CALISSANO (Calizzano), Pietro
Nacque a Genova, intorno al 1450, da Antonio (morto prima del 1494). Apparteneva a una famiglia di potenti seatieri del cosiddetto popolo minuto: esercitavano con lui l'arte della seta, nonché l'attività politica, anche il fratello Gregorio e i cugini Leonardo e Giovanni, figli dello zio paterno Bartolomeo; per parte di madre il C. era cugino di Vincenzo e Bernardo di Vinelli, coi quali pure condivideva direttive politiche. Con il cugino Leonardo, già il 22 apr. 1479 il C. fu tra i centoventitré setaioli firmatari dell'accordo coi tessitori sulle modalità delle retribuzioni. Ma soltanto venti anni più tardi il C. - come pure i cugini Leonardo e Giovanni - entrò attivamente nella vita politica assumendo varie cariche nelle magistrature della Repubblica, allora sotto il dominio del re di Francia: ufficiale victualium nel 1499, nel 1503 e nel 1506, nel 1501 fu ufficiale di Misericordia, nel 1502 membro dei Sindicatores; nel 1503 è anche ufficiale dei Censori e del Magistrato di sanità, cui è rieletto nel 1504, mentre la città è colpita dalla peste.
Durante i disordini popolari del 1505, che avevano costretto i nobili al formale impegno di concedere i 2/3 dei pubblici uffici a mercanti e artigiani, e le agitazioni del 1506, dovute al mancato adempimento della promessa, il C. non assunse ruoli importanti.Il 6 sett. 1506, con l'incarico di conciliare le fazioni cittadine, si radunava il nuovo Consiglio degli anziani, di cui entrò a far parte il cugino Leonardo; il giorno dopo si radunava l'Ufficio di balia, che scelse il C. tra i sei capitani cui affidava il delicato compito di raccogliere fanti per il mantenimento dell'ordine nel territorio cittadino. Gli altri capitani erano il cugino materno del C., Vincenzo di Vinelli, e Brizio Giustiniani, Francesco d'Arquata, Pantaleo Navone, Paolo da Novi, al cui destino il C. sarebbe poi rimasto legato.
I disordini nella città continuavano: da una parte le turbolenze della famiglia Fieschi, dall'altra quelle dei popolari - che continuavano a rimproverare al governatore francese Filippo di Clèves un atteggiamento troppo tollerante nei confronti delle prepotenze dei nobili - mantenevano la situazione in costante crisi.
Il 6 ottobre, terminato il mese di carica dei sei capitani di Balia, l'Ufficio ne eleggeva quattro, tra cui ancora il C. e Brizio Giustiniani; gli altri venivano sostituiti con Bernardo di Castiglione e Gregorio Da Terrile: a ciascuno di essi venivano affidati cento fanti forestieri per il servizio d'ordine cittadino, che dovevano mantenere Icon provvedimenti d'emergenza, essendo affidata alla loro responsabilità la decisione di procedere contro i sediziosi con multe, messe al bando, confische di beni, pene fino a quella capitale. Contemporaneamente, tuttavia, era emanato un indulto generale per le colpe passate. L'8 ottobre il C. e gli altri capitani eranoimpegnati con le loro truppe nella prima azione d'ordine: in S. Maria di Castello si era costituito un assembramento di popolari che chiedevano di controllare l'operato dell'Ufficio di balia. Vassembramento veniva sciolto. Ma proprio in quell'ottobre esplodeva la rivolta delle "Cappette", cioè dei popolari, che costringeva il governatore francese a lasciare la città e la sua guarnigione ad asserragliarsi nel Castelletto.
Del C., in quei mesi di euforia popolare che videro la catastrofica guerra a Monaco e Mentone e, il 10 apr. 1507, l'elezione ducale del seatiere Paolo da Novi, non si hanno notizie. Ma certo dovette in qualche modo compromettersi, dato che il suo nome, con quello dei cugini Leonardo Calissano e Vincenzo di Vinelli, compare nella lista dei settantacinque cittadini di parte popolare condannati al bando perpetuo e alla confisca dei beni nel decreto del 14maggio 1507 firmato dal re di Francia, entrato vittorioso in Genova.
Il 24 luglio il C. risulta ancora tra i cinquantotto cittadini trattenuti in Castelletto. Quindi mentre Leonardo, ottenuto il perdono, riprende l'attività politica (sarà, già nel 1508, ufficiale di Gazaria, nel 1509 ufficiale di Banchi, nel 1514 dei Sindicatores, e una sua figlia, Simonetta, sposerà Battista della potente famiglia dei Fieschi-Botto), il C. è costretto all'esilio in Corsica. Qui morì, ad Argasiola, nel 1510.
Aveva lasciato la procura dei suoi beni al visconte De Blanchi di Argasiola. Rimasero a Genova i suoi tre figli maschi, Antonio, Giovan Francesco e Giacomo, sotto la tutela del fratello del C., Gregorio, non compromesso col governo popolare; a tutti loro, come a Gregorio, la riforma del 1528 permetterà, grazie al loro censo, l'iscrizione al libro d'oro della nobiltà.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Litterarum, reg. 43, 6 ott. 1506; Mss., n. 10, I, ad Indicem; n. 433, c. 7; n. 479, cc. 111, 112, 116; Notai 40/147 (L. Torre, 1494);40/165 (Parisola, 5110, doc. 268);E. Pandiani, Un anno di storia genovese, in Atti della Soc. lig. di storia patria, XXXVII(1905), pp. 39, 62, 325, 337, 551, 564; P. Massa, L'arte genov. della seta nella normativa del XV e del XVI sec., ibid., n. s., X (1970), p. 244.