BRIGHENTI, Pietro
Nacque a Castelvetro (Modena) il 12 maggio 1775, da Bartolomeo, avvocato, e da Luigia Lotti, di nobile famiglia. Pochi anni dopo la sua nascita, il padre fu nominato podestà di Campiglio: qui si trasferì tutta la famiglia, e il B. iniziò gli studi nella vicina Vignola. A 14 anni passò al seminario vescovile di Modena ove affrontò i classici sotto la guida di don Vincenze Paltrinieri, maestro di umanità e retorica, che esercitò su di lui un tale ascendente da fare in modo che, quando tre anni dopo il B. ebbe terminato il corso, sua unica aspirazione fosse quella di seguire le orme del maestro e di intraprendere la vita ecclesiastica. Ma il padre non fu dello stesso parere e volle che il figlio si iscrivesse all'università di Modena e vi frequentasse i corsi di giurisprudenza.
Nel 1796 il B. frequentava l'università: l'arrivo dei Francesi lo vide tra i più accesi sostenitori del bonapartismo di prima maniera. Ma le assemblee, le riunioni nel circoli giacobini, l'arruolamento nella guardia nazionale non gli fecero dimenticare gli studi ed egli si laureò il 16 marzo 1798 con un esame non certo brillante, sul quale però influì positivamente il fatto che per qualche mese, in precedenza, aveva sostituito validamente il titolare della cattedra di istituzioni civili.
L'anno prima aveva sposato Maria (Marina) Galvani, sorella di quel Cesare Galvani che in seguito sarebbe stato guardia d'onore del duca di Modena, quindi convinto sostenitore del metodo "della scure e della forca" dalle colonne della Voce della Verità, e in ultimo informatore fidato degli Austriaci.
Subito dopo aver ottenuto la laurea, il B. entrò a far parte della burocrazia della Cisalpina: i recenti trascorsi liberaleggianti lo avevano positivamente messo in luce agli occhi dei dirigenti politici che già nel 1798 lo destinavano al dipartimento del Basso Po, del Reno e del Panaro con le funzioni di commissario straordinario di polizia. Ma il ritorno vittorioso degli Austriaci lo costrinse l'anno seguente a rifugiarsi prima a Bologna e quindi, essendogli stato interdetto il soggiorno anche in questa città, a Livorno; nel frattempo suo padre perdeva la carica di podestà di Vignola proprio per la passata attività del figlio. Dopo Marengo il B. poté riprendere la sua carriera, che dal 1800 al 1815 fu tutto un succedersi di incarichi, invero più provvisori che definitivi. Prima si recò con l'avvocato Leopoldo Bellentani ad organizzare i tribunali e la polizia nel dipartimento del Basso Po, nella zona di Ferrara: qui si legò d'amicizia con Pietro Giordani, e divenne intimo di Flaminio Baratelli, allora giacobino di punta, più tardi spia al servizio dell'Austria. Il 10 giugno 1801 il suo compito nelle province cispadane era concluso: continuò però a lavorare per il ministero di Grazia, giustizia e polizia che lo destinò a Rovigo con mansioni identiche, e quindi lo nominò commissario di polizia per il dipartimento di Crostolo. Verso il 1803 era viceprefetto a Massa e Carrara; nel 1805, ancora come viceprefetto, fu trasferito a Cesena, ove finalmente parve aver trovato una sistemazione definitiva.
Nel marzo 1807 arrivava a Cesena il Giordani: non essendo riuscito a procurarsi un impiego dignitoso e non avendo un reddito su cui contare, lo scrittore piacentino pensò per un momento al suicidio. Fu il B. a salvarlo: per un anno lo ospitò nella sua casa, lo circondò dell'affetto che gli mancava, gli fece ottenere piccoli incarichi amministrativi, quando fu necessario gli prestò denaro. A lungo durò la gratitudine dei Giordani, per lo meno fino al 1813 quando, per un motivo che non ci è noto, si verificò tra i due una frattura che qualche anno dopo sarebbe stata sanata, ma solo in parte, con la mediazione di una comune amica. Tuttavia l'amicizia del Giordani permise al B., spirito abbastanza sensibile e preparato (per lunghi anni glisi attribuì arbitrariamente la conclusione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis nella prima edizione bolognese del 1799), di far conoscenza dei letterati più celebrati del tempo: Monti, Perticari, Marchetti, Vieusseux, Leopardi.
Da poco il B. era stato destinato a Belluno con la promozione alla prefettura, quando il ritorno degli Austriaci gli fece perdere il posto e lo costrinse, nel 1815, a stabilirsi a Bologna. Qui egli, anziché esercitare l'avvocatura, preferì rimanere legato all'ambiente degli intellettuali e dello spettacolo nel tentativo di gettare le basi di una attività lucrosa. Si occupò allora di teatro, di musica lirica, di letteratura, ma i primi passi furono molto incerti e la famiglia, chesi era ingrandita con la nascita di due figlie, poté sopravvivere grazie soprattutto ai beni dotali della moglie. Fu un periodo di sofferenze e di rinunce: nel 1820 il B. tentò la pubblicazione di un periodico culturale, l'Abbreviatore, di cui uscirono 30 numeri e che si occupò principalmente di teatro e di opere letterarie. Ma l'impresa commercialmente si risolse in un fallimento; il B. allora passò all'editoria ma, almeno inizialmente, con scarsa fortuna: il Leopardi, col quale era stato messo in contatto epistolare dal Giordani, gli inviò tre canzoni, ma il B., ricevuto un fermo divieto dal padre del poeta, poté pubblicarne una sola, quella AdAngelo Mai, che subito dopo la stampa fu sequestrata nel Lombardo-Veneto per ordine della polizia.
Forse non è errato far risalire a quest'epoca l'inizio dell'attività spionistica del B. in favore dell'Austria. Certo è che l'uomo che nel 1820 aveva stentato a trovare il denaro necessario per pubblicare la canzone leopardiana, nel 1821 compiva una edizione in 16 volumi delle Opere del Giordani, nel 1823 apriva una tipografia, la Stamperia delle Muse, nel 1826 avviava la pubblicazione delle opere del Monti, con un volume pronto già da qualche anno ma bloccato dalla censura preventiva dello Stato pontificio, non eccessivamente convinta dell'utilità di una collana di classici italiani progettata in cento volumi. Fu questa una serie di iniziative che consolidarono la popolarità del B. nei circoli letterari: nel 1823 il Vieusseux da Firenze gli proponeva di scrivere per l'Antologia un articolo sul volume di Stendhal Viesde Haydn,de Mozart,de Métastase, proposta che non ebbe però seguito alcuno; nel luglio del 1825 conosceva il Leopardi, con il quale era in corrispondenza dal 1818, e lo ospitava spesso nella sua casa durante il soggiorno a Bologna, tanto da guadagnarsi l'affetto sincero del poeta. La musica costituì senza dubbio l'interesse precipuo del B., che dopo il 1815 aveva preso lezioni di canto dal tenore Matteo Babini e che fu socio ordinario della classe dei cantanti della Accademia filarmonica di Bologna. Al Babini dedicò un elogio (Bologna 1821); dedicato alla figlia Marianna, il suo saggio Della musica rossiniana e del suo autore (Bologna 1830) conobbe più ristampe.
Pure al 1825 risale la pubblicazione, da parte del B., di un altro periodico di attualità culturale, Il Caffè di Petronio, sulquale il Leopardi pubblicò la seconda stesura della Batracomiomachia; èinvece del 1826 la seconda proposta di collaborazione all'Antologia da parte del Vieusseux: il B. avrebbe dovuto scrivere articoli satirici sulla vita cittadina, il Leopardi gli avrebbe fatto eco con meditazioni più profonde ma anchesse polemiche verso la società contemporanea. Il B. parve accettare l'offerta, poi, come il Leopardi, la lasciò cadere nel silenzio: ed èanzi fuor di dubbio che il B. sentì sempre viva l'esigenza di contrastare con i suoi periodici la fama che la rivista del Vieusseux si era guadagnata con pochi anni di vita; ma gli mancò sempre quel saldo impegno morale e politico, quell'ansia di rinnovamento che fecero dell'Antologia il punto di riferimento del pensiero liberale subito dopo la Restaurazione.
Quanto all'attività delatoria, i primi rapporti pervenutici sono del giugno 1823: il B. li firmava con lo pseudonimo Luigi Morandini e li inviava all'I. R. governo del Lombardo-Veneto, indirizzandoli però ad un fantomatico Gaetano Pallieri al finé di sviare eventuali sospetti. Compito principale del B. era quello di dare informazioni sugli esponenti del liberalismo che il suo passato gli avrebbe consentito di accostare superando quella barriera di diffidenza naturale in chi conosceva i metodi della polizia austriaca. Nel 1823 il B. era a Ginevra ove raccoglieva informazioni sugli esuli italiani e sui loro contatti con i liberali svizzeri e stendeva quindi una dettagliata relazione. Da Firenze, nel 1830, dove aveva finalmente conosciuto il Vieusseux che lo aveva lasciato partecipare ad una riunione del suo circolo, egli denunciava all'Austria il Montani, il Capponi, il Tommaseo, il Giordani, lo stesso Vieusseux e sollecitava una sorveglianza più attenta per tutto il circolo.
Nel 1831 evitò con cura di mettersi in mostra e, passata la bufera, compilò una lista di 79 rivoluzionari a lui noti: ma a dimostrare che il B. provò qualche esitazione nello svolgimento del suo compito sta il fatto che, come già nel 1828, denunziando i liberali di Firenze, non aveva voluto infierire sul Leopardi, così ora nel 1831 cercava di sviare la polizia austriaca comunicando informazioni inesatte sul suo amico Domenico Giglioli, uno tra i tanti compromessi nel moto di Modena.
Dal 1829 prese ad occuparsi dell'attività della figlia Marianna, divenuta una celebre cantante. In tale lavoro il B. trovò la tranquillità e Pagiatezza che erano mancate alla sua vita: purtroppo però nel 1838, per una malattia ai bronchi, Marianna dovette lasciare il canto. Invano il B. tentò di rientrare in contatto con il Vieusseux: non ebbe neanche risposta; solo il Giordani, che forse nel 1834 era stato processato proprio per le sue delazioni, cercò di essergli vicino. Nel 1843 il B. perdeva la moglie; tre anni dopo, all'avvento di Pio IX, era nominato giudice supplente per la giurisdizione di Forlì, dove si era stabilito poco prima della morte della moglie.
E a Forlì il B. si spegneva il 2 ag. 1848.
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