CAETANI, Pietro
Duca di Sermoneta, terzo di questo nome, nacque intorno al 1562. Primogenito di Onorato (IV) e di Agnesina Colonna, era di corporatura alta e massiccia ed è ricordato per la sua prodigalità e per la sua grande ambizione. Coinvolto in uno spiacevole episodio di violenza mentre era in compagnia di uno dei giovani Orsini, la famiglia ritenne opportuno allontanarlo dalla irrequieta vita della nobile gioventù romana e provvide a procurargli un incarico all'estero. Per interessamento di Ottavio Farnese presso il figlio Alessandro, partì infatti nel marzo 1584 diretto in Fiandra, munito di adeguata scorta procuratagli dal duca di Urbino e di un prezioso volumetto di Instruttioni, che in seguito ebbe un notevole successo di stampa anche in Inghilterra. Dopo una doverosa sosta a Parma e qualche giorno di ospitalità presso il duca di Savoia a Torino, giunse a destinazione, preceduto da un annunzio formale del padre a Filippo II. Iniziò così la sua attività al servizio di Alessandro Farnese, per incarico del quale partecipò all'attacco contro la città di Gand e, in seguito, all'assedio di Termonde. L'intera campagna di repressione delle rivolte dei Paesi Bassi fu dura e difficile, resa più aspra dalle inclemenze del tempo: ma il C. vi mise tutto il suo entusiasmo, e si distinse in diverse occasioni, tanto da poter sperare in promozioni e in sostanziosi stipendi. I disagi e l'inverno del 1585 fecero, comunque, le loro vittime e anche il C. fu costretto a letto per oltre un mese da un violentissimo attacco di febbre e dissenteria che lo ridussero in fin di vita. Si ristabilì, tuttavia, e nel febbraio dello stesso anno poté ottenere il comando di una intera compagnia di cavalleria. Partecipò così alle operazioni militari contro Bruxelles e più tardi al famoso assedio di Anversa. In questa occasione fu ferito, ma non gravemente, tanto da poter assolvere ad altri incarichi, prima nella Gueldria, poi presso Maestricht, sulla frontiera orientale. Fu allora messo a disposizione di Ernesto di Baviera che gli affidò, in agosto, il comando di quell'intero settore col grado di generale: sotto di lui militavano venti compagnie di cavalli e circa tremila fanti, in una logorante guerra di posizione.
Per il Natale del 1585 gli fu concessa la sua prima licenza e tornò a Roma. Nel frattempo Alessandro Farnese, in ricompensa del servizio prestato, interpose i suoi buoni uffici presso Filippo II, il quale gli fece avere, per l'inizio dell'anno nuovo, la nomina a componente del Consiglio di guerra in Fiandra. Accompagnato dal fratello Ruggero, il C. riprese il suo posto accanto al Farnese nell'ottobre, ma questo secondo periodo fu per molti versi meno felice del primo. Si rivelarono allora pienamente alcuni tratti del suo carattere che gli fecero allontanare persino il fratello. Era autoritario e troppo consapevole del proprio valore, eccessivamente duro e molto spesso scortese. Appena tornato in Fiandra entrò in contrasto con un ambasciatore accreditato presso il Farnese il quale, anche per questo, ritardò nell'assegnargli il desiderato comando di un "tercio" di cavalleria. Il C. reagì vivacemente minacciando di abbandonare il suo posto, ma il generale lo tenne costantemente impegnato in operazioni militari (fra cui una riuscita imboscata presso Berghes), durante le quali fu di nuovo ferito. Si preparò anche per la progettata invasione dell'Inghilterra, ma la disfatta dell'"Invincibile Armata" rese vana la spedizione. Ebbe allora il comando di cavalleria alla frontiera sul Reno, ma poco dopo lo cedette a Ruggero perché finalmente il Farnese, deposte le sue riserve, gli assegnò, nel giugno 1590, il comando di un "tercio" di fanteria. Si trasferì così in Francia, in appoggio del duca di Mayenne che, a capo della Lega cattolica, combatteva i calvinisti ed Enrico di Navarra. Fece con lui tutta la campagna, dalla espugnazione di Corbeil alla battaglia presso Nancy e, anche dopo il rientro in Italia di Alessandro Farnese, al rinforzo della guamigione di Parigi.
L'elezione di Gregorio XIV e il momento favorevole che si prospettava per i Caetani convinsero tuttavia il C. a tornare a Roma nel dicembre 1590, e il 3 maggio 1591 venne nominato dal papa prefetto generale della cavalleria pontificia in Francia sotto Ercole Sfondrato e il duca di Montemarciano. Partì, infatti, con il fratello Gregorio e si unì a Bologna con il Montemarciano, iniziando il viaggio verso la Francia per la guerra contro Enrico IV. A Milano però contrattempi e ritardi tennero fermo per due mesi il C., impaziente e gravato di spese, nonostante che re Filippo continuasse a corrispondergli lo stipendio che gli attribuiva in Fiandra. L'esercito finalmente entrò in Francia con il C. in avanguardia, allorché cominciò a manifestarsi qualche contrasto col Montemarciano, più prudente e riflessivo nella condotta generale della guerra. Durante il viaggio verso la Lorena, il C. si ammalò per una recrudescenza della sifilide che aveva contratto in Fiandra. Chiese degli uomini al Montemarciano perché lo scortassero dal duca di Lorena per curarsi: dal rifiuto che ne ricevette nacque fra i due un incidente che invano cercarono di comporre amichevolmente monsignor Matteucci, il duca di Mayenne e il duca di Parma. Il duca di Montemarciano ordinò le dimissioni del C., poi confermate dal papa in seguito a un dettagliato rapporto.
La notizia del diverbio fece il giro d'Europa e ne parlarono perfino le gazzette tedesche. Il C. comunque si recò a Nancy e vi rimase finché non gli parve di essere guarito, poi si avviò verso Roma. Ad Altdorf, in Svizzera, fu vittima però di uno sconcertante episodio: fu infatti arrestato per un vecchio conto lasciato in sospeso dal legato cardinale Enrico Caetani. Il nuovo papa Innocenzo IX cercò inutilmente di farlo scarcerare, impresa che riuscì al successore Clemente VIII per mezzo di due energici brevi. Dopo quattro mesi di carcere il C. si recò allora dal duca di Mantova per consigliarsi in merito al duello che riteneva necessario col Montemarciano. Gli interventi congiunti del papa, di Ranuccio Farnese e del duca di Urbino ottennero una ritrattazione da parte del Montemarciano e si giunse così alla pacificazione (1592).
La morte del padre costrinse il C. a rinunciare a una nuova campagna nelle Fiandre per assumere la signoria di Sermoneta e occuparsi, fra l'altro, del problema dei banditi che infestavano le paludi Pontine insieme con un'altra banda capitanata da Giovanni Aguzzetto.
Interpellato in proposito dai ministri di Cisterna, il C. consigliò di accordarsi coi banditi con l'intento, come dirà poi, di servirsi di essi per uccidere Aguzzetto. Questo atteggiamento, che apparve connivenza coi banditi, sollevò un grosso scandalo: fu ordinato un processo e il papa ordinò al C. di considerarsi prigioniero nel suo Stato. Il governatore di Roma si mostrò particolarmente accanito nella repressione di questi episodi di malcostume, inasprito anche da analoghi episodi verificatisi a San Felice e alla torre della Moresca.
Ottenuto tuttavia il permesso di rientrare a Roma, nel giugno 1593 il C. sposò Felice Maria Orsini, figlia di Ferdinando duca di Gravina. Ottenuto dopo le nozze il perdono di Clemente VIII, si ritirò in campagna conducendo una vita tranquilla e ritirata. Nonostante fosse seriamente minacciato dalla sifilide, egli non abbandonò mai la vana speranza di avere figli né le aspirazioni militari. Alla fine del 1597 partecipò alla organizzazione della spedizione contro Cesare d'Este, che gli fruttò la nomina a comandante in capo dell'esercito pontificio col rango di mastro generale di campo. La conquista pacifica di Ferrara gl'impedì tuttavia di prendere effettivo servizio.
Le disagiate finanze della casa lo indussero a pratiche insistenti per ottenere onori e pensioni da Filippo II: dopo ventun anni di perorazioni, il 10 genn. 1600 ottenne il Toson d'oro e, due anni dopo, un aumento della pensione. Nel 1604 ebbe l'autorizzazione pontificia a erigere un "Monte Caetano" di 370-000 scudi, mentre gli riusciva ancora difficile cancellare l'ipoteca che più di dieci anni prima era stato costretto a mettere sulla futura produzione di grano dell'abbazia di San Leonardo in Puglia.
Morì nel 1614, dopo aver nominato eredi i fratelli Bonifacio, Antonio e Filippo e aver dato disposizioni per il pagamento dei molti debiti.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Caetani, Fondo generale [vecchia numerazione], 189204, 15077, 15076, 178901, 177127, 178914, 145738, 147981, 145149; Prg. 2525, 3428; Misc. 903 (lettere di G. F. Peranda); P. Pantanelli, Notizie istoriche appartenenti alla terra di Sormoneta, Roma 1911, I-II, ad Indicem;G. Caetani, DomusCaietana, II, San Casciano Val di Pesa 1933, ad Ind.;Id., Caietanorum genealogia, Perugia 1920, tav. A-XXXIX e pp. 76 ss.; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 121.