CAFA, Pietro
L'ipotesi che questo modesto stampatore dell'inizio, del sec. XVI fosse di origine giudaica, oltre che essere sostenuta dal nome (Capha, Cefa, "pietra"), sembrò trovare, in un primo tempo, conferma nel fatto che egli fu al servizio di uno dei più celebri editori e stampatori di testi ebraici: Gerson ben Moses di Soncino. Una successiva e più approfondita analisi delle vicende note della sua vita e delle opere prodotte portò, invece, a conclusioni diverse.
Originario di Capo d'Istria entrò, in epoca imprecisata, al servizio di Aldo Manuzio con mansioni che il titolo di maestro non definisce con sufficiente chiarezza. Nel primo testamento che il grande editore veneziano fece il 27 marzo 1506, in occasione del suo viaggio in Terraferma, sono infatti ricordate "doe figliole de mistro Petro da Cafa mio compatre", come beneficiarie di un lascito di 250 ducati da distribuirsi in misura uguale a dieci donzelle tutte figlie di collaboratori d'officina o di servitori di casa o comunque di "compatri". Questo termine, di significato pressoché univoco, assume nella circostanza notevole valore, perché smentisce ogni ipotesi sull'origine ebraica del Cafa.
è tradizione comunemente accettata che in casa di Aldo egli abbia imparato o quanto meno si sia perfezionato nell'arte della stampa, perché la prima volta che il suo nome compare nel colofone di un'opera - il De situ orbis di Pomponio Mela, uscito a Pesaro "per Petrum Capha, in domo Hieronymi Soncini, 1510, die IX Februarii" - si mostra provetto tipografo.
Quando abbia lasciato l'officina manuziana è ignoto; ma, tenuto conto della data della sua prima sottoscrizione, si può arguire quale sia stata la ragione che l'indusse a cercare rifugio altrove. Forse più che "dubitto deli nemici et de asedio" (G. Priuli, I diari, in Rerum Italic. Scriptores, 2 edizione, XXIV, 3, vol. IV, a cura di R. Cessi, giugno del 1509), conseguente al disastro di Agnadello (14 maggio 1509), poté su di lui il timore di pericoli più concreti e personali dovuti alla crisi che travagliava l'azienda di Aldo e di Andrea Torresano. Mentre infatti alcune botteghe riprendevano a lavorare già nello stesso mese di giugno (Lucantonio Giunta, per esempio), o poco dopo, l'officina manuziana chiudeva nel maggio e riapriva nel 1512.
Le vicende successive della vita del C. propongono altri interrogativi che le nostre attuali conoscenze non permettono di risolvere compiutamente sia per quanto concerne la scelta di Pesaro come luogo di residenza, sia per la permanenza in casa di Gerolamo Soncino, emulo di Manuzio in più di un'occasione.
La constatazione che sette delle otto opere prodotte dal C. rechino l'indicazione "in casa" o "a nome" del Soncino, può ben indurre a credere che l'influenza dell'editore ebreo, favorito dalla protezione di Giovanni Sforza - ex marito di Lucrezia Borgia - signore della città, sia all'origine della presenza del C. in Pesaro; ma non è da escludere che il suo arrivo debba essere posto in relazione con la scomparsa di Nicola Brenta, il tipografo che, finito di stampare per proprio conto, nel dicembre 1509, il Confessionale del Savonarola, non compare più nel Pesarese.
Comunque siano andate le cose, il nuovo venuto fu subito attratto nella sfera di influenza del Soncino, anche se le espressioni usate per indicarne la dipendenza non sono sufficientemente rivelatrici del tipo di rapporto intercorrente fra i due. Chi legge la lettera anteposta al Dialogo di s. Gregorio papa, stampato il 15 luglio 1510 0 la raccomandazione a Ginevra Tiepolo, nuova consorte dello Sforza, nella dedicatoria premessa al Confessionale Medicina dell'anima di s. Antonino, del 13 aprile precedente, non può far a meno di pensare che al Soncino "andasse tutto l'onore e il provento", mentre al C. tipografo non restava altro che il nome. Ma è probabile che le formule usate, analoghe a quelle contenute in alcune edizioni milanesi di Leonardo Vegio e Alessandro Minuziano e veneziane di Francesco de Consortibus e Pietro Liechtenstein, nascondano patti associativi dove il profitto del C. era convenientemente salvaguardato. La collaborazione tra i due durò fin verso la fine del luglio 1510, data alla quale si fanno risalire i Capitoli della fraternita di s. Antonio, che, pur essendo apparsi senza indicazione di data, sono certamente anteriori al 27 di quel mese, giorno della morte di Giovanni Sforza, dedicatario dell'opuscolo.
è da sottolineare anche che, probabilmente in considerazione dell'ignoranza dell'ebraico da parte del C., la produzione della società si rivolse solo a testi prevalentemente già editi, latini o italiani, di contenuto religioso (oltre ai citati, l'Opus passionis Christi meditationum di s.Bonaventura) o scolastico (Formulario da ditare litere di Bartolomeo Miniatore e la Spica del Mancinelli). Una pubblicazione a sé è il Fioretto de cose noue nobilissime, l'unica opera che, prodotta dal C., non rechi anche il nome del Soncino, pur essendo stata di certo stampata nella sua officina su istanza di Niccolò Zoppino.
Dopo il luglio 1510 si perdono le tracce del C.; quando il 28 giugno 1512 esse ricompaiono, il suo recapito ècambiato in "Arimini in contrata sancti Georgii de foro"; ma l'atto che contiene la notizia - una semplice dichiarazione di aver ricevuto 200 ducati d'oro indote della moglie Elena di Luca Falconi di Venezia - non rivela né il campo di attività né la ragione del trasloco. La segnalazione tuttavia ha dato credito all'ipotesi che il C. avesse impiantato una nuova tipografia rilevando la concessione accordata dalla comunità al Brenta fin dai primi mesi del 1511. Nessun libro a firma del C. è però stato rintracciato con l'indicazione di Rimini.
Fonti e Bibl.: Tuttora valide sono le pagine che al C. riservò G. Manzoni negli Annali tipografici dei Soncino, III, Bologna 1883, pp. 207-256, dove sono anche descritte le otto opere da lui curate. Riferimenti alla sua vita aveva dato in precedenza L. Tonini, Sulle officine tipografiche riminesi, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, IV(1866), pp. 123-168, ove è riportata la notizia, desunta da un rogito notarile di S. Medaschi (28 giugno del 1512), citato da L. Zanotti, Collezione dei monumenti riminesi, XIII, c.154, del passaggio del C. per Rimini. Nessun riferimento fa invece C. Castellani ripubblicando in La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di Aldo Manuzio seniore, Venezia 1889, p. 93, il primo testamento del grande editore veneziano (Arch. di Stato di Venezia, Sezione notarile, Notaio G.F. Dal Pozzo, 27 marzo 1506), dove sono ricordati i rapporti di amicizia tra Aldo e il Cafa. F. Isaac, in An index to the early printed books in the British Museum, part II, MDI-MDXX, section II, Italy…, London 1938, pp. 134-135, descrive succintamente i caratteri tipografici usati dal C.: 2 gotici (mm 140 e 92) e 2 romani (mm 112 e 83), mentre M. Sander, in Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, Milano 1942-43, elenca sei edizioni con figure (nn. 432, 451, 791, 1193, 2774, 3271).
Tutte le informazioni note sul C. sono state riprese e criticamente vagliate da F. J. Norton, in Italian printers 1501-1520, London 1958, pp. 82-83.