli Imperiali del capoparte friulano Antonio Savorgnan, alle elezioni per il rinnovo delle più alte magistrature dello Stato furono clamorosamente sconfitti tutti i patrizi che l'avevano sostenuto, e tra essi il C. che, pur avendolo inizialmente osteggiato, l'aveva poi difeso in Consiglio dei dieci dalle accuse di abusi presentate da nobili e contadini. Per oltre un anno egli rimase escluso dalla vita pubblica e, solo in seguito alla nomina a provveditor sopra i Denari di guerra, nel novembre del 1512, poté rientrare in Pregadi dove, assieme a Pietro Pasqualigo, avversò quel riavvicinamento a Luigi XII che preludeva al nuovo patto di Blois. Durante i sei anni che seguirono, la sua attività politica fu meno intensa che per il passato: dopo aver ricoperto, a partire dal settembre del 1513, la modesta carica di procurator sopra gli atti dei sopragastaldi, nel marzo successivo entrò nella zonta del Consiglio dei dieci, nel giugno venne eletto consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio, nell'ottobre del 1515 fu nominato savio del Consiglio, mentre, un anno dopo, divenne ancora una volta membro della zonta del Senato; particolarmente sensibile al problema del risanamento dell'erario dissanguato dalle continue guerre, durante tutto quel tempo egli si segnalò quasi esclusivamente per aver a più riprese proposto ed appoggiato, grazie alla specifica esperienza maturata nelle magistrature finanziarie spesso precedentemente ricoperte, l'adozione di drastiche misure fiscali, ciò che fu, forse, una delle cause della sua mancata elezione, per ben cinque volte dall'aprile al giugno del 1516, alla Procuratia di S. Marco.
Dal maggio del 1518 il C. tornò ad essere presente senza soluzione di continuità nel governo della Repubblica sia come consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio (maggio-dicembre 1518, settembre 1521-settembre 1522), sia come savio del Consiglio (gennaio-marzo 1519, ottobre 1519-marzo 1520, ottobre 1520-marzo 1521, ottobre 1522-marzo 1523, ottobre 1523-marzo 1524), sia come membro del Consiglio dei dieci (agosto-settembre 1519), dedicandosi ancora di preferenza alla soluzione dei gravi problemi fumiziari del momento (in particolare l'affrancazione del Monte Nuovo, cioè la riduzione del debito pubblico), secondo quanto imponevano anche le altre cariche contemporaneamente ricoperte di provveditor sopra la Esazion di denari (agosto-settembre 1522) e di provveditor sopra il trovar e recuperar denari (agosto-settembre 1523). A riprova del prestigio goduto nel settembre del 1520 era stato eletto anche all'importante ufficio di censore, che però rifiutò, mentre nel luglio del 1521 e poi ancora nel maggio del 1523 era stato uno dei quarantun elettori dei dogi Antonio Grimani ed Andrea Gritti, risultando in entrambi i casi tra coloro che raccolsero voti nei primi scrutini.
Morì nella notte tra l'1º ed il 2 marzo 1524 dopo una lunga malattia che fin da gennaio l'aveva tenuto lontano dalle cure del governo. Fu sepolto nella chiesa di S. Zaccaria, nella cappella di famiglia, dov'è tuttora ricordato da una lapide postagli dai nipoti Filippo e Giovanni.
Con il testamento autografo del 23 marzo 1523 il C. aveva istituito gli stessi nipoti, a preferenza dell'unica figlia Taddea cui era riservato un modesto vitalizio, eredi principali del suo non cospicuo patrimonio che, come risulta dall'elenco dei beni redatto in occasione dell'estimo del 1514, comprendeva però anche una "possesion" a Galliera, nel Padovano, con "casa da statio et suo cortivo, bruolo, orto, colombaria, teze, stala", altri sei appezzamenti a Resana, nel Trevisano, oltre ad un certo numero di livelli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codici I, Storia veneta, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, p. 255; Ibid., Avogaria di Comun-Balla d'oro, reg. 164/III, c. 91r; Ibid., Cronaca matrimoni, reg. 107/2, c. 77v; Ibid., Prove d'età per magistrati, reg. 170/2, cc. 47r, 167r; Ibid., Segretario alle voci,Misti, reg. 6, cc. 13r, 56r, 132r, 134v; reg. 7, cc. 2v, 9v, 27v, 28v, 29v; reg. 8, cc. 23v, 36v, 504; reg. 9, cc. 5r, 7r, 8v, 10 bisv, 13v, 17r, 24r, 25v, 27r, 30r, 31v; Ibid., Segret. alle voci,Elezioni dei Pregadi, reg. non num. (1503-1523), cc. 4r-5r, 7r-8v, 10v, 13r, 33r, 47r, 50r, 106r, 114r, 115v; Ibid., Camerlengo del Cons. dei Dieci,Giuramenti, reg. 1486-1506, c. 163r; Ibid., Capi del Cons. dei Dieci,Lettere dei rettori e di altre cariche, (Udine) b. 169, nn. 45-54; Ibid., Arch. notarile,Testamenti,Notaio Grasolario, b. 1184, n. 456; b. 1185, n. 71; Ibid., Dieci Savi alle Decime, b. 31, S. Felice, condizione 47; Venezia, Bibl. naz. Marciana, mss. It., cl.VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 228r, 233v; Ibid., mss. It., cl. VII, 813-818 (= 8892-8897), Raccolta dei Consegi, 1) cc. 41r, 43r, 69r, 122r, 156r, 184r, 186r, 195r; 2) cc. 18r, 20r, 21r, 169r, 210r, 229r, 257v, 267r, 288r, 289, 293, 301v, 318r, 319r; 3) cc. 2r, 103r, 131v, 153r, 225v, 238r, 252v, 282r, 289r; 4) cc. 8r, 30r, 33r, 45v, 46v, 53v, 58v, 67v, 74r-75r, 78v, 83, 93v, 105r, 112, 116r, 125r, 1301, 134v, 138v, 149r, 162, 229r, 233r, 241r; 5) cc. 10r, 14r, 16r, 17r, 18r, 46r, 108r, 120r, 224r, 237v, 300r, 308, 310r, 312r, 313v; 6) cc. 13, 20r, 24r, 27v3 97v, 111v, 148r, 169v, 178r, 180v; Ibid., mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Registro dei Reggimenti..., cc. gr, 21r, 84v; Ibid., mss. It., cl. VI, 312 (= 5990): Miscell. vicentina, c. 22r; Ibid., mss. It., cl. VII, 615 (= 8471): Procuratori di S. Marco, pp. 66, 70-72; Venezia, Bibl. del CivicoMuseo Correr, cod. Cicogna 2889 (= 3781): G.Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, c. 134r; Ibid., cod. Cicogna 921 (= 970): M. Sanuto, Miscell. di cronaca veneta, pp. 68, 84 (Cfr. C.Musatti, Intercalari dei patrizi venez. di quattro secoli fa, in Ateneo veneto, XXVIII (1905), 1, pp. 365 ss.; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata..., II, Bergamo 1928, p. 451 n. 2); Ibid., cod. P. D. C 1315/217; Berlino, Deutsche Staatsbibliothek, cod. Ham. 224: Commissione del doge Leonardo Loredan a P. C.;P. Bembo, Della historia vinitiana..., Vinegia 1552, c. 178v; M. Sanuto, Diarii, I-XXXVI, Venezia 1879-1893, ad Indices; G. e L. Amaseo-G. A. Azio, Diarii udinesi dall'anno 1508 al 1541, a cura di A. Ceruti, Venezia 1884, p. 146; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare..., Venetia 1581, cc. 28v, 254v; G.Palladio, Historia delle provincie del Friuli, II, Udine 1660, p. 88; G. Zabarella, Il Pileo o vero nobiltà heroica et origine gloriosissima dell'eccellentissima famiglia Capello, Padova 1670, pp. 18, 38; Catal. degli eccellentissimi rappresentanti veneti spediti al governo della città di Brescia..., Brescia s.d., p. 13; S. Castellini, Storia della città di Vicenza..., XII, Vicenza 1821, cc. 262 ss.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 119 s.; Notizie ipettanti la città di Vicenza... (per nozze Valle-Bagolini), Verona 1863, p. 10; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari 1964, pp. 195, 210 s.; H. Boese, Die lateinischen Handschriften der Sammlung Hamilton zu Berlin, Wiesbaden 1966, p. 110 n. 24.