SANVITALE, Pietro Brunoro
– Figlio naturale di Obizzo, del ramo dei Sanvitale di Gianquirico, e di madre sconosciuta, nacque a Parma, probabilmente agli albori del Quattrocento, tenuto conto dell’inizio della sua attività di soldato.
Si distinse nei decenni centrali del XV secolo come condottiero al servizio delle principali compagini statali della penisola. Esordì sulla scena politico-militare al servizio di Niccolò Piccinino, al quale Filippo Maria Visconti aveva affidato la campagna contro le truppe veneziane, entrate in Valtellina nel settembre 1432, al comando del provveditore Giorgio Corner. Il conflitto si risolse con la battaglia di Delebio, tra il 18 e il 19 novembre di quell’anno, dove i Veneziani subirono un’importante sconfitta. Pietro Brunoro, al comando di reparti di fanteria, svolse un ruolo centrale nel conseguimento della vittoria.
A lui fu lasciato il controllo sul guado dell’Adda, presso Sorico, dove il 18 novembre fu respinto un primo attacco visconteo. Nella notte, Niccolò Piccinino fece colmare il fossato che proteggeva l’accampamento veneziano, dando battaglia la mattina seguente. L’effetto sorpresa, aumentato dal rumore «di timballi e di corni» (Pezzana, 1842, p. 334) che Pietro Brunoro fece produrre ai suoi uomini, con l’apporto di un nuovo contingente di truppe valtellinesi guidato da Stefano Quadrio, diede ai viscontei una vittoria schiacciante.
Piccinino partì all’inseguimento dei nemici, mentre Pietro Brunoro restò al comando del campo visconteo, a Morbegno, con il compito di controllare tutto il territorio tra la Valgerola e Campione di Sacco.
In questo periodo, forse nel corso di una battuta di caccia, conobbe Bona Lombardi, sua futura moglie. I due non si sposarono per molti anni, probabilmente a causa della disparità sociale, essendo Bona figlia di pastori. Nondimeno, ella seguì Pietro Brunoro in tutti i suoi incarichi militari, fino al matrimonio nel 1453. Dalla loro unione nacquero i figli Antonio e Obizzo.
Finita la condotta sotto le insegne di Piccinino, Sanvitale passò al servizio di un altro condottiero visconteo, Francesco Sforza, partecipando tra il 1433 e il 1434 alla campagna di conquista delle Marche, che il suo nuovo capitano intraprese contro papa Eugenio IV, in chiave antiveneziana.
Nel 1434 Pietro Brunoro seguì Sforza al servizio della lega antiviscontea. Per salvare la sua ormai critica posizione, infatti, il pontefice aveva nominato Sforza marchese di Fermo e gonfaloniere della Chiesa, conferendogli il vicariato quinquennale su altre città marchigiane. Filippo Maria Visconti, sentendosi tradito, inviò Piccinino contro Sforza, aprendo una nuova fase di guerra con Venezia, Firenze e il Papato, a cui Pietro Brunoro prese parte attiva. Tra il 1435 e il 1436 condusse una serie di scontri minori nelle Marche in difesa degli interessi sforzeschi, finché, nella prima metà del 1437, fu inviato a Lucca per ostacolare l’avanzata di Piccinino contro l’alleata Firenze.
Nel giugno 1437 espugnò gli strategici castelli di Barga, dove si era rifugiato Piccinino, costringendolo a rifugiarsi in Lunigiana, e Montecarlo presso Lucca. In agosto fece ritorno nelle Marche con Giovanni Sforza e Niccolò Gambacorta da Pisa per liberare i territori di Camerino e Fabriano da Nolfo Chiavelli e Francesco Piccinino, figlio di Niccolò. Nell’ottobre del 1437 Pietro Brunoro passò da Parma e Reggio Emilia, dove Francesco Sforza aveva nel frattempo posto il suo accampamento.
Tra il novembre e il dicembre del 1437 mosse contro Fabriano, ribellatasi al dominio sforzesco. In seguito, con Niccolò Gambacorta, Alessandro e Giovanni Sforza, nel giugno del 1438 mosse contro Norcia, alleata di Piccinino, ottenendone la resa in luglio con la cessione dei castelli di Rocchetta d’Oddi, Trifonzo e Belforte sul Nera. In settembre assediò Tolentino, dove fece costruire una nuova rocca sotto la direzione dell’architetto Giovanni Sodo. Dopo una breve incursione in Lombardia nel dicembre del 1438, in difesa di Brescia assediata dalle truppe viscontee, tornò a Tolentino e da qui in Romagna, a Forlì, dove Francesco Sforza preparava l’offensiva contro Niccolò Piccinino, in quel momento in Veneto. Pietro Brunoro partecipò nel 1439 all’assedio di Lonigo, nei pressi di Vicenza, dove subì una grave ferita alla spalla destra per un colpo di archibugio.
Una volta guarito, nel novembre del 1439 contribuì alla liberazione di Verona, caduta in mano di Piccinino. Tale perdita segnò per Milano la fine dell’espansione in Veneto, inaugurando una tregua che permise a entrambe le parti di riorganizzarsi. Nel gennaio del 1440, i Visconti confiscarono i beni di Pietro Brunoro nel Parmense, mentre si trovava in Trentino. A febbraio egli respinse l’attacco mosso a Torbole, sul lago di Garda, da Niccolò Piccinino e Gianfrancesco Gonzaga. Nel maggio 1440, sempre a Torbole, Pietro Brunoro prese parte alla vittoria navale veneziana contro la flotta viscontea mandata per interrompere gli aiuti della Serenissima a Brescia. Tra giugno e settembre conquistò alcuni importanti castelli, tra cui Peschiera, Salò e Asola, per tornare infine a Tolentino e San Severino.
Nel giugno del 1441 Pietro Brunoro partecipò alla battaglia di Cignano, dove fu nuovamente ferito. Nell’ottobre di quell’anno presenziò al matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti, al comando del picchetto d’onore. Il matrimonio, tuttavia, non riavvicinò le parti e la guerra riprese. Francesco Sforza, infatti, non lasciò il comando delle truppe antiviscontee e si traferì con la moglie in territorio veneto, mentre Filippo Maria Visconti, a sua volta, non abbandonò le proprie mire espansionistiche.
Nel maggio 1442, alla testa di seicento cavalieri e ottocento fanti, Pietro Brunoro partì alla difesa di Forlì, dove Antonio Ordelaffi gli consegnò la rocca di Ravaldino e il figlio Pino come ostaggio da inviare a Firenze. Quel mese, comunque, egli fu chiamato da Francesco Sforza a Jesi, per portarvi il signore di Forlì, accusato di tramare con il nemico per la presa della città. Attraversato il Riminese, egli giunse alla Marca d’Ancona, dove ingaggiò battaglia con le truppe pontificie e aragonesi. In agosto sconfisse Niccolò Piccinino ad Amandola, dopo due giorni di battaglia; in settembre assediò Ripatransone e in ottobre difese Fabriano insieme a Sigismondo Pandolfo Malatesta, impedendo agli avversari di entrare nelle Marche. Nel novembre 1442 non riuscì a espugnare la rocca di Tolentino, ma nel luglio 1443, insieme a Malatesta, sorprese nei pressi di Visso l’accampamento di Niccolò Piccinino, costringendolo a riparare in Umbria.
Dopo questa vittoria contro il suo antico capitano, Pietro Brunoro sostò a guardia di Fabriano. Qui fu contattato da Iñigo d’Avalos, che lo convinse a lasciare Francesco Sforza per passare al servizio di Alfonso d’Aragona, re di Napoli. Le ragioni principali del passaggio allo schieramento napoletano furono l’assicurazione fattagli di mantenere il suo patrimonio, stimato in 50.000 ducati conservati presso San Severino, e nella promessa di una condotta più remunerativa.
Accusato da una lettera anonima, tuttavia, Sanvitale fu arrestato, iniziando una prigionia lunga dieci anni, prima nel castello di Marano di Napoli e nella capitale partenopea, e infine presso Xàtiva, nei pressi di Valencia.
Per liberarlo, la sua compagna, Bona, percorse l’Italia e l’Europa in lungo e in largo, cercando l’aiuto dei vari signori da lui serviti, tra i quali Filippo Maria Visconti. Nel 1453, infine, Alfonso d’Aragona lo liberò, mosso a pietà dall’incrollabile impegno di Bona, che Pietro Brunoro sposò poco dopo la scarcerazione.
Lo stesso anno, egli accettò una condotta da parte di Venezia, ancora in guerra contro Francesco Sforza, nel frattempo diventato duca di Milano. La caduta di Romanengo in mano sforzesca scoprì il confine sud-occidentale dello Stato di Terra agli attacchi milanesi. Sanvitale mosse allora verso la riviera di Salò, difendendo Brescia, poi Ghedi, dove salutò Niccolò Piccinino. La campagna durò fino al settembre del 1454, quando, con il permesso di Venezia, passò al servizio di Siena, minacciata dal conte di Pitigliano, Aldobrandino Orsini. Le operazioni furono condotte insieme a Carlo Gonzaga, Giberto da Correggio e Malatesta. Contro quest’ultimo, sospettato di tradimento dai senesi, fu mandato Pietro Brunoro, il quale, in una campagna durata per tutto il 1455, fu anche preso prigioniero e poi liberato grazie all’intervento di Francesco Sforza. Ritornò al servizio di Venezia, dove il 30 maggio del 1458 partecipò a un torneo organizzato in onore dell’elezione del doge Pasquale Malipiero, avvenuta nell’ottobre del 1457, in cui risultò vincitore.
Sanvitale passò gli ultimi anni della sua vita come condottiero nel quadro delle guerre turco-veneziane, nella seconda metà del XV secolo. Nelle prime fasi del conflitto, iniziato nel 1463, ottenne alcuni successi.
Morì nel 1468 difendendo l’isola di Negroponte (Eubea). La moglie Bona, presente anche nella campagna greca, morì qualche mese dopo di lui, a Modone, in procinto di imbarcarsi per fare ritorno a Venezia.
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