BIANCHI, Pietro
Nacque a Lugano il 26 marzo 1787; architetto e archeologo, operò prevalentemente a Napoli. Allievo dell'Accademia di Milano, ove ebbe per maestro Luigi Cagnola (1762-1833), si formò nell'ambiente lombardo, diplomandosi in architettura a Pavia nel 1806. Dopo un primo soggiorno romano, sembra che volle recarsi a Parigi, ove ottenne da Napoleone un sussidio per la pubblicazione (non più messa in atto) di disegni di archi di trionfo da lui raccolti o eseguiti in Roma. Egli riuscì anche a procurarsi delle segnalazioni per il generale Miollis, governatore di Roma, con l'aiuto del quale ottenne il posto di "sovrastante agli scavi del Colosseo" (Sasso).
I lavori qui compiuti, tra il 1810 ed il 1814, vennero diretti, com'è noto, dal Valadier, per iniziativa del conte Daru, intendente di Napoleone; il B., collaborando all'opera di indagine archeologica e di restauro, fornì un personale contributo, mettendo in luce il perimetro del podio e l'arena, e pubblicando (1812) alcuni disegni, commentati da Lorenzo Re. Intorno ad essi si accese una polemica, mossa dall'archeologo Carlo Fea ed animata dallo storico spagnolo Juan Francisco Masdeu (Donati,Vagabondaggi ... ). Il B. condusse, in questi anni, scavi anche al foro romano (Merzario).
Dopo queste prime esperienze di archeologo si offerse al B., poco più che trentenne, la grande occasione per mostrare le sue capacità architettoniche, quella che avrebbe dovuto dargli notorietà ed assicurargli credito presso la corte napoletana: la sistemazione del largo antistante alla reggia di Napoli, ove un vasto colonnato a emiciclo accolse al centro la chiesa di S. Francesco di Paola. Più che rifarsi al tema berniniano di S. Pietro o ai progetti dell'Antolini per il foro Bonaparte di Milano, l'idea, già avanzata nel 1789 in un saggio di Vincenzo Ruffò, riprendeva spunti già svolti nello stesso luogo in occasione di feste o celebrazioni, traducendo stabilmente in pietra le ricorrenti architetture provvisorie.
Bandito un concorso per sistemare stabilmente la piazza nel 1808 (foro Murat), il progetto di Leopoldo Laperuta, scelto dal Consiglio degli edifizi civili, non andò oltre le fondazioni, per la fine del Regno murattiano. L'opera venne ripresa da Ferdinando I di Borbone, con un nuovo concorso, nel 1817, onde assolvere un voto di riconoscenza per la riconquista del Regno; una chiesa inferiore avrebbe inoltre ospitato le tombe reali. Risultato vincitore Pietro Valente, giovanissimo, le accanite lotte tra i concorrenti indussero il sovrano a sottoporre i progetti al Canova, che, a sua volta, interpellò l'Accademia di S. Luca. Questa scelse tre illustri architetti, Luigi Cagnola, Ferdinando Buonsignore e Raffaello Stern, aggiungendo il B., membro dell'Accademia, il quale ottenne l'incarico. In luogo della croce greca e dell'unica cupola centrale, su tamburo e colonne, prevista dal Valente, il B. preferì risolvere lo spazio interno ispirandosi al Pantheon, realizzando un'ampia sala circolare con nicchie e colonnati corinzi, alla quale aggiunse, ai lati del pronao, due cappelle minori con cupole che riprendevano il tema centrale. Un confronto tra i disegni del Laperuta e l'opera realizzata, nonché l'esame del bando di concorso, pubblicato nel Giornale delle Due Sicilie del 7 ott. 1817 (ove si legge che "grosse mura di fondazioni in forma semicircolare" circoscrivevano la piazza, e non un porticato), consentono oggi di escludere quanto spesso è stato scritto, e cioè che l'esedra sia del Laperuta e la chiesa del B., e permettono di riferire al secondo entrambe le strutture, nonostante l'assenza di unità tra le stesse.
Inaugurata il 30 maggio del 1831 dal sovrano, la chiesa fu compiuta solo più tardi (nel 1836 o, secondo altri, quali il Lavagnino, nel 1849), e la lentezza dell'esecuzione contribuì a rendere mediocre il risultato. Se è assente una vera ispirazione, per il prevalere dell'elemento culturalistico ed archeologico, bisogna riconoscere al B. ed ai suoi aiuti (G. Pelossi, P. Rusca) un sicuro mestiere, dimostrato dalla perfetta esecuzione della fabbrica; d'altro canto la sistemazione della vasta piazza della reggia, con i palazzi gemelli della Foresteria e del principe di Salerno, riveste la massima importanza urbanistica, costituendo ancora oggi, nel tessuto della città, l'unico episodio composto con organicità di disegno.
Mentre procedevano le opere per il foro ferdinandeo, il B., in qualità di architetto di casa reale, costruiva, intorno al 1823, una dépendance nei giardini della villa Favorita di Resina, per il seguito di Leopoldo di Borbone; nel 1824, in sostituzione di un progetto del de Simone, proponeva, con un modello, il completamento della sala del trono a Caserta (eseguita più tardi, e con mutato disegno, dal Genovese; Chierici); ancora a Caserta disegnava la nuova chiesa parrocchiale, dopo che un progetto di Giovanni Patturelli era rimasto interrotto, per sopraggiunte polemiche, dal 1822 (Filalete): nel 1825 migliorava la sistemazione della villa di Chiaia, collocando la fontana detta delle "paparelle" nel viale centrale, inquadrata tra le quinte arboree ai due lati; la tazza di porfido rinvenuta a Paestum sostituiva il Toro Farnese, trasferito in tale occasione nel museo borbonico (Chiarini), ove il B. sistemò alcune sale per la pinacoteca (Donati,Vagabondaggi ... ).
Parallelamente a tali opere architettoniche, il B. lavorò come archeologo, con la qualifica di "architetto direttore", agli scavi di Ercolano e Pompei: si ricorderanno lo sterro della casa di Meleagro e della strada di Mercurio (1830), della casa del Fauno (1832), e il completamento dello scavo della via di Nola (1841); intorno al 1830 egli portò alla luce l'anfiteatro di Capua, compì sopraluoghi e studi nei Campi Flegrei e, con la collaborazione del Cerasuoli, scoprì a Paestum il tempio italico o della Pace, parte del foro italico e dell'ekklesiasterion.
La fiducia dei Borboni, ampiamente documentata anche da carte d'archivio - in cui egli viene incaricato, in più riprese (tra il 1833 ed il '36), di controllare progetti, rivedere lavori, dare consigli (Venditti, 1961, pp. 316 n. 125, 385 n. 45; Molajoli, 1961, pp. 30 s.) - valse al B. numerose onorificenze: membro delle Accademie di Roma, Vienna e Bruxelles, egli fu socio dell'Accademia borbonica, professore onorario del R. Istituto di Belle Arti, ed ottenne la croce di ferro dall'imperatore d'Austria (Brun).
Il nome del B. è riferito ancora per il rifacimento della fontana del Gufo, detta anche della Cuccuvaia di Porto, o "degli Incanti", curato nel 1834; tra le poche opere eseguite per committenti privati, si ricorda il restauro della cappella di S. Martino in S. Domenico Maggiore (1846), con l'inopportuna inclusione, nel nitido ritmo rinascimentale, del monumento a Filippo di Saluzzo, opera dello scultore romano Lorenzo Vaccà.
Il B. morì a Napoli il 6 dic. 1849.
Nel quadro dell'architettura neoclassica italiana, egli appare una figura di modesto rilievo, ed è ricordato, anche nei saggi più informati, quasi esclusivamente per la chiesa di S. Francesco di Paola. Salvo quanto scrisse di lui Stendhal, ch'ebbe a conoscerlo personalmente nel 1817, in occasione di un suo viaggio a Napoli ("Ses dessins sont assez exempts de cette faule d'ornements, d'angles, des ressauts, qui font la petitesse moderne..."), i brevi cenni sul B. non esprimono un giudizio favorevole sulla limitata produzione dell'architetto luganese, che pur ebbe notevole credito presso la corte napoletana nel trentennio tra il 1818ed il 1849: è assai probabile che la stima che circondò la sua figura sia dovuta in particolare all'intensa attività di archeologo militante, non ancora sufficientemente studiata.
Fonti e Bibl.: L. Re,Osservazioni sull'arena e sul podio dell'Anfiteatro Flavio…, Roma 1812; C. Fea,Ammonizioni critico-antiquarie a vari scrittori del giorno, Roma 1813,passim; M. Missirini,Mem. per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca..., Roma 1823, p. 463; F. Patturelli,Caserta e S. Leucio, Napoli 1826, p. 61, n. 50; P. Bianchi,Intorno ad un quarto tempio di Pesto…, in Bull. d. Ann. d. Inst. di corrisp. arch. XII(1830), pp. 227 ss.; M. Ruggiero,Discorso intorno alle presenti condizioni dell'architettura in Italia, in Il progresso delle scienze,delle lettere e delle arti (Napoli), I (1836), pp. 150-152; Descriz. lirica col rispettivo saggio litografico del nuovo tempio eretto nella real Piazza di Napoli…, Napoli 1836,passim; Ragionamento sulla edificaz. della nuova basilica di S. Francesco di Paola, Napoli 1836,passim; N. Filalete,Alcune parole che illustrano quello che operò... G. Patturelli nella costruz. della chiesa di Caserta…, Napoli 1838,passim; V. Morgigni Novella,La chiesa di S. Francesco di Paola, in Poliorama pittoresco, III(1838-39), pp. 217-219; P. Micheletti,Storia dei monumenti del Reame delle Due Sicilie, Napoli 1845, I, p. 21, n. XXVI; G. Quattromani,Napoli dal 1763 al 1852, in La Sirena (Napoli), VII (1853), p. 37; G. Nobile,Un mese a Napoli…, Napoli 1855, I, p. 98; C. Cantù,Storia della città e diocesi di Como, Firenze 1856, II, p. 341; C. Celano,Notizie del bello,dell'antico e del curioso della città di Napoli. con il commento di G. B. Chiarini, III, Napoli 1858, p. 493; IV, ibid. 1859, p. 287; C. N. Sasso,Storia dei monumenti di Napoli e degli architetti che li edificavano, Napoli 1858, II, pp. 123-134, 217; G. Fiorelli,Pompeianarum antiquitatum historia, II-III, Neapoli 1862-1864,passim; G. Merzario, I maestri comacini..., Milano 1893, II, p. 371; G. Ceci,La chiesa di S. Francesco di Paola e le statue equestri di Carlo II e di Ferdinando I, in Napoli nobilissima, V(1896), pp. 102-105; C. Brun,Schweizerisches Künstler-Lexicon…, I, Frauenfeld 1905, p. 126; M. Guidi,Dizionario degli artisti ticinesi, Roma 1932, p. 43; G. Ceci,Bibl. per la storia delle arti figurative nell'Italia merid., Napoli 1937, II, pp. 417, 418, 655; G. Chierici,La reggia di Caserta, Roma 1937, pp. 54, 57, 101 s.; N. Tarchiani,L'architettura ital. dell'Ottocento, Firenze 1937, p. 19; A. M. Brizio,Ottocento e Novecento, Torino 1939, pp. 51-53; U. Donati,Artisti ticinesi a Napoli, Lugano 1939,passim; Id.,Vagabondaggi: contributi alla storiografia artistica ticinese, Bellinzona 1939, I, pp. ss, 62, 64, 69, 75, 301, 302; E. Cione,Napoli romantica (1830-1848), Milano 1942, pp. 148 s.; G. Doria,Le strade di Napoli, Napoli 1943, p. 374; B. Croce,La spiaggia e la villa di Chiaja, in Storie e leggende napoletane, Bari 1948, p. 272; C. Lorenzetti,L'Accademia di belle arti di Napoli (1752-1952), Firenze 1952, pp. 315 s.; J. Burckhardt,Il Cicerone, Firenze 1955, p. 30; E. Kaufmann,Architecture in the age of reason, Cambridge, Mass., 1955, p. 116; Stendhal,Rome,Naples et Florence, Paris 1955, pp. 275 s.; E. Lavagnino,L'arte moderna, Torino 1956, pp. 98, 113, 116, 117, 224, 570; R. Pane, F. Fuga, Napoli 1956, p. 125; F. De Filippis, Le fontane di Napoli, Napoli 1957, p. 37; A. Chastel,L'arte italiana, Firenze 1958, II, p. 272; H. R. Hitchcock,Architecture in nineteenth and twentieth centuries, Harmondsworth 1958, p. 54; R. Pane, G. Alisio, P. Di Monda, L. Santoro, A. Venditti,Ville vesuviane del Settecento, Napoli 1959, p. 311; C. Maltese,Storia dell'arte in Italia (1785-1943), Torino 1960, pp. 40 s.; C. L. V. Meeks,Pantheon Paradigm, in Journal of Architectural Historians, XXIX(1960), n. 4, pp. 135 ss.; B. Molajoli,Il Museo di Capodimonte, Cava dei Tirreni 1961, pp. 30 s.; A. Venditti,Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, v. Indice; U. Thieme-F. Becker,Künstler-Lexikon, III, p. 585.