CALZOLAI, Pietro
Nato a Buggiano in Toscana, probabilmente nel primo decennio del 1500, il C. era noto ai contemporanei, e fu poi ricordato dai repertori eruditi più tardi, sotto varie indicazioni onomastiche (Petrus Ricordatus, Petrus Florentinus, Petrus de Buggiano); il che ha condotto sovente alcuni - dal Poccianti (Catalogo degli scrittori fiorentini, Firenze 1589, pp. 148, 144) al Negri - a sdoppiarne erroneamente la personalità e l'attività.
I dati accertati della sua vita s'identificano con le tappe della sua carriera religiosa: l'ingresso nell'Ordine benedettino, avvenuto l'11 giugno 1536, allorché egli entrò nel cenobio di S. Maria in Firenze; l'appartenenza alla Congregazione patavma di S. Giustina di Professione, e da ultimo la carica di priore della basilica romana di S. Paolo fuori le Mura. Al periodo padovano (1549-1560) risale la parte più cospicua, e ciò che rimane, della sua produzione letteraria, in relazione alla quale fu in viaggio durante quasi vent'anni - a caccia di documenti e di notizie - attraverso le principali città italiane (Venezia, Roma, Milano, ecc.) procurandosi, come ricorda l'Armellini, una discreta notorietà grazie all'onestà dei costumi, alla dolcezza del carattere e, soprattutto, alla perizia "sacris humanis que literis".
Di un apprezzamento rivolto al C. da ambienti culturali di medio livello, e comunque ispirati da un gusto convenzionale, fa fede una serie di versi laudativi di poeti minori quali Tito Prospero Martinengo e Laurenzio Lucalberti o di più note matrone poetesse; tra queste, l'urbinate Laura Battiferri Ammannati, che in un suo sonetto può affermare: "Quanto ammirar, quanto lodar le carte /Devem di lui, che 'n voce chiara, e colta / I costumi, e la vita in Dio raccolta / De suoi Fedeli a nostro esempio ha sparse?".
Le caratteristiche della produzione del C. - alle quali si era soliti riferirsi in termini di ammirazione per i suoi pregi di indagatore eruditissimo, in grado di "rinnovare le più vetuste perdute memorie", e di espositore dotato di "grata facundia" - si dispiegano ampiamente nell'opera (l'unica per noi accessibile) che ne giustifica la menzione: l'Historia monastica, pubblicata per la prima volta a Firenze nel 1561 presso Lorenzo Torrentino, e ristampata, in edizione accresciuta, a Roma presso Vincenzo Accolti nel 1575, con dedica al "serenissimo e potentissimo re del Portogallo", esaltato per le sue virtù belliche.
In essa, distinta in cinque giornate, secondo il canone novellistico di tradizione boccaccesca, "brevemente si raccontano tutti i summi Pontefici, e quelli che hanno predicato la fede cristiana a i gentili, gli imperatori, i re, i duchi, principi e conti, l'imperatrici e reine ed altre donne illustri e santi uomini dotti, che hanno scritto qualche opera. E santi i quali sono stati nell'ordine monastico". Alla eterogeneità classificatoria del catalogo corrisponde in concreto un enorme zibaldone storico-narrativo, in forma di repertorio cronologico, tendente a realizzare le regole dei più vari filoni culturali, dei quali almeno tre vengono enunciati programmaticamente o appartengono alla intenzionale coscienza strutturante del C.: nel proemio, il richiamo classicista che giunge addirittura ad identificarsi con la prassi storiografica d'un Tito Livio è infatti immediatamente rivolto a fini d'edificazione agiografica e pedagogica, poiché al coevo stato di decadimento dell'Ordine viene contrapposto il peso glorioso di tutta la sua storia passata, una storia che può vantare titoli di nobiltà e valori in vantaggio sulla stessa romanità, in quanto impegnata ad espungere da sé la minaccia diabolica ed a proiettarsi quindi in una dimensione ultraterrena (la sapienza, per esempio, degli oratori cristiani si unisce al distacco dai beni materiali). E tutto ciò attraverso l'uso di un impianto narrativo che prende a modello il Decameròn ele sue filiazioni; dall'architettura esterna - gli episodi vengono narrati a turno da personaggi protagonisti di un dialogo-cornice (tra i quali l'autore medesimo, monaci e gentiluomini padovani, nonché Alessandro de' Medici arcivescovo di Firenze) con inserti dialogici a mo' di commentario e, in qualche caso, con l'ode-canzone quale sigla conclusiva (Giorn. II) - alle movenze più interne della scrittura, che certo non ignorano la maniera boccaccesca, per es. in uno dei molti passi descrittivi: "poi che per ispazio d'una gross'ora ci fummo diportati, ora considerando l'amenità di quello, che ripieno era di vaghi, e odoriferi fiori, di salutifere erbette e di soavi frutti, ora pigliando piacere per un altro viottolo, di sentire il grato mormorio dell'acqua, che dal quieto corso del fiumicello... nasceva... con amorevoli e onesti ragionamenti, giugnemmo ai nostri primi seggi, con disiderio, che tosto si cominciasse il ragionamento destinato per quel giorno..." (Giorn. II). Ravvicinando la prospettiva al materiale presentato, il bacino di raccolta che sta dietro all'Historia Monastica risulta ancor più composito e magmatico (basta pensare alle fonti, che vanno dai classici dell'antichità ai Padri della Chiesa, dalle cronache monastiche alle opere di Dante o di Villani): la tradizione più tipicamente religiosa si mescola continuamente con il gusto della novelletta-esempio, ma il momento dominante è in definitiva quello dell'interesse antiquario, acritico e disposto ad accogliere indiscriminatamente qualsiasi tipo di reperto. Èquanto si può desumere da un catalogo tematico minimo ma ben dimostrativo: origine del monachesimo con richiamo agli usi dei sacerdoti egiziani di Serapide, origine delle Amazzoni, degli Ungheri, della stampa, della città di Pozzuoli; nascita di certe usanze, quali i diversi abiti monacali, etimologie - per es. di S. Apollinare in Classe (classe-flotta) -; massime così morali come pratiche (carità, umiltà, valore dell'amicizia. virtù di certe erbe medicinali, virtù teologali).
Di un'altra sua opera, per noi irreperibile, dà notizia il C. stesso: I Dialoghi due, delle cose della città di Padova (tra Giuseppe Borromeo e Sperone Speroni), il cui ingresso nella Biblioteca Ambrosiana è attestato dall'Armellini che poté prenderne diretta visione. Null'altro rimane della produzione ulteriore del C., e della sua vita soltanto la notizia del ritorno finale a Firenze, dove morì l'11 maggio 1580.
Bibl.: P. Puccinelli, Cronaca dell'insigne ed imperial abbadia di Firenze, Milano 1664, pp. 142 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini Ferrara 1722, pp. 459 s.; M. Armellini, Bibliotheca Benedectino Casinensis, Assisii 1731, II, pp. 135-38; D. M. Manni, Osservazioni e giunte istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, Firenze 1739-72, V, p. 38; G. B. Passano, I novellieri italiani in prosa, Milano 1864, I, pp. 115 s.; Dict. d'Hist. et de Géogr. ecclés., XI, pp. 502 s.