CALBO, Pietro
Nacque a Venezia nel 1524 da Antonio, un nobile che aveva dedicato l'intera vita al servizio della Repubblica e che nel 1530 si era particolarmente distinto alla difesa della Canea. Nel 1552, dopo essere stato eletto camerlengo a Padova, il C. fa parte della Quarantia, dapprima con la carica di "civil vecchio", quindi, nel 1554, dopo la breve parentesi (10 agosto-dicembre 1553) di "officialis supra frumento Rivoalti", di "ordinario"; nel 1556 è "auditor novo", poi entra nel 1559 alla "camera d'imprestidi", nel 1563 alle Rason vecchie, nel 1568 fa parte dei Dieci savi, e dei Pregadi nel 1569. Nell'inverno del 1571 fu nominato rettore della Canea, sulle orme del padre; incarico delicato in quanto, in un momento di particolare tensione col Turco, lo poneva di fronte a continui problemi giurisdizionali e contrasti religiosi fra appartenenti al rito latino e la comunità di rito greco.
Tali contrasti erano ormai una costante nella vita cittadina da quando, il 22 apr. 1569, il doge Pietro Loredan era dovuto intervenire presso l'arcivescovo Luigi Delfino, intransigente oppositore del rito greco, e tendente a monopolizzare l'intera vita religiosa limitando la "libertà" dei greci contro le direttive della Repubblica, affinché "sie trovato rimedio cum satisfatione universale senza che si divenga a maggior contesa… e si conserveno l'una et l'altra giurisdittione". Ma tale invito era rimasto lettera morta. Nel maggio del 1573, infatti, i contrasti e la tensione erano considerevolmente aumentati, originati dalla morte di una gentildonna della famiglia Renier sposata ad un nobile cretese, la quale, pur battezzata secondo il rito latino, aveva chiesto di essere sepolta nella chiesa greca di S. Salvatore. L'arcivescovo vi si oppose decisamente, contravvenendo pure all'autorità papale che aveva permesso l'esecuzione della volontà della Renier; tacciò il C. di "heretico", accusò i Greci di essere "hebrei" proibendone una processione, contribuendo, in tal modo, a far salire la tensione fra le due comunità fin quasi allo scontro violento. Sarà il C., con un intervento diretto presso il Consiglio dei dieci, a riportare la calma sottolineando, con lungimiranza politica, come "tali publici risentimenti potriano partorire qualche pericolo" sia contro Venezia, dimostrandosi essa debole nei riguardi delle "pretese" del potere religioso, sia contro la stessa fede cattolica, dando origine a "parole scandalose contra la degnità et auttorità della Santa Sede"; il C., in tal modo, si poneva nella linea di tolleranza e di rispetto delle libertà locali quali Venezia saltuariamente perseguiva nei territori orientali a diretto contatto col Turco.
Morì, nel novembre 1574, lasciando agli otto figli un notevole patrimonio: la casa paterna nella contrada di S. Geminian, vari palazzi in Venezia (tre case nella contrada di S. Pantalon e un "botteghin" in S. Bartolomeo), la casa dominicale di "Saletto" e centotrentun campi nel distretto di Montagnana. Dietro suo desiderio fu sepolto senza "dimonstratione di alcuna vana pompa" poiché il suo corpo era "vilissima terra".
Fonti e Bibl.: Per i dati biografici cfr. Archivio di Stato di Venezia, Ziliol Cesare. Testamenti, b. 1261, n. 810; Ziliol Cesare. Protocolli, b. 1263, n. V, c. 91r-96v; Capi del Consiglio dei dieci. Lettore di rettori, b. 286; Segretario alle voci, regg. 5, 11; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 2889: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio…, I, c. 117rv. Per i problemi generali, G. Cozzi, Ildoge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, e G. Fedalto, Ricerche storiche sulla posizione giuridica ed ecclesiastica dei Greci a Venezia nei secoli XV e XVI, Firenze 1967, pp. 81-101.