CALEPIO, Pietro
Nacque il 13 genn. 1693 nell'antico feudo di Calepio che dette il nome alla sua famiglia comitale.
Bergamasco di nascita, dunque, poiché la valle di Calepio si stende presso la riva destra del fiume Oglio e perché egli visse poi gran parte della sua esistenza nella città di Bergamo, ma si dovrebbe anche dire veneto giacché ai suoi tempi il territorio era da secoli nei domini della Repubblica veneziana. Il C., tuttavia, non può definirsi uomo di cultura veneta, ed anzi le scarse notizie che possediamo intorno alla sua vita ci confermano questa sua assenza nient'affatto polemica eppur reale dalla civiltà veneta, anche se dobbiamo intendere come una presenza attiva e collaborativa e non come una prova estraneità le discussioni che egli ebbe intorno alla teoria del teatro con il rigido aristotelico padovano Giuseppe Salio e con il grande veronese Scipione Maffei, nonché l'attenzione che porse alla sua opera Antonio Conti.Dopo aver appreso i primi rudimenti da alcuni religiosi frequentanti la sua casa, egli fu mandato nel collegio di S. Antonio in Brescia donde uscì a diciassette anni, nel 1710, con piena lode, versato nelle lingue antiche e nella francese e già partecipe di accademie letterarie. Il padre, il conte Orazio, giurisdicente per conto della Repubblica, volle che il figlio, destinato a succedergli nella carica (avverrà nel 1740), si perfezionasse nello studio delle leggi a Roma. Sappiamo che ivi egli continuò lo studio della lingua greca e della latina, che s'occupò d'antiquaria, che affrontò con diligenza gli studi giuridici e "in quel poco di tempo che a lui riusciva libero, non mancò di frequentare le più scelte ed accreditate accademie di umane lettere" secondo quanto riferisce il biografo settecentesco Marco Tomini Foresti (p. V).
Il soggiorno romano, che sembra durasse all'incirca dal 1713 al 1716, lo vide, dunque, aggregato, col nome di Agesindo Grunidio, alle adunanze dell'Accademia dell'Arcadia, i cui intenti rinnovatori egli condivise con fervore, e certamente vi conobbe il Gravina alla cui opera accennò sempre con ammirazione nelle lettere al Bodmer e nella Descrizione de' costumi italiani e le cui teorie poetiche contribuirono ad avviarlo a quella discussione che si concluse nel Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia.Sisa anche per certo che a Roma, nelle sedute accademiche, recitò sonetti e canzoni, prime prove di un'attività poetica che non intermise poi per tutta la vita anche se la professò sempre come cura estemporanea e con modesta discrezione. D'altronde le sue liriche non si distinguono affatto nella vasta produzione arcadica e forse proprio la sua capacità autocritica, l'innato buon senso, la severa cultura teorica lo indussero a rifiutare e a distruggere anche le due tragedie, il Perdicca e il Seleuco (di quest'ultima rimane però un manoscritto mutilo) che forse ebbero la loro iniziale ispirazione nei giorni romani. In effetti il C. fu un autore che amò sempre lavorare nell'ombra o pubblicare difeso dall'anonimato, e tutto quello che dette alle stampe gli fu sollecitato o edito dagli amici svizzeri. Quando lasciò Roma sembra che indugiasse ancora in itinerari italiani per passare poi le Alpi e soggiornare in Francia "per apprendere appieno la lingua francese". Abbastanza sicura è la datazione del suo ritorno nel Bergamasco, intorno al 1717; da quell'anno non si mosse più dai luoghi natii, se non per qualche rapido viaggio a Venezia e a Milano, marito e padre affettuoso (s'era sposato nel 1730), giurisdicente solerte, di quando in quando presente negli uffici pubblici di Bergamo e pago di un modesto commercio epistolare con alcuni dotti sino alla serena morte avvenuta il 20 febbr. 1762.
Un destino che parrebbe averlo dovuto rinchiudere in un'area municipale; ma il C., invece, si caratterizza nella storia del primo Settecento italiano per il suo intenso e continuato rapporto con il mondo svizzero romando e alemannico e in particolare con la Zurigo di Johann Jakob Bodmer (1698-1783), il filosofo e letterato fondatore, insieme con Johann Jakob Breitinger (1701-1776), di quella "scuola svizzera" che ebbe poi notevole influenza nello sviluppo della filosofia estetica tedesca. Il Bodmer è l'autore di quel Briefwechsel von der Natur des poetischen Geschmakes (1736) in cui sono rielaborate alcune lettere inviategli dal Calepio. L'amicizia intellettuale fra i due (che però non si conobbero mai di persona) fu favorita da Caspar von Muralt (1698-1739), cugino del Bodmer, letterato anch'egli, bibliotecario a Zurigo, forse incontrato dal C. durante il soggiorno parigino, forse più tardi, a Bergamo, nel 1725. Al Muralt il C. indirizzò nel 1727 la Lettera sui costumi italiani, espressamente richiestagli e pubblicata poi senza nome dell'autore e tradotta da Gabriel Seigneux de Correvon (1695-1775) sulla neonata rivista ginevrina, la Bibliothèque Italique, negli anni 1728-1731.
Arricchita ma anche appesantita dal Seigneux di un vasto corredo di note, la Lettera (che nelle intenzioni del Murak doveva collegarsi con le Lettres sur les Anglois et les François et sur les voiages di suo cugino Beat Ludwig von Muralt, uscite anonime nel 1725)mostra un C. molto attento nel tracciare il quadro della cultura letteraria italiana, di cui sottolinea la ripresa promossa dalla restaurazione arcadica sia negli aspetti più specificamente poetici ed artistici sia nell'incremento degli studi critici ed eruditi derivati dalla tradizione umanistica; al contempo il C. è diligentemente compiaciuto nel descrivere l'attività scientifica del paese, gloriosa del suo passato e del presente continuatoredella scuola galileiana dopo la decadenza verificatasi nella seconda metà del Seicento. Il C., insomma, affida all'entusiasmo arcadico il compito di riportare la cultura e la scienza italiana a gareggiare nuovamente con quelle delle altre civiltà europee. Ma non era tanto questa la parte più nuova dello scritto (d'altronde già preceduta nella medesima rivista dalla traduzione del Discorsosuimigliori poeti italiani di Scipione Maffei e dall'Ideadella storia dell'Italia letterata di Giacinto Gimma) quanto quella (che nell'ordine del libretto èla prima) riguardante gli aspetti più propri del costume. Non ci si attenda dal C. una disamina spregiudicata e drammatica della società italiana; come suddito quieto di una repubblica timorosa e occhiuta, come cittadino di una società ancora lontana dai fermenti borghesi oltremontani, non gli sarebbero stati possibili giudizi troppo recisi sulla vita politica italiana e sui caratteri sociali della penisola. Egli medesimo si schermiva nell'esordio sostenendo la mancanza in Italia di comuni regole generali alle quali ridurre il discorso sull'intera nazione. Tuttavia nella Descrizione de' costumi italiani (questo è il titolo originale) sono già notevohnente interessanti gli indugi su alcuni vizi e difetti privati e pubblici nonché su alcune virtù delle classi dominanti e del popolo tutto, quali, ad esempio, l'eccesso delle cerimonie, anche epistolari, che il C. imputa, sulla scia del Casa, all'influenza negativa dei costumi stranieri, eccesso temperato però da un sincero sentimento d'amicizia frequente negli Italiani. E ancora, la naturale ed antica prudenza, discesa dall'"antica saviezza dell'imperio di Roma", si manifesta in alcune repubbliche fra le quali la veneta che "fu fatta ad imagine della romana" e si diffonde in tutti gli strati sociali incarnata nella gravità, nella circospezione e nella segretezza dei pensieri. Ma sono da biasimare la scarsa considerazione che si ha della donna in molte parti d'Italia sia nell'ambito familiare sia in quello del lavoro, ove si eccettuino Venezia, Genova e Torino, e il lusso eccessivo degli addobbi e delle vesti, altro frutto dell'influenza straniera; così come è da lamentare il cattivo funzionamento delle scuole e la poca sensibilità dei padri nell'assecondare i diversi talenti dei figli. Per gli Italiani è soprattutto nocivo "il sistema de' dominii presenti" che li "lascia languire in una vita scioperata, lungi dall'impiego della milizia", cosicché l'ozio, "in cui già da lungo tempo vive la maggior parte de' nobili, siccome per lo passato così pure ora contribuisce non poco alla loro dissolutezza".
Nonostante, dunque, la convinzione del primato culturale e civile italiano che non può non riaffermarsi, vi era nel C. il bisogno di illustrare agli stranieri, con scrittura piana ed agile e con illuminata varietà d'argomenti, le lacune della società, ma sussisteva anche l'esigenza costante di attenersi ad una misura chiara e serena del reale: quella medesima, in fondo, che doveva averlo indotto a rifiutare le due tragedie in quanto espressioni letterarie troppo soggette a fredde regole aristoteliche, anziché aderenti ad un'interpretazione più libera della poesia che la sua età aveva cercato di contrapporre alla letteratura elegantemente e solennemente razionalistica francese. Già l'Apologia del Edippo di Sofocle contra le censure del signor di Voltaire (composta nel 1725, ma stampata, sempre anonima, solo nel 1742, a Zurigo, per le cure del Bodmer) aveva opposto al razionalismo classicistico del Voltaire una serie di obiezioni: ogni volta che la tragedia greca veniva accusata di condurre innanzi situazioni inverosimili o contraddittorie, il C. sosteneva la possibilità di tali situazioni in nome di un "mirabile verisimile" e in nome di una complessità della natura umana che, alla fine, si riconduce all'esigenza di un approfondimento della psicologia dei personaggi. L'Apologia fuun'opera, tutto sommato, modesta ma che indicava la via sulla quale si sarebbe mosso il C. negli anni successivi, quando, acceso e sostenuto dal colloquio epistolare col Bodmer, s'accinse a stendere il Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia.
Uscito la prima volta a Zurigo nel 1732, il Paragone rimarrà la cura assidua dei restanti trent'anni di vita del C., invano teso ad approntarne una seconda definitiva redazione. Le varie giunte, infatti, che leggiamo in appendice alla seconda edizione, postuma, uscita a Venezia nel 1770, avrebbero dovuto fondersi con il vecchio testo ed essere accompagnate da una risposta (rimasta inedita) a Scipione Maffei recensore del primo Paragone (in Osservazioni letterarie [Verona] I [1737] art. XIII) e dalla Confutazione (ritrovabile questa nell'edizione veneziana) dell'Esame critico intorno a varie sentenze d'alcuni rinomati scrittori di cose poetiche, ed in particolare dell'Autore del Paragone scritto da Giuseppe Salio.
Negli esami particolareggiati del Paragone, dove continuamente sono citate tragedie d'autori italiani e francesi, in un faticoso tessuto di confronti, è possibile scorgere il fine del C., che era quello di proporre una più libera interpretazione dei dettami di Aristotele, una più duttile comprensione della natura umana, per un desiderio di commozione che inducesse a ridurre gli schemi solenni e rigidi del genere letterario pur rispettandone il decoro e l'altezza dello stile. Il C., preoccupato della discussione teorica, intento a dar rilievo all'esigenza di non spezzare l'indissolubile legame della compassione e del terrore come strumento morale ineliminabile ai fini della creazione della catarsi tragica, perde di mira il valore intrinseco di ogni singola tragedia, e le opere del Corneille o del Racine, ad esempio, lo interessano soltanto nella misura in cui servono al suo assunto speculativo e nella misura in cui possono essere, quindi, esaminate sotto il profilo del soggetto, della trama, dei caratteri, dell'elocuzione e di altri elementi la cui somma dovrebbe corrispondere ad una idea di tragedia perfetta. D'altronde anche nel suo colloquio epistolare col Bodmer (iniziato alla fine del 1728 e durato sino al 1761) si nota la sua propensione per la discussione astratta, nonostante che le sue obiezioni, volte alla difesa dell'immediatezza del gusto, del piacere estetico, dei valori sensibili o sentimentali della poesia, appaiano, almeno in questa fase circoscritta della meditazione d'entrambi, più concrete e meno intellettualistiche di quelle del Bodmer. Ma il grande studioso zurighese continuerà, insieme col Breitinger, a sviluppare il suo impegno teorico, mentre il C., una volta assolto il suo compito di tramite garbato e prudente tra gli amici svizzeri e la cultura contemporanea italiana, si assesterà in una posizione teorica equilibrata tra la difesa della poetica aristotehca, l'esigenza di un suo perfezionamento e al contempo la preoccupazione di un fine morale che gli impedirà di essere un fertile lettore di poesia come già aveva insinuato il Maffei.
Anche il carteggio col Bodmer mostra come, col passare dei decenni, fossero prevalsi nel C. interessi eruditi, il gusto per l'epigrafia, le ricerche di storia locale, gli studi linguistici che si concreteranno in giunte e proposte per il vocabolario della Crusca e in un esame storico dell'ortografia italiana.
Opere: [J. J. Bodmer-P. Calepio], Briefwechsel von der Natur des poetischen Geschmakes, Urich 1736; Lettre de Mr… sur le caractère des Italiem, in Bibl. Italique, III(1728), pp. 205-251; IV (1729), pp. 1-28; VI (1729); pp. 220-255; VII (1730), pp. 129-150; VIII (1730), pp. 126-164; IX (1730), pp. 180-230; X (1731), pp. 105-127 (vedi ora il testo originale: Descrizione de' costumi italiani, a cura di S. Romagnoli, Bologna 1962); Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia, Zurigo 1732; 2 ediz., Venezia 1770, corredata di una lettera di G. Mazzoni, della Vita dell'autore scritta dal conte Marco Tomini Foresti (pp. VII-XI), di una Prefazione, non firmata, del figlio Galeazzo, di un avviso in latino tratto dall'edizione zurighese, e di varie giunte (pp. 147-360), che si possono leggere manoscritte nell'Archivio Calepio della Bibl. civica di Bergamo; Apologia del Edippo di Sofocle contra le censure del signor di Voltaire, Zurigo 1742 e, a cura di M. Scotti, in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX(1962), pp. 392-423; rime diverse scritte dal 1732 al 1760, soprattutto per nozze e per occasioni religiose, si leggono, nelle edizioni a stampa della Civica di Bergamo; in Bergomum, luglio-settembre 1946, pp. 99-109, uscì a cura di C. Caversazzi, Il "Pater Noster", traduzione e annotazioni di P. C.; Lettera sulla storia dell'ortografia italiana, in C. Bascetta, Una breve storia settecentesca dell'ortografia italiana (La lettera di P. C. a C. von Muralt), in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, classe di scienze morali e lettere, CXXIII (1964-65), pp. 117-156; Lettere a Bodmer, a cura di R. Boldini, Bologna 1964; manoscritti del C. si trovano nel citato Archivio Calepio della Bibl. civica di Bergamo, soprattutto nel Faldone 89, e presso la Biblioteca nazionale di Brera a Milano: AC.X.38.
Fonti e Bibl.: L. Donati, Bodmer und die italienische Literatur, in J. J. Bodmer Denkschrift zum CC Geburtstag, Zürich 1900, pp. 241-312; H. Quigley, Italy and the Rise of a new School of Criticism in the 18th Century…, Perth 1921; J. G. Robertson, Studies in the Genesis of Romantic Theory inthe Eighteenth Century, Cambridge 1923, ad Ind.;G. Moretti, Note su P. C. critico e letterato, in Bergomum, XXXI(1937), pp. 1-21; B. Croce, Problemi d'estetica, Bari 1940, pp. 373-382; M. Biscione, P. C. e i riflessi europei della cultura italiana nella prima metà del sec. XVIII, in Giornale critico della filos. ital., XX(1940), pp. 185-205; R. Boldini, G. G. Bodmer e P. C. Incontro della "scuola svizzera" con il pensiero estetico italiano, Milano 1953; S. Romagnoli, Appunti bibliografici e critici su P. C., in Bergomum, XLIX (1955), pp. 1-7, e rec. al Boldini, in Svizzera italiana (Locarno), XVI (1955), pp. 51-53; M. Fubini, in Giorn. storico della letter. italiana, CXXXIII (1956), pp. 621-628 (rec. al Boldini); M. Scotti, L'"Apologia di Sofocle" di P. del conti di C., ibid., CXXXIX(1962), pp. 392-423; S. Romagnoli, in P. Calepio, Descr. de' costumi ital., Bologna 1962, pp. IX-LXIV; M. Fubini, in Giornale stor. della letter. italiana, CXLII (1965), pp. 122-128 (rec. a P. Calepio, Lettere a J. J. Bodmer;questa e la precedente recensione sono state poi raccolte dal Fubini sotto il titolo: Una fama da ridimensionare: P. dei conti di C. - II carteggio Bodmer-C., in Saggi e ricordi, Milano-Napoli 1971, pp. 144-178); E. Straub, Zur Veröffentlichung des Briefwechsels zwischen Bodmer und C., in Germanisch-Roman. Monatsschrift, n.s., XVI(1966), pp. 314-319; Id., Der Briefwechsel C. - Bodmer. Ein Beitrag zu Erhellung der Beziehungen zwischen italienischer und deutscher Literatur im 18. Jahrhundert, Berlin 1965 (opera fondamentale alla quale gioverà sempre riferirsi anche per la ricchezza bibliografica); L. Sanna, La risposta del C. alle riflessioni del Maffeisul "Paragone della tragica poesia", in La Rassegna della letteratura italiana, LXXVI (1972), pp. 53-70.