CANNETI, Pietro (Giambattista)
Nacque a Cremona, di modesta famiglia, il 21 nov. 1659 e, forse anche per seguire l'esempio di uno zio paterno cappuccino, Francesco Antonio, abbracciò la carriera ecclesiastica. Già a diciassette anni entrò a far parte dell'accademia cremonese dei Disuniti, fondata da F. Arisi, ove, il 12apr. del 1680, pronunciò la sua prima orazione pubblica, Gli eccessi del dolore, nella quale, con barocca e ridondante eloquenza, "notomizzava" le pene della Vergine Maria (ms. in Ravenna, Bibl. Classense, Misc. XXII, 2).A venticinque anni, nel 1684, passò dal clero secolare a quello regolare, entrando nell'Ordine camaldolese col nome (col quale è unicamente noto) di Pietro, e divenendo ben presto segretario del generale dell'Ordine P. A. Zaccarelli. Stabilitosi nel famoso monastero ravennate di Classe, vi impiantò un'accademia ecclesiastica destinata a trattare argomenti di storia sacra; nella città ravennate, inoltre, fece rivivere l'accademia letteraria dei Concordi, già fondata dallo Zaccarelli, cui procurò in breve volgere di anni l'adesione di molti scrittori, eruditi e scienziati italiani e stranieri.
Noto verseggiatore in italiano e soprattutto in latino, apprezzato oratore e predicatore, il C. sitrovò intorno ai trent'anni al centro di una fitta rete di scambi letterari che facevano capo in Firenze, in Milano, in Pisa, in Roma ealtrove a importanti corrispondenti quali F. Arisi, G. Grandi, A. Magliabechi, P. Mandosio, G. M. Crescimbeni, e che egli faceva del tutto per ampliare ulteriormente con il contatto diretto, con i viaggi (sarà a Roma nel 1690, a Firenze nel 1692), e soprattutto mediante l'estensione ed il potenziamento dell'attività dell'Accademia dei Concordi.
Nella fervida mente del C. l'accademia ravennate (dinanzi alla quale il 9 febbr. 1685 egli recitò un'orazione su s. Romualdo macchinosamente costruita come una quaestio scolastica: Bibl. Classense, Misc. XXII, 2, s.n.) avrebbe dovuto diventare il centro e la somma degli altri singoli istituti letterari italiani, e fondare colonie in tutte le regioni della penisola. Nel 1687 per sua cura venne pubblicata un'ampia Miscellanea poetica degli Accademici Concordi di Ravenna (Bologna 1687), contenente suoi epigrammi latini e preceduta da una sua impegnata introduzione programmatica. Contemporaneamente egli si convertiva dal gusto barocco, complicato ed immaginoso, al nuovo "buon gusto" moderato e puristico di tono prearcadico, che ormai si veniva imponendo nel mondo letterario italiano, e, abbandonati con disprezzo i modelli seicenteschi ("non bartolizo più, no", scriveva nel gennaio del 1688 all'Arisi: Bibl. Classense, B. 8, fasc. 1, I, n. 29), indicava come esempio da imitare il fiorentino C. R. Dati e forgiava una sua definizione del "buon gusto" letterario, in cui confluivano "franchezza dello stile, maestà del sentimento, unione, condotta naturale, massiccio antico spiegato con vigore moderno" (Bibl. Classense, ibid., n. 33). Questi avrebbero dovuto essere anche i canoni della produzione letteraria dell'Accademia dei Concordi, ideata come istituzione rinnovatrice della cultura nazionale, e cioè come una vera e propria Arcadia ante litteram;ma l'impresa non riuscì a darsi una sua propria ed originale espressione, né, in realtà, ad uscire dagli stretti limiti della sua collocazione provinciale; anche per questo il C., che temette pure la soppressione dell'Ordine e incontrò fierissime opposizioni per la sua nomina ad abate, decisa nel novembre del 1690, venne gradualmente abbandonando l'attività puramente letteraria ed oratoria, per volgersi, anche sotto l'influenza degli amici allora a lui più vicini, il Magliabechi e l'Arisi, a lavori di erudizione e di bibliografia. Indotto a tale nuovo tipo di attività da due interessi prevalenti, limitati nella loro esteriorità, ma vivaci, le vicende passate dell'Ordine cui apparteneva e le glorie della patria cremonese, il C. ebbe subito presente la necessità di una informazione attenta e varia e di un'accurata documentazione. Per questo lasciò incompleta una prima dissertazione erudita su un presunto anello di s. Pietro e poi di s. Apollinare rinvenuto in Ravenna, iniziata già nel 1687, e in cui pure utilizzava, fra le altre fonti, il Liber (allora inedito) di Vitale Acquedotti sulla storia classense (Bibl. Classense, Misc. XXII,1, cc. 13r-18r); per questo cominciò a raccogliere una sua propria biblioteca di opere letterarie ed erudite; per questo collaborò all'impresa biobibliografica dell'Arisi (col quale condivideva aspirazioni culturali ed orientamenti di gusto) e all'altra analoga del Cinelli Calvoli, vagheggiò una Biblioteca manoscritta italiana mai realizzata e iniziò dopo il 1690un Syllabus scriptorum camaldulensium, rimasto interrotto e inedito (Bibl. Classense, Misc. XIV, nn. 1 e 2).
Divenuto abate a Faenza, il C. entrò per questioni giurisdizionali in aspro contrasto con il vescovo di quella città cardinale G. F. Negroni, e, trasferito nel 1694 a Perugia come abate del monastero di S. Severo, attraversò una momentanea crisi (anch'essa, però, tipica dei tempi) di disgusto per le attività letterarie e mondane, che in lui finivano per identificarsi ("Mi trattengo co' libri, ch'è l'ottima, e meco stesso, ch'è la pessima compagnia ch'io possa avere" scriveva nel 1696 all'Arisi: Bibl. Classense, B. 8, fasc. 1, II, n. 19). Ma intanto cresceva la sua fama di oratore e di erudito, cui contribuiva, oltre all'aggregazione all'Arcadia, il successo di numerose orazioni (vedi quella per s. Filippo Neri recitata a Roma nel 1694 e l'altra, di argomento morale, tutta legata ed abilmente costruita nello stile "moderno", tenuta a Perugia nel 1695: La perfezione del beneficio nella giustizia del benefattore e nella gratitudine del beneficato, Perugia 1696), nonché l'iniziata opera di raccolta delle epistole dell'umanista camaldolese A. Traversari, a lui ceduta da J. Mabillon già nel 1692 e che il C. avrebbe perseguito ostinatamente per tutta la vita, senza poter arrivare a vederla stampata.
Fra il 1699 ed il 1703 il C. fu abate di S. Maria di Bertinoro; e finalmente, dopo una breve sosta a Faenza, il 25 apr. 1704 tornò a Classe come abate, probabilmente impostovi dalla protezione e dalla benevolenza nei suoi riguardi di Clemente XI papa, di cui aveva proprio in quell'anno annotato con postille esplicative in latino l'edizione volgare delle Omelie ed orazioni tradotte da G. M. Crescimbeni (Venezia 1704).
A Classe il C. si fermò, questa volta con pienezza di poteri, per oltre dieci anni, dal 1704 al 1714, che impiegò prevalentemente nel potenziamento della biblioteca monastica, trasformata per suo merito da modesta libreria conventuale (che né J. Mabillon nel 1685, né B. de Montfaucon nel 1698 avevano ritenuto degna di visita o di menzione) in una grande biblioteca moderna, di impianto enciclopedico, ricca di manoscritti, di incunabuli, di opere di consultazione, di storia, di erudizione, di filologia; le spese occorse per i grandi lavori di trasformazione del salone preesistente, che il C. fra il 1707 ed il 1714 fece ampliare e decorare riccamente, e le fatiche cui sottopose i confratelli, alcuni dei quali fatti diventare bibliotecari, altri rilegatori, altri ancora amanuensi, suscitarono contro il suo governo ed i suoi progetti vivaci ostilità; ma già nel 1712 gli acquisti di intere librerie private o di singoli pezzi (cui egli contribuiva di suo), condotti abilmente in tutt'Italia tramite una ricca rete di corrispondenti amici o librai, avevano portato il numero dei libri della Classense a più di novemila.
Nel gennaio del 1713 il C. scriveva all'Arisi: "Vorrei lasciar più memorie che posso della patria in questa libreria, che riuscirà una una delle più belle e riguardevoli d'Italia" (Cortesi, 1952, p. 44); e in effetti ancora oggi, mentre da una parte il salone monumentale della biblioteca conserva vivissimi nei simboli scolpiti, nelle statue, nei motti iscritti, nell'iconografia esposta, nei grandi affreschi tutti i caratteri esteriormente teatrali ed insieme appassionatamente celebrativi dell'ideologia culturale del C., d'altra parte i cimeli illustri (come l'Aristofane del sec. X, le prime rare edizioni italiane e alcuni pregevoli codici volgari dei secc. XIV e XV) e la ricchezza armoniosa della suppellettile libraria fanno della Classense un'organica e positiva testimonianza della cultura italiana del tempo.
Nel 1714, salutato da un'epigrafe che i confratelli (e soprattutto M. Fiacchi, che ne avrebbe continuato l'opera) vollero porgli di fronte all'ingresso della sua biblioteca, il C. lasciò il monastero di Classe per tornare a reggere quello di S. Severo di Perugia, non dimenticando tuttavia di provvedere, con continua sollecitudine, ad imponenti acquisti di libri per la biblioteca ravennate. Ma intanto nuovi amici umbri, G. Pagliarini, principe dell'accademia folignate dei Rinvigoriti, e G. B. Boccolini, lo avevano indotto sin dal 1711 ad affrontare un nuovo tema di studio: quello, cioè, di un'edizione critica del Quadriregio, corredata di un commentario e di una dissertazione volti a rivendicarne la paternità al folignate F. Frezzi, contro l'opinione allora corrente che l'attribuiva invece al bolognese N. Malpigli. Anche quest'opera, come quella dell'edizione critica dell'epistolario del Traversari, pure proseguita in questi anni, conobbe arresti e riprese, dovuti al ritrovamento insperato di nuovi codici, alle difficoltà di copertura delle spese, agli spostamenti del C. (che nel 1719 passò a reggere il monastero di S. Biagio di Fabriano), ma riuscì comunque a giungere a termine. Nel 1720, dopo che la cura del testo e quella del commento erano state assunte dagli amici folignati, la stampa dell'edizione ebbe un primo inizio; due anni appresso il C. portò a termine una prima stesura della sua Dissertazione, che, finalmente, vide la luce, sia in tiratura separata (Dissertazione apologetica intorno al Quadriregio e al vero autore di esso, Foligno 1723), sia in appendice all'edizione del poema (Foligno 1725), dopo un vivace contrasto circa la dedica dell'opera nel suo complesso, che gli accademici Rinvigoriti avevano promesso (tramite il Muratori) al duca di Modena, e che il C., alleatosi in ciò con il Fontanini, pretese fosse invece indirizzata al cardinale V. Orsini, divenuto nel frattempo papa Benedetto XIII.
La Dissertazione apologetica in difesa del Frezzi è certamente (fra le sue poche edite) l'opera più nota del C., anche se non la più importante. In essa la parte dedicata all'illustrazione dei manoscritti posti a base del testo edito è accurata; preciso e, diremmo, moderno appare lo scrupolo nelle citazioni e nel metodo di edizione; meno rigorosa, ma ugualmente convincente, sembra la confutazione dell'attribuzione al Malpigli e felice, comunque, il tono sbrigliato e vivace dell'insieme. L'opera, prontamente diffusa, riscosse universale approvazione; né molti sembrarono accorgersi del fatto che la documentazione archivistica, storica e linguistica che ne costituiva la base, era frutto, non già del C., bensì dell'operosità oscura del Pagliarini e del Boccolini, infaticabili studiosi di cose folignati.
All'inizio del 1717 il C. aveva terminato la raccolta del materiale per l'edizione dell'epistolario del Traversari ed aveva preparato una prima stesura manoscritta dell'insieme; ma per completare l'opera, prepararne il commento e redigere l'introduzione avvertiva la necessità di più ampie ricerche; di qui l'esitazione a dare il via alla stampa e il conseguente desiderio di trasferirsi in una città più grande e meglio fornita di documenti e di biblioteche: innanzi tutto Roma. Fra il 1717 ed il 1718 andarono a vuoto i tentativi avviati dal C., con l'aiuto di G. Grandi e del benedettino cassinese E. Gattola, di ottenere un incarico nell'Urbe, come anche fallirono le trattative, intavolate sempre dal Grandi con le autorità torinesi, per procurargli una cattedra di materia storica o biblica nell'università di Torino. D'altra parte il Grandi stesso, cui il C. aveva affidato il manoscritto dell'edizione perché ne procurasse la stampa a Firenze, aveva espresso nel 1723 delle critiche all'ordinamento non cronologico, ma sistematico delle lettere; cosicché, nonostante l'interessamento di G. Fontanini, l'opera rimase ancora inedita sino alla morte del C., e fu ripresa, dopo la morte del Grandi e un breve interessamento di A. F. Gori, soltanto parecchio più tardi da L. Mehus, che la condusse finalmente a compimento.
L'edizione dell'epistolario di A. Traversari (Ambrosii Traversari ... aliorumque ad ipsum et ad alios ... epistolae a d. P. C.... in libros XXV tributae…, Florentiae 1759) contiene più di novecento epistole del dotto camaldolese e dei suoi corrispondenti (o a lui relative), distribuite in 25 libri; ciascuna lettera è corredata di un breve regesto e di annotazioni esplicative; il Mehus vi aggiunse un'amplissima Vita del Traversari, alcuni indici ed una Praefatio colma (pp. II-XVI, XXIII, XCIII, CVI) di critiche nei riguardi del C., in parte meritate, ma in parte ingenerose. Per l'epoca in cui fu concepita e condotta innanzi, infatti, del tutto aliena in Italia da interessi specifici verso l'Umanesimo, per lo sforzo di completezza che le caratterizza, per il gran numero di fonti, manoscritte e a stampa, utilizzate, per la sobrietà e la chiarezza dell'intervento editoriale, l'edizione dell'epistolario del Traversari costituisce a tutt'oggi un'opera degna di ogni considerazione.
Passato a Forlì, come abate del monastero di S. Salvatore, nel 1724, il C. tornò a Classe nel 1727. Nel 1729 fu nominato generale dell'Ordine, e, pur rimanendo abate classense, dovette trasferirsi a Faenza, ove morì il 1º ott. 1730. Lasciò al monastero di Classe la sua importante biblioteca privata ed una raccolta di medaglie.
Oltre alla benemerita ed intelligente opera di bibliotecario e di bibliofilo, di cui la Classense resta viva documentazione, del C. erudito (poiché del C. letterato basta aver ricordato, sul piano della testimonianza, la tempestiva evoluzione stilistica) va sottolineato soprattutto l'originale interesse per la storia culturale del Quattrocento italiano, nel suo duplice aspetto latino e volgare, costantemente perseguito per più decenni e documentato sia dalle opere maggiori, sia dalle notevoli conoscenze incunabulistiche, sia infine dal gusto per i testi di lingua di quel secolo.
Fonti e Bibl.: L'epistolario del C. è conservato nella Bibl. Classense di Ravenna diviso in più buste per corrispondenti; ivi anche, nelle Misc. XIV e XXII, suoi scritti autografi, zibaldoni e copie di lavori a stampa. Sue lettere al Magliabechi in Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII.269, nn. 65-105; altre al Muratori in Modena, Bibl. Estense, Archivio Soli-Muratori;a G. Vincioli in Perugia, Bibl. Augusta, ms. n. 893; a G. Fontanini in Udine, Bibl. comunale, ms. n. 241. Nella Bibl. Classense, Misc. X, 22, un suo necrol. inedito di G. Bianchi, Delle lodi del p. P. C. cremonese;importante anche la biografia a lui dedicata da G. M. Mazzuchelli, inedita in Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 9265, cc. 59r-63r. Vedi inoltre Lettere di Apostolo Zeno…, II, Venezia 1785, ad Indicem (p. 478); Epistolario di L. A. Muratori, a cura di M. Campori, Modena 1901-1922, I, pp. 239-41, 243, 251; II, pp. 410, 421; III, pp. 1153, 1162, 1225; IV, pp. 1359 s., 1366, 1370, 1390, 1404, 1410, 1415, 1465 s., 1501, 1509, 1518, 1521, 1525, 1527, 1533, 1539, 1553, 1556; V, pp. 1698 a.; VI, pp. 2323 s., 2328, 2337 s., 2377, 2381 s., 2413, 2421 s., 2427 s., 2436, 2485 s.; VII, pp. 2788, 2926 s., 2941 s., 2967, 3042. Vedi inoltre su di lui: F. Arisi, Cremona literata, III, Cremonae 1741, pp. 257-273 (alle pp. 264-273 è pubblicata un'Apologia pro M. Hieronymo Vida del C.); I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, I, Roma 1891, pp. 327-329; E. Filippini, UnaAccademia umbra del primo Settecento e l'opera sua principale, I-II, Perugia 1913, passim (il II volume contiene lettere di vari corrispondenti al C.); G. Gasperoni, Ilcontributo della Romagna all'opera del Muratori, in Studi di storia e di critica dedicati a P. C. Falletti, Bologna 1915, pp. 496-99; S. Bernicoli, Di un Lattanzio del 1465, in La Romagna, VII (1916), pp. 224-32; E. Filippini, Il p. don P. C. e la sua dissertaz. frezziana, in Archivio storico lombardo, XLIII (1916), pp. 765-820; M. Maylender, Storia delle Accad. d'Italia, II, Bologna 1927, pp. 51-56; S. Muratori, Provincia di Ravenna, in D. Fava, Tesori delle Bibl.d'Italia,Emilia e Romagna, Milano 1932, pp. 226-228, 233-235; D. Fava, Muratori e C., in Misc. di studi muratoriani, Modena 1933, pp. 159-191; C. Frati, Diz. bio-bibl. dei bibliot. e bibliofili ital.dal sec. XIV al XIX, Firenze 1934, p. 134; S. Muratori, IlR. Museo naz. di Ravenna, Roma 1937, p. 3; G. Cortesi, L'abate P. C. bibliofilo ebibliografo, in Felix Ravenna, LIX (1952), 8, pp. 31-80; Id., L'abate don P. C. (1659-1730) fondatore della Biblioteca Classense, in Almanacco deibibliot. ital., 1959, pp. 145-154; G. Schizzerotto, Le incisioni quattrocentesche della Classense, Ravenna 1971, pp. 98 s.