BINI, Pietro
Nacque a Firenze il 23 luglio 1593 da Bernardo e da Ginevra Martellini.
Era la sua un'antica famiglia di mercanti, tradizionalmente legata alla corte romana, dove aveva avuto momenti di particolare fortuna con il pontificato di Leone X. Lo stesso padre del B. aveva tenuto banco a Roma per trent'anni, senza tuttavia ripetere i passati successi della famiglia, che pertanto al tempo del B. attraversava indubbiamente un periodo di decadenza. A Roma comunque continuavano a rivolgersi le speranze dei Bini, sia per una ripresa delle antiche fortune mercantili, sia per tentare le strade lucrose, e pur esse in passato battute, della carriera curiale. Appunto nel B. sembrano essersi a lungo incentrate tali aspirazioni familiari.
Addottoratosi in giurisprudenza a Pisa il 21 dic. 1617, nel 1620 il B. fu iscritto nel Collegio fiorentino dei giudici e avvocati e in quello dei nobili. Esercitò quindi per qualche anno l'avvocatura, finché nel 1625 si trasferì a Roma.
La ragione immediata di questa decisione era la necessità di sistemare alcune pendenze economiche paterne, ma non dovette certamente esservi estranea la speranza che il pontificato del fiorentino Urbano VIII offrisse anche a lui qualche favorevole opportunità per riprendere con miglior fortuna l'attività di Bernardo, ovvero per tornare a Firenze "vestito di paonazzo o con un cappello" (Cistellini, p. 207): queste almeno erano le unanimi attese dei familiari, non si sa quanto condivise inizialmente dal B., che peraltro doveva ben presto deluderle.
In realtà il B., dopo aver assolto alle sue incombenze mercantili, non tardò ad introdursi sia pur modestamente nell'ambiente curiale, ottenendo l'ufficio di assistente dell'elemosiniere pontificio monsignor Reggio per il rione di Ponte Sisto e Parione. Ma, a quanto pare, fu proprio il diuturno esercizio della carità, l'assidua ricognizione della sofferenza connessi alla carica a distoglierlo dalle intenzioni primitive, disponendolo invece alle suggestioni della spiritualità filippina, alle mistiche dedizioni e ai morbidi conforti dell'ascetismo collettivo.
Tra i padri della Vallicella, infatti, il B. trovò negli anni seguenti le guide spirituali e i pazienti consolatori di cui aveva bisogno. Non gli riuscì tuttavia di farsi ammettere nella comunità vallicelliana, sebbene non mancasse chi riteneva "la vita sua più tosto angelica che humana" (Cistellini, p. 219); non gli valsero neppure gli ordini sacri, presi il 27 marzo 1632, probabilmente per gli eccessi e le stranezze cui lo inducevano i suoi incontrollati trasporti mistici, e che, a detta di un biografo, "lasciarono di lui un curioso ricordo" tra i fervorosi ma anche prudenti padri filippini (Cistellini, p. 224). Nacque dalla ripulsa l'aspirazione del B. a ripetere il modello oratoriano in una nuova comunità.
Il progetto ebbe una prima, limitata realizzazione a Roma, dove il B. condusse assidua opera di proselitismo presso un gruppo di giovani fiorentini, avviandoli all'attività caritativa ed alla vita comunitaria, "col medesimo ordine e instituto che facevano i Padri della Chiesa Nuova" (Cistellini, p. 223), ma in completa autonomia da questi. La riuscita dell'esperimento indusse il B. nel proposito di stabilire la sua piccola comunità a Firenze.
La città offriva condizioni singolarmente favorevoli al fiorire di nuove iniziative religiose, per il recente imperversare della peste che non solo moltiplicava il bisogno di opere assistenziali, ma lasciava uno strascico di confuse attese spirituali, un bisogno di nuovi conforti che le tradizionali consuetudini devote lasciavano largamente insoddisfatti. Perciò l'arcivescovo Pietro Niccolini e lo stesso governo granducale videro con favore l'introduzione a Firenze di una Congregazione ispirata all'insegnamento del fiorentino Filippo Neri. E l'iniziativa del B. fu ufficialmente approvata da un decreto arcivescovile del 31 luglio 1632.
La nuova Congregazione non riuscì tuttavia ad acquistare mai un ruolo di primo piano nella vita religiosa fiorentina, e comunque neanche lontanamente paragonabile a quello del suo modello romano. Lo stesso B. non sembra aver avuto, sul significato della sua istituzione, idee che andassero oltre un confuso programma pauperistico e caritativo, secondo il mito ricorrente della Chiesa primitiva. E del resto egli rimase per poco alla guida della Congregazione: morì infatti il 28 dic. 1635.
Bibl.: G. Marciano,Mem. histor. della Congregazione dell'Oratorio, IV, Napoli 1699, pp. 273-279; D. M. Manni,Osservaz. istor. sopra i sigilli antichi, VI, Firenze 1741, pp. 108 ss.; XXI, ibid. 1770, p. LII; G. Richa,Not. istor. delle Chiese fiorentine..., II, Firenze 1755, pp. 252 ss.; M. Bernetti,Vita del venerabile servo di DioP. P. B. di Firenze…, Monza 1901; A. Cistellini,Una pagina di storia religiosa di Firenze nel sec. XVII, in Arch. stor. ital., CXXV (1967), pp. 186-245.