CAMPORI (Campora), Pietro
Nacque da Giammaria e da Vittoria dei conti Sandonnini verso il 1553 a Castelnuovo di Garfagnana. Successivamente la famiglia si trasferì a Modena, ove fu aggregata alla nobiltà locale. Studiò giurisprudenza a Lucca e a Pisa, ove conseguì a dottorato iurisutriusque e fu ordinato sacerdote, quindi si recò a Roma. Qui si aggregò al milanese Cesare Speciano, vescovo di Novara.
La data del suo ingresso al servizio dello Speciano non è nota, egli però lo conosceva sicuramente da tempo quando, verso la fine del 1585, lo seguì nella sua nunziatura in Spagna, come auditore e segretario. Da allora e per vent'anni fu il suo più stretto collaboratore e confidente. Alla corte spagnola (1586-89) seppe farsi stimare personalmente, come successivamente in occasione della nunziatura dello Speciano presso la corte imperiale (1592-98). Filippo II gli manifestò la propria benevolenza conferendogli vari benefici in Ispagna e una pensione a carico del vescovado di Vigevano; l'imperatore Rodolfo II gli concesse nel 1596 un diploma di nobiltà. Il duca Guglielmo V di Baviera, che probabilmente l'aveva conosciuto alla Dieta di Ratisbona del 1594, avrebbe voluto assumerlo come consigliere permanente del figlio Filippo, destinato al sacerdozio ed elevato alla porpora nel 1596. Ma il C. rimase al fianco di Speciano, anche quando rientrò in Italia ove, per il suo atteggiamento generalmente filospagnolo, non fu promosso alla porpora come sperava. Poiché lo Speciano era stato trasferito nel 1591 dal vescovato di Novara a quello di Cremona, il C. lo assistette ora nell'amministrazione di questa diocesi, e partecipò ai sinodi diocesani degli anni 1599 e 1604. Nel 1600 ottenne un canonicato presso la chiesa episcopale. Soltanto dopo la morte dello Speciano, nel 1607, ritornò a Roma.
Ivi assurse in breve tempo a una posizione assai influente alla corte di Paolo V. Divenne familiare del cardinal nepote Scipione Borghese, di cui fu in un primo tempo segretario personale, poi maggiordomo. Con tale qualifica non solo ebbe conoscenza di tutti gli affari di casa Borghese, ma in gran misura li dirigeva egli stesso. Era generalmente considerato il personaggio più importante dell'entourage del potente cardinal nepote. Contemporaneamente fu, per circa otto anni commendatore di S. Spirito, e conseguentemente gran maestro (precettore generale) dell'Ordine degli ospedalieri (canonici regolari) di S. Spirito. Sede principale di quest'Ordine era il grande ospedale romano di S. Spirito in Sassia: anche la direzione di questa casa e delle sue molteplici diramazioni era affidata al Campori. La sua gestione è reputata saggia e parsimoniosa. Viene riferito inoltre che egli fece abbellire il complesso edilizio e l'arricchì di una fontana, collegata con l'acquedotto che Paolo V aveva condotto in Vaticano. Nella chiesa di S. Spirito fece erigere una cappella dedicata a s. Giovanni Battista, trasferendovi un'antica e veneratissima immagine della Madonna.
Alla settima promozione cardinalizia di Paolo V, il 19 sett. 1616, il C. fu elevato alla porpora. Già in quell'anno Alessandro Tassoni, che riferisce sui ricchi omaggi inviatigli in questa occasione dalle città di Modena, Castelnuovo e Lucca, lo indica come papabile. Successivamente il C. fece parte delle Congregazioni del Concilio, dei Vescovi e regolari e del S. Uffizio; era inoltre protettore dell'Ordine dei camaldolesi e abate commendatario di Caramagna in Piemonte. Suo compito principale rimase tuttavia la direzione degli interessi di casa Borghese.
Alla morte di Paolo V il 28 genn. 1621 lo stretto legame che univa il C. alla casa Borghese doveva rivelarsi nocivo per lui. L'ultima creazione cardinalizia, intrapresa ancora l'11 gennaio, aveva già suscitato vivo malumore, perché troppo evidente ne era l'intento di rafforzare il gruppo degli aderenti del cardinal nepote in vista del conclave, prevedibilmente prossimo; sicché ora gli oppositori del defunto pontefice e della sua famiglia convennero nella ferma decisione di impedire l'elezione del candidato dei Borghese. Che questo suo candidato fosse il C., il Borghese l'aveva fatto trasparire sin dall'inizio con franchezza tutt'altro che diplomatica. La veemente opposizione che ora si mobilitò contro di lui era motivata in primo luogo dal timore che la sua elezione avrebbe perpetuato il predominio del Borghese, che nel successivo conclave non solo avrebbe disposto di un numero sufficiente di sostenitori, ma sarebbe anche stato in età adatta per farsi eleggere al pontificato.
Primo fra tutti il cardinale Alessandro Orsini, personalmente ostile al Borghese, procedette energicamente a radunare un partito per l'esclusione del C.: egli poteva contare sui cardinali di Clemente VIII e sul cardinale Ubaldini, e inoltre era sicuro dell'appoggio dei rappresentanti di Francia e Venezia. Di contro i sostenitori del Borghese erano assai più numerosi e godevano dell'appoggio degli ambasciatori di Spagna e di Toscana, ma anche tra le loro fila molti erano contrari all'elezione del Campori. Sul conto del quale erano state diffuse gravissime voci e calunnie: lo si diceva nemico di Francia e di Venezia, uomo assolutamente indegno, non idoneo a reggere la Chiesa, macchiato inoltre da gravi peccati di gioventù; avrebbe comprato i voti dei cardinali d'Este e Bentivoglio mediante concessioni politiche, promettendo alla casa d'Este un atteggiamento arrendevole nella disputa per Comacchio o persino la restituzione del ducato di Ferrara, e alla famiglia Bentivoglio di restaurarla nella signoria di Bologna. Il Borghese, che inizialmente aveva ritenuto le sue forze sufficienti ad ottenere l'elevazione del C. al papato per adorazione, cioè addirittura senza vere e proprie votazioni, riconobbe ora di non poter confidare nei suoi partigiani e abbandonò questo progetto. D'altra parte quando furono serrate le porte del conclave, neanche l'Orsini aveva raggiunto il numero di voti necessario per l'esclusione, e l'ambasciatore francese esitava a pronunziarla in nome del suo re; ma già dal primo scrutinio fu chiaro che il C. non avrebbe raggiunto la maggioranza. Il Borghese, per evitare l'elezione di un papa del tutto sgradito, mutò tattica e decise di appoggiare Alessandro Ludovisi, il quale poteva pertanto assurgere alla cattedra di S. Pietro il 9 febbr. 1621 col nome di Gregorio XV, dopo un solo giorno di conclave.
Il C. sembra aver accolto la propria sconfitta senza amarezze. Non molto tempo dopo l'elezione, il 17 maggio del 1621, Gregorio XV gli conferì il vescovato di Cremona, a lui ben noto dai tempi di Speciano. Come privilegio particolare gli fu concesso di conservare i benefici che già possedeva. Il cardinal Leni gli impartì la consacrazione episcopale.
Da allora il C. risiedette costantemente a Cremona, senza interruzioni di rilievo. Amministrò il vescovato personalmente e con grande scrupolo. Nel 1635 teme un sinodo diocesano. I contemporanei riferiscono con ammirazione che aveva un'ottima memoria e che conservava la sua tranquillità d'animo in qualsiasi circostanza. Le condizioni in cui esercitò il suo ufficio erano per certi aspetti difficili. Da un lato doveva affermare l'autorità vescovile su di un clero ignorante ed indisciplinato e su monasteri decaduti che cercavano di sottrarsi alla sua potestà; dall'altra parte vi erano le tensioni con il governo spagnolo di Milano per le solite vertenze di giurisdizione. Ma soprattutto, l'intero paese soffriva delle gravi conseguenze delle guerre combattute nell'Italia settentrionale. Durante la guerra di successione di Mantova del 1629-30 e di nuovo nel corso delle campagne militari contro il ducato di Milano nel 1635-36 esso fu saccheggiato e devastato dagli eserciti che lo attraversavano, e afflitto dalla peste che essi portarono. Varie lettere del C., tuttora conservate, testimoniano dei suoi alacri sforzi per proteggere chiese, monasteri e loro possedimenti dalle distruzioni belliche.
Il C. fu di nuovo a Roma nel 1623 per il conclave da cui uscì eletto Urbano VIII. Anche questa volta egli fu del ristretto gruppo dei papabili, ma ormai le sue prospettive non erano più tanto favorevoli quanto erano sembrate nel 1621. Negli anni successivi fu in corrispondenza epistolare col nuovo cardinal nepote Francesco Barberini; da questa corrispondenza si deduce che i suoi rapporti con Roma non erano più stretti, ma neppure tesi. Al Barberini egli pagava puntualmente una pensione (in due rate annuali): fa eccezione solo l'anno 1630, causa l'indigenza provocata dalla guerra e dalla peste. Per Antonio Barberini, che era abate commendatario di Nonantola, il C. mediò a più riprese accordi col vescovo locale. Egli informava inoltre il cardinal nepote soprattutto sugli avvenimenti politici e militari nel Cremonese.
Del tutto improbabile risulta la notizia - riferita dal Moroni (XVI, p. 185) - secondo la quale il C. avrebbe assunto un altro incarico curiale divenendo membro della Congregazione "Super correctione Euchologii Graecorum" istituita nel 1636. L'età assai avanzata non gli consentiva di certo di intraprendere viaggi a Roma. Sappiamo che i viaggi ad limina furono effettuati in sua vece da un tal canonico Filiberti.
La sorte non concesse al C. di regolare egli stesso la propria successione e trasmettere la cattedra episcopale di Cremona ad un suo nipote. Egli aveva programmato la successione di suo nipote Cesare, cui aveva già fatto trasferire alcuni suoi benefici; ma Cesare morì quasi dieci anni prima di lui. In seguito, nel luglio del 1634, il C. volle trasferire questi benefici ad altri due suoi nipoti, ma Roma oppose un rifiuto.
Della considerevole ricchezza accumulata nel corso degli anni grazie alla sua grande parsimonia e abilità negli affari il C. dedicò una parte a generose donazioni. In particolare dotò cappelle ed altari dedicati alla Madonna, come nella chiesa del Paradiso a Modena, e a Castelnuovo presso Cremona.
Morì quasi novantenne a Cremona il 4 febbr. 1643 e fu sepolto nella cattedrale, di fronte al monumento di Speciano, per molti anni suo protettore e predecessore sulla cattedra episcopale.
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