BIRAGO, Pietro
Nacque in data imprecisata nella seconda metà del sec. XV, da Francesco, condottiero e alto dignitario sforzesco, e Agostina di Marcellino Barbavara. Seguendo la tradizione familiare, abbracciò la carriera militare, entrando al servizio di Ludovico il Moro. Con il crollo del dominio sforzesco dovette passare, come tutti gli altri Birago, dalla parte del vincitore, seguendo le alterne vicende della dominazione francese in Lombardia. La prima notizia sicura della sua biografia risale al 1516, quando nel settembre risulta alla corte francese come "nontio" di Gian Giacomo Trivulzio, principale esponente dei guelfi milanesi e maresciallo di Francia. Due anni dopo la posizione filofrancese della famiglia assicurò anche al B. un posto nel Consiglio dei sessanta decurioni, istituito da Francesco I il 1º luglio 1518.
Il conflitto franco-asburgico insorto nel 1521 vide il B. ancora al seguito del Trivulzio, in quel momento alla testa dell'esercito veneziano impegnato nella campagna contro gli imperiali al fianco dei Francesi. L'andamento della guerra, favorevole agli imperiali cui si erano aggiunti i pontifici, costrinse i Francesi ad abbandonare Milano, dove fu restaurato il dominio sforzesco. Fuoruscito, come altri suoi parenti, il B. incorse nella confisca dei beni minacciata dalgoverno sforzesco con il bando del 7 genn. 1522. Negli anni successivi dovette continuare a servire nell'esercito francese partecipando con tutta probabilità alle campagne che si conclusero con la sconfitta di Pavia del 24 febbr. 1525.
Dopo Pavia il B. riparò in Francia, ma ritornò in Italia nel novembre del 1525 con una missione presso il condottiero Giovanni de' Medici, detto dalle Bande Nere, invitato a ritornare al servizio francese. La missione ebbe successo: è noto infatti che Giovanni dalle Bande Nere entrò agli stipendi dei collegati contro gli imperiali. La lega antimperiale sottoscritta a Cognac il 22 maggio 1526 riaccese la guerra in Italia, con l'intervento del duca di Milano Francesco II Sforza, della Repubblica di Venezia e di papa Clemente VII contro Carlo V. Nel gennaio del 1527 il B., condottiero di cavalli leggeri, si segnalò nella battaglia di Frosinone che bloccò il tentativo del viceré di Napoli, Charles de Lannoy, di invadere lo Stato pontificio. Questa battaglia gli dette fama di eccellente capitano, e non a torto, visto che i suoi cavalli leggeri ebbero parte decisiva nella vittoria, come ricordò anche il Guicciardini.
Il suo brillante comportamento a Frosinone richiamò l'attenzione dei generali imperiali che, forti del successo conseguito nel 1526 con i suoi cugini, i fratelli Galeazzo, Cesare e Alfonso passati al servizio imperiale, riuscirono ad attirare anche il B. al soldo di Carlo V. Le trattative che lo portarono nell'esercito imperiale non sono note, ma è lecito supporre che anche per lui abbiano influito le ragioni che indussero l'anno precedente i cugini allo stesso passo: il desiderio di ritornare a Milano e di ottenere la restituzione dei beni confiscati nel 1522.
Il 30 luglio 1527 Antonio de Leyva scrissa Carlo V da Milano annunziando esultante di avere strappato a Francesco I uno dei suoi migliori capitani: "le capitain Piedro Virago, lequel est un tres homme de bien et gran guerrier: le roi de France lui avoit donné le commandement des chevaux legers et de linfanterie, et il fut chargé du soin et de la garde de Frosanon que le viceroi de Naples tenoit bloqué; jéspere en Dieu qu'il servira tres bien notre Majesté. Il en reste en France tres peu de quelque importance, hors Theodore Trivulce et Bernard Vizconti" (Correspondenz des Kaisers Karl V., I, pp. 242 s.).
Appena assoldato, il B. fu chiamato in Lombardia col grado di colonnello della cavalleria leggera e mandato a soccorrere Alessandria assediata dall'esercito francese del Lautrec. Partecipò attivamente alla difesa della città, che però fu costretta ad arrendersi di lì a poco. I patti di resa, sottoscritti il 16 settembre dal comandante della piazza conte di Lodrone, prevedevano un salvacondotto per il B. a condizione, che non tornasse a Milano. Il 10 ott. 1527 Antonio de Leyva scrisse a Carlo V che in osservanza dei patti di Alessandria l'aveva mandato a Genova. Col nuovo anno il B. è già di nuovo in Lombardia, dove gli imperiali levarono quattromila fanti che affidarono al suo comando. Si trattava di soldataglia della peggiore specie che si rese ben presto tristemente famosa per le violenze e i saccheggi. Con queste soldatesche il B. compì nell'inverno e nella primavera del 1528 una serie di spedizioni contro i collegati.
Il 9 febbraio uscì da Milano alla testa di un migliaio di fanti diretto a Monguzzo, feudo del condottiero di Francesco II Sforza al servizio dei collegati, Gian Giacomo de' Medici marchese di Marignano, nel tentativo non riuscito di distorglierlo dall'assedio di Lecco. Una nuova uscita fece il B. il 28 dello stesso mese di febbraio insieme con Ludovico Barbiano di Belgioioso con duemila fanti, e quattro pezzi d'artiglieria nel tentativo di soccorrere Lecco. Quale esito avesse questa spedizione del B. non è noto, ma è certo che il 15 aprile il Marignano abbandonò l'assedio di Lecco e si accordò con gli imperiali. Esito infelice ebbe sicuramente uno scontro con la compagnia di Pier Giorgio Orsini dalla quale il B. stava per essere catturato. Nel maggio Antonio de Leyva lo mandò con tremila fanti, molti cavalli leggeri e sette pezzi d'artiglieria a bloccare le comunicazioni tra le forze dei collegati dell'Italia settentrionale e quelle impegnate nel Regno di Napoli: riuscì ad assolvere il compito brillantemente.
Nel settembre infine anche il B. fu mandato a Pavia ad aiutare lo zio Galeazzo, governatore della città, a sostenere l'urto dei collegati. Sottoposta a un martellante bombardamento di dieci giorni, la città non poté resistere a un violento assalto di Svizzeri e Guasconi, che il 19 settembre la misero a sacco. Il B., che era stato il principale animatore della resistenza, si chiuse con lo zio e alcune centinaia di fanti nel castello rifiutando di arrendersi. Il 20 settembre un segretario del duca d'Urbino Francesco Maria Della Rovere, uno dei condottieri dei collegati, scrisse dal campo che il B. avrebbe potuto ottenere qualcosa, se avesse accettato la resa, "ma havendo cominciato a fare il bravo assai fora de proposito cum el tirare de archibusi, la resolution è presa di piantarli questa notte l'artellaria et getarli quel castello in capo" (cfr. Sanuto, XLVIII, col. 517).
Il giorno dopo nel corso dell'attacco al castello "fu ferito in una coscia, d'uno scoppio, Pietro da Birago che morì fra pochi dì, che non volle essere levato di terra acciò che i suoi non abbandonassino la battaglia" (Guicciardini, V, p. 234).
Fonti e Bibl.: Commentarii Galeacii Capellae de rebus gestis pro restitutione Francisci II, Venetiis 1535, p. 231; Cronica milanese di Gianmarco Burigozzo, in Archivio storico italiano, III (1842), p. 481; Correspondenz des Kaisers Karl V., a cura di K. Lanz, I, 1513-1532, Leipzig 1844, pp. 242 s.; Cronaca di Antonio Grumello…, a cura di G. Müller, in Racc. di cronisti e doc. stor. lombardi ined., I, Milano 1856, pp. 476, 483; Négociations diplom. de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini e A. Desjardins, II, Paris 1861, p. 785; Calendar of letters,despatches,and state papers,relating to the negotiations between England and Spain..., III, 2,Henry VIII, 1527-1529, a cura di P. De Gayangos, London 1877, pp. 307, 399, 419; M. Sanuto,Diarii, XXII-XLVIII, Venezia 1888-1897,ad Indices; Mémoires de Martin et Guillaume du Bellay, a cura di V-L. Bourrifly e F. Vindry, II, Paris 1010, p. 88; F. Guicciardini,Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, V, Bari 1929, pp. 103, 107, 234; M. Formentini,Il ducato di Milano, Milano 1877, pp. 118, 413; E. Picot,Les Italiens en France au XVIe siècle, in Bulletin italien, I (1901), pp. 132 ss.; G. Ghilini,Annali di Alessandria, II, Alessandria 1903, p. 166; P. Litta,Fam. celebri ital., Birago di Milano, tav. II.