CALEPIO (Caleppio), Pietro
Discendente dell'antica famiglia comitale, nacque a Bergamo nel 1762. Nulla sappiamo dei suoi studi ("uomo più zelante che dotto" lo chiamerà il Valeriani), né della sua formazione in un ambiente provinciale la cui tradizionale devozione al governo veneto cominciava ad essere incrinata dal malcontento per le difficoltà, economiche e gli eccessivi gravami fiscali e, negli strati superiori della società, dalla larga penetrazione delle idee illuministiche e poi rivoluzionarie. Naturali luoghi di ritrovo per i giovani partecipi di questi fermenti erano le due logge massoniche istituite, a quanto si diceva, da Cagliostro nel 1778; una di esse, "L'Unione", nel 1792 era presieduta da Marco Alessandri, e aveva tra i suoi membri il C. e Giordano Alborghetti: tre dei futuri protagonisti della rivoluzione di Bergamo. Fin dal 1793 era segnalata la presenza sospetta di ospiti milanesi in casa Calepio, e nel '95 egli fu probabilmente uno di quei giovani bergamaschi che si recarono a Genova per vedere i Francesi. Il pericolo di un sovvertimento politico, fino allora remoto, si fece ben più vicino e reale, l'anno seguente, con l'ingresso dei soldati del Bonaparte a Milano e lo spostarsi in territorio veneto delle operazioni militari contro l'Austria. Alla fine di dicembre il capitanio vicepodestà, Alessandro Ottolini, dovette assistere impotente all'ingresso in città di un presidio militare francese; della sovranità veneta rimaneva ormai solo un'ombra, e nei mesi successivi il C. e altri poterono liberamente recarsi a Milano a concertare la trama che doveva venire allo scoperto il 13 marzo, con l'allontanamento dell'Ottolini e l'erezione, sotto l'egida francese, di una municipalità rivoluzionaria composta di 24 membri. Il C. era naturalmente del numero, e anche nelle successive rifusioni del governo provvisorio bergamasco occupò posizioni chiave: fu incluso tra gli otto municipafisti "attivi" il 24 marzo, fu membro del Comitato di difesa generale e dal 30 maggio dei Comitati di difesa generale e di polizia riuniti. Tra i suoi compiti principali sembra essere stato quello di tenere contatti con le autorità militari francesi (in primo luogo il colonnello Landrieux, autoproclamatosi protettore della neonata repubblica) e con i patrioti milanesi, e poi di preparare l'unione di Bergamo alla Lombardia. Già all'indomani del 13 marzo era inviato con Luigi Pesenti a Milano per "fraternizzare con quella municipalità", e a Milano lo raggiungeva una lettera di Marco Alessandri del 9 maggio.
Secondo alcune testimonianze, l'atteggiamento del C. sarebbe stato in parte attribuibile a motivi d'interesse, possedendo egli beni nel Milanese (forse pervenutigli in seguito al matrimonio con una nobildonna ambrosiana, Teresa Stampa Soncino) e desiderando affrancarsi da un grosso debito contratto con l'arciduca Ferdinando; ma nulla di quanto sappiamo sul suo conto permette di ritenere insincera la sua adesione alle idee repubblicane.
Della sua attività egli fu comunque ricompensato, dopo la proclamazione della Repubblica cisalpina, con la nomina a membro del Comitato militare, uno dei quattro comitati istituiti da Bonaparte il 9 luglio per tener luogo del Corpo legislativo non ancora organizzato, e nel settembre successivo con quella a ministro plenipotenziario in Spagna, con trattamento di 64.000 lire annue. Il C. giunse a Madrid, dopo un lungo viaggio, il 20 dicembre, e vi rimase quindici mesi.
Il primo obiettivo della sua missione, ottenere il riconoscimento formale della Repubblica cisalpina da parte del governo spagnolo, fu subito raggiunto: e nei dispacci al proprio ministro degli Esteri, prima Carlo Testi e poi Ambrogio Birago, il C. si mostra un attento osservatore della scena politica iberica, dei rapporti tra Godoy e la corte, del contrasto tra l'acquiescenza di quest'ultima e la profonda ostilità popolare nei riguardi della Francia; anche sulla condotta della guerra troviamo osservazioni acute, come la critica mossa al troppo scarso aiuto fornito dalla Francia agli insorti d'Irlanda, suscettibile di trasformarsi in una "Vandea repubblicana".
La sua opera fu molto apprezzata dal governo cisalpino (malgrado la malevola definizione di "ex-noble imbecile" di lui data dal Visconti in una nota riservata: cfr. C. Zaghi) che nel sett. 1798 lo avrebbe destinato alla più importante sede di Parigi, se non avesse incontrato l'opposizione di Trouvé; nel febbraio 1799 fu invece decisa la sua nomina a ministro degli Esteri, in sostituzione del Birago. Preso congedo dalla corte spagnola, il C. partì da Madrid il 22 marzo, con l'intenzione di far tappa a Parigi; ma qui dovette fermarsi in seguito all'invasione austro-russa della Lombardia. Nei mesi che seguirono anch'egli fu partecipe delle amarezze e delle aspirazioni unitarie comuni a molti esuli cisalpini in Francia: ne fa fede la sua firma in calce alla nota petizione di Carlo Botta (luglio 1799). Il colpo di stato di brumaio, se segnava una svolta in senso autoritario, riaccese le speranze di una rapida soluzione del problema italiano; il 2 dicembre il C. e il suo concittadino Lorenzo Mascheroni andarono insieme a congratularsi col primo console, e ne ebbero assicurazioni e promesse in proposito.
Dopo Marengo il C. fissò la sua residenza a Milano. Ai Comizi di Lione si recò tuttavia in qualità di notabile del dipartimento del Serio (in cui figurava tra i dodici maggiori estimati); ne tornò con la nomina a membro del Collegio elettorale dei possidenti, che tenne la prima seduta a Milano dal 16 al 22 maggio 1802;egli riuscì eletto al Corpo legislativo, e contribuì forse a farne un organo di sorda opposizione al governo, come traspare da certi accenni del Melzi, che avrebbe preferito destinarlo a un incarico diplomatico. Un terzo dei componenti il Corpo legislativo doveva uscirne per sorteggio, come prevedeva la costituzione, dopo un biennio, e il C. fu tra questi. Nell'agosto del 1804fu quindi libero di recarsi a Parigi per provvedere all'educazione dei figli; e trovandosi già sul posto, fu designato a far parte della deputazione che assistette all'incoronazione di Napoleone imperatore, il 2dic. 1804, e firmò il primo statuto costituzionale del Regno d'Italia.
Neppure sotto il nuovo regime il C., malvisto oltreché dal Melzi anche dal viceré Eugenio, che gli rimproverava di essere "mal circondato" e di esercitare l'usura facendo prestiti al 20 e 30 per cento di interesse, ottenne quella posizione di primo piano cui probabilmente aspirava; e nel 1808 pose invano la sua candidatura al Senato. Non gli mancarono tuttavia i riconoscimenti ufficiali e le onorificenze. Rimessa in onore la massoneria con finalità spiccatamente celebrative delle glorie di corte, egli presiedette il 20 giugno 1805 la solenne adunanza delle cinque logge milanesi; e il direttore della polizia austriaca, Torresani, lo ricorderà in un rapporto del 1831 come "l'alter ego del principe Eugenio nella Gran Maestranza". Insignito della Legion d'onore e del titolo di cavaliere dell'Ordine della Corona di ferro, tenne la presidenza delle sedute del Collegio dei possidenti del dipartimento del Serio nel 1810 e nel 1811. Dopo la Restaurazione si ritirò dalla vita pubblica, e si rivolse al governo austriaco solo per chiedere la conferma della nobiltà della sua famiglia (1821) e il riconoscimento del titolo comitale (1826). Morì a Milano il 15 febbr. 1834.
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