BOCCHECIAMPE, Pietro
Nacque ad Oletta, in Corsica, nel 1814, da Vincenzo, ufficiale al servizio dell'Inghilterra, del quale condivise la cittadinanza britannica, e da madre greca di Cefalonia, che, divenuta vedova, il B. seguì a Corfù. Forse membro della carboneria o almeno vicino alla setta, qui entrò presto in contatto con Nicola Fabrizi, progettando una spedizione nell'Italia meridionale, di cui durante il soggiorno a Londra nel 1838 mise al corrente il Mazzini.
Questi fin d'allora fu molto diffidente nei confronti del B.: prestò, comunque, ascolto alle sue offerte di collaborazione, che comprendevano un progetto di spedizione dalla Corsica, soprattutto per poter controllare gli ambienti carbonari eventualmente agenti dietro di lui.
Nel 1842 il B. si stabilì nuovamente a Corfù, dove, nel 1844, fu introdotto dal pastore evangelico Giacinto Achilli, già prete cattolico, nell'ambiente patriottico raccolto, nella casa "Exoria", attorno ai fratelli Bandiera. Gli ardenti propositi di quegli esuli parvero ridestare in lui una risoluta volontà d'azione: ebbe perciò una parte importante nei preparativi e nella prima fase dell'impresa, a fianco dei fratelli Bandiera, con i quali e con diciotto altri compagni s'imbarcò la sera del 12 giugno 1844 sul trabaccolo "S. Spiridione" alla volta della Calabria. Qui essi contavano di congiungersi con i gruppi di insorti, sopravvalutati a causa di errate informazioni. Sbarcati la sera del 16 alle foci del Neto, giunsero a un casolare della masseria Poerio, a otto miglia da Crotone, dove appresero che il moto scoppiato in marzo a Cosenza era stato ormai represso dai borbonici. Scartata la proposta di Ricciotti di un colpo di mano sulla vicina Crotone, la banda si diresse, nella notte tra il 17 e il 18, verso Cosenza, per riattivarvi l'insurrezione.
A questo punto, di fronte all'imminente pericolo di un tragico fallimento, l'animo instabile del B. inclinò alla defezione e al tradimento. Durante la marcia notturna, giunto a un miglio dalla località di S. Severina, egli abbandonò i compagni che, credendolo perduto, lo cercarono invano. Armato e vestito dell'uniforme della spedizione, il B. entrò all'alba del 18 in Crotone e al sottintendente di polizia Antonio Bonafede rivelò i particolari della spedizione e la direzione presa dai compagni. Queste rivelazioni del B., per quanto precedute da altra denuncia giunta da Corfù e da lui ignorata, misero in moto l'apparato repressivo della polizia borbonica: vennero arrestate le persone con cui i Bandiera erano venuti in contatto dopo lo sbarco, e furono mobilitate squadre di gendarmi per l'inseguimento che si concluse il 19 a San Giovanni in Fiore, dove la spedizione ebbe il suo tragico epilogo con la morte sul campo di due uomini e la cattura degli altri.
Intanto il B., trasferito al carcere di Catanzaro, chiese di conferire col ministro di polizia, che lo fece tradurre a Napoli per ascoltarlo (partito il 26, sotto scorta, vi giunse il 1º luglio); ma deluso e indispettito dalla ripetizione di quanto già aveva rivelato negli interrogatori di Crotone, il Del Carretto lo fece presto ripartire per Cosenza, dove giunse la notte del cinque. Per ottenere un trattamento di favore e sfuggire al processo, il B. si rivolse come cittadino inglese al ministro di Gran Bretagna a Napoli, il quale non ritenne di dover fare alcun passo in suo aiuto.
Il processo, cominciato il 15 luglio davanti a un tribunale militare e conclusosi il 24 con la sentenza, gli valse, come unico premio alla delazione, il riconoscimento di minori responsabilità in confronto ai compagni e quindi la condanna, più mite, a cinque anni di reclusione per introduzione nel Regno e porto abusivo di armi. Fu assolto dal reato di cospirazione, come la legge prevedeva, per essersene volontariamente distaccato prima di qualsiasi avvertimento poliziesco.
Tra i compagni il più certo del suo tradimento fu Anacarsi Nardi, che si mostrò fermo e sprezzante nei suoi confronti, mentre più cauto fu Emilio Bandiera in un memoriale ai giudici. Netta fu anche l'accusa del Mazzini nei Ricordi dei fratelli Bandiera, con l'impegno peraltro a ritrattarla ove il B. potesse un giorno produrre un'efficace discolpa.
Nell'agosto 1845 la madre del B., per procurargli uno speciale atto di clemenza, vantò in una lettera al ministro di polizia i servizi resi dallo zio Giovanni Francesco alla dinastia borbonica, ma fu falsa la notizia della liberazione, diffusasi alla fine di quell'anno tra gli esuli italiani di Londra e assunta dal Mazzini a prova del tradimento. Il B. fu graziato l'11 apr. 1846 insieme con gli altri superstiti della spedizione, condannati a pene maggiori, e, uscito dal carcere dopo dieci giorni, fu allontanato dal Regno.
Imbarcatosi a Napoli, si recò a Marsiglia, donde ripartì il 1ºmaggio per una breve visita in Corsica; quindi su un piroscafo austriaco giunse il 23 maggio a Corfù, ma non poté sbarcare per le proteste degli esuli italiani. Cercò invano rifugio in Acaia e in Etolia, ugualmente respinto dall'ostilità della popolazione greca. Persa la cittadinanza inglese, poté trovar rifugio nell'impero ottomano, fissandosi nel luglio 1846 a Prevesa in Albania, donde nel 1847 inviò una lettera di difesa al patriota modenese Angelo Usiglio affinché la consegnasse al Mazzini. Non avendo avuto alcuna risposta, scrisse di nuovo al Mazzini il 29 ag. 1848, riuscendo a far pubblicare la lettera su un giornaletto italiano di Atene Il novellista italiano in Grecia (5 genn. 1849).
Si tratta di una lunga apologia, scritta con abilità, ma che non convinse affatto il Mazzini. In essa il B. tentava di far valere come prova dell'innocenza la condanna riportata e le successive sofferenze e sosteneva che la polizia borbonica era già stata messa al corrente della spedizione prima delle sue rivelazioni, con le quali si era salvato da pene più gravi senza porre a maggior repentaglio i compagni, comunque destinati alla rovina. Ma, in effetti, egli precisò tutti i particolari, ponendo prontamente i borbonici sulle tracce dei patrioti e l'inevitabilità del fallimento non può diminuire la gravità del suo comportamento di traditore.
Da Prevesa il B. si spostò talora in Grecia; più tardi si trasferì a Corfù, dove fu visto nel 1886 in tarda età e in misere condizioni. Si ignora l'anno della sua morte.
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