BERTANO, Pietro
Nato a Nonantola il 4 nov. 1501 da Francesco, apparteneva a una famiglia originaria di Modena. Verso il 1516 entrò nell'Ordine domenicano a Modena, studiò a Bologna con Tommaso Badia e, conseguito il grado di dottore in teologia, insegnò a Bologna, Ferrara e Venezia. Nel 1534 fu chiamato a Roma dal papa Paolo III e nel 1536 per suo incarico condusse trattative segrete col duca di Urbino per la restituzione di Camerino. Nello stesso anno, o al più tardi nel 1537, il B. si trasferì a Mantova come lettore nel convento domenicano, particolarmente apprezzato dal cardinale Ettore Gonzaga per la sua cultura teologica.
A Mantova il B. tenne prediche molto frequentate sulle lettere di s. Paolo e compose i cinque trattati che si conservano autografi nella Biblioteca Apostolica Vaticana (cod. Urbinate 937): De principum iure a Deo instituto, De iure principum in sibi subiectos populos, De iustis principum exactionibus, De magistratu instituto a principe e De munere instituti magistratus, dedicati al card. Gonzaga.
Quando, con la morte di Cosimo Gheri (22 sett. 1537), si rese vacante il vescovato di Fano, il B. fu chiamato a succedergli il 28 nov. 1537, per intervento del Gonzaga che aveva il regresso sul vescovato, sebbene la Curia sostenesse Sebastiano Bonfigli. Uno scambio di sede col vescovo di Modena, Giovanni Morone, fu progettato nel 1545, ma non attuato.
La maggiore importanza del B. consiste nel suo talento teologico al quale il concilio di Trento offrì le migliori possibilità di dispiegarsi. Egli fu subito considerato come uno dei più convincenti oratori, e condusse una duplice azione di mediatore: come teologo, si schierò fra i rappresentanti del movimento umanistico di riforma e cercò di contemperare l'indirizzo agostiniano con i propri principi tomistici derivanti dall'appartenenza all'Ordine domenicano. Sul terreno della politica ecclesiastica godeva della fiducia del papa e dei legati; come esponente del partito imperiale fu utilizzato in tutte le questioni che richiedevano buoni rapporti con Carlo V. Questo compito non gli risparmiò l'ostilità delle due parti: una volta si disse che egli votava segretamente in accordo con i legati e con la Curia, un'altra volta che si lasciava corrompere dagli Imperiali.
Arrivò a Trento alla fine del gennaio del 1546, dopo aver dedicato buona parte dell'anno precedente, dal maggio al settembre, alla preparazione del concilio, sempre a Trento. Nel corso della discussione sul capitolo "Scrittura e tradizione" appartenne dal febbraio del 1546 in poi a una delle tre congregazioni particolari (classe di Marcello Cervini), ottenendo in collaborazione con Girolamo Seripando che non si assumessero acriticamente le decisioni del concilio di Firenze (1441) relative a questo argomento. Nel marzo fu chiamato a far parte della deputazione che doveva discutere sugli inconvenienti dell'uso della Sacra Scrittura nella predicazione. Nel corso delle discussioni, che si svolsero in parte in casa sua, il B. si rivelò la vera mente direttiva dell'intera deputazione. Durante il dibattito sul progetto di decreto del 23 e 27 marzo prese decisamente posizione contro le opinioni dei domenicani: d'accordo col Seripando - entrambi avevano sollecitato già in precedenza una limitazione dell'autorità dottrinale degli scritti deuterocanonici secondo l'esempio di s. Gerolamo - si pronunciò a favore di una valutazione differenziata della scrittura e della tradizione ("simili pietatis affectu" invece di "pari pietatis affectu"), per la ragione che non tutte le tradizioni apostoliche, ma solo quelle rimaste inalterate dovevano considerarsi come elementi del patrimonio della fede. Gli argomenti del B. suscitarono profonda impressione ed ebbero la conseguenza di suscitare un nuovo dibattito. Le controversie, che si conclusero con l'adozione della formula "et-et", durarono fino alla vigilia dell'approvazione del decreto (8 aprile).
Dopo che la deputazione ebbe steso il proprio rapporto (17 marzo), il B. dovette difendersi dai violenti attacchi degli Spagnoli, in particolare del vescovo di Motula Angelo Paschalis, ai quali rinfacciò la predicazione spagnola della "cruzada" e il diritto di nomina usurpato dal re cattolico.
Nello stesso tempo si pronunciò a favore della revisione della Vulgata avversata dagli Spagnoli (la cui difficoltà tuttavia egli sottovalutò eccessivamente) e, insieme col cardinale di Trento Cristoforo Madruzzo, a favore della Bibbia in volgare.
Dalla fine di maggio partecipò attivamente alla discussione sul peccato originale, che egli voleva si trattasse prima della questione della residenza e indipentemente da quella della Immacolata Concezione. Anche su questo problema il B. prese posizione contro un'acritica assunzione di decisioni dottrinali precedenti e sollecitò in concreto la condanna di singole proposizioni ereticali. Respinse il carattere di empietà attribuito alla concupiscenza: su questo punto egli si allontanò notevolmente dalla direzione agostiniana (Pole, Seripando) e nel suo voto di orientamento tomistico tracciò quella linea che alla fine sarebbe stata adottata dal concilio.
La sua iniziale dichiarazione, intesa ad ottenere un rinvio del dibattito sulla residenza, suscitò forti critiche; tuttavia nel corso della discussione del 9 giugno egli assunse una posizione precisa indicando il dovere della residenza come un requisito nel senso del ius divinum.
Contestò risolutamente al concilio, e rivendicò al papa, il diritto di decidere sulla questione della Immacolata Concezione, precisando che la costituzione emanata da Sisto IV nel 1483 non era certamente risolutiva. L'8 luglio il B. espose a lungo le proprie vedute sulla questione della giustificazione: uscendo completamente dall'ambito del sistema tomistico concordò con il Seripando lo schema di una triplice giustizia ("iustitia Christi", "iustitia Christi nobis inhaerens" e "iustitia operum") e di una triplice credibilità ("fides historica", "fides miraculorum" e "fides christiana evangelica"). Quest'ultima tripartizione gli procurò l'accusa di simpatie luterane, sebbene il B. si sforzasse proprio su questa questione di differenziarsi nettamente dai protestanti.
Il 3 ag. 1546 il B., per incarico dei legati (non del concilio, ma con il consenso dei cardinali imperiali Madruzzo e Pacheco), iniziò un viaggio verso la corte imperiale per convincere Carlo V a trasferire il concilio a Ferrara, Lucca o Siena; quando però a Bressanone il segretario del cardinale di Trento, Aurelie Cattaneo, di ritorno dalla Germania, gli fece presente la contrarietà dell'imperatore, ritornò a Trento.
Il 7 agosto era di nuovo in viaggio verso Roma per incarico del Madruzzo: avrebbe dovuto difenderlo in Curia dove il Madruzzo era inviso per l'atteggiamento filoimperiale assunto a Trento, senonché l'accoglienza del papa fu molto ostile.
Dopo il suo ritorno a Trento, nell'autunno del 1546, il B. si ammalò per lungo tempo. Di fronte ai nuovi progetti di trasferimento avanzati dai legati e dal papa egli presentò la proposta di sospendere il concilio, prima però che si definissero i termini del decreto sulla giustificazione per permettere all'imperatore ulteriori trattative con i protestanti. Questa proposta fu respinta, sebbene egli si fosse illuso di conquistare alla propria tesi tutti i partiti: servì tuttavia come base di intesa per un accordo dei legati con gli ambasciatori imperiali al concilio.
Nei dibattiti del novembre e del dicembre il B. criticò aspramente la terza redazione del decreto sulla giustificazione. In una sensazionale interpretazione delle parole di s. Paolo "fide iustificamur" si avvicinò, esattamente nel senso del Seripando e del partito di orientamento agostiniano, alla dottrina luterana della giustificazione. Quando, l'11 genn. 1547, il decreto fu finalmente approvato nella quinta redazione, il B. fu tra gli oratori cui spettava il merito principale della sua formulazione.
Durante le sedute del concilio il B. si sforzò ripetutamente di coordinare lo svolgimento del concilio con la politica dell'imperatore volta a fronteggiare la situazione religiosa in Germania, e si mantenne in ottimi rapporti con il portavoce del partito imperiale Madruzzo. Gli sforzi del Madruzzo (che trattava il B. come suo stretto confidente e lo considerava come l'uomo più intelligente che avesse mai incontrato) di procurargli nel 1546 l'arcivescovato di Capua fallirono. Nell'agosto dello stesso anno circolò a Roma la voce che il Madruzzo avrebbe assegnato al B. una pensione con la promessa di farlo cardinale, appena fosse stato eletto papa dal conclave successivo alla morte di Paolo III; il Pacheco avrebbe dato il consenso al progetto in nome dell'imperatore.
Prima di entrare in più stretti rapporti con la corte imperiale, il B. svolse ancora una missione che lo rese personalmente benemerito di Paolo III: all'inizio del marzo 1547 abbandonò Trento per recarsi a Pesaro, dove trattò con il duca d'Urbino Guidobaldo della Rovere, vedovo, il progettato matrimonio con la nipote del papa Vittoria Farnese. La missione dei B. ebbe successo e il matrimonio fu concluso per procura il 31 maggio 1547. Nella primavera di quell'anno fu anche accreditato a Venezia per breve tempo.
Nell'agosto del 1547 cominciò a correre voce che il B. sarebbe stato destinato alla nunziatura presso la corte imperiale, vacante per il richiamo di Girolamo Verallo. Lo raccomandavano per questo incarico non solo i suoi buoni rapporti con la corte imperiale, ma anche la collaborazione all'opera del concilio di Trento (la cui introduzione nella Germania cattolica sembrava particolarmente importante), nonché la sua appartenenza allo stesso Ordine cui apparteneva il confessore dell'imperatore Pedro de Soto.
Nella primavera del 1548 queste voci si rivelarono fondate: nominato nunzio con bolla del 9 giugno, il 10 dello stesso mese si mise in viaggio da Roma, raggiunse Bologna il 17 - non fece visita deliberatamente al cardinale Giovanni del Monte in pessimi rapporti con l'imperatore, adducendo a pretesto la fretta - e il 23 Trento, dove fu informato "liberamente" dal Madruzzo sulla situazione tedesca. Solo il 30 giugno fece il suo ingresso in Augsburg e il 2 luglio fu ricevuto in udienza da Carlo V insieme con Francesco Sfondrato.
Le prime trattative del nuovo nunzio conl'imperatore sembrarono promettere successo. Il B. avanzò parecchie proposte tendenti a sciogliere di fatto il concilio senza tuttavia decretarne una formale sospensione. L'imperatore, il 17 luglio, si dichiarò contrario, ma presentò controproposte che il B. appoggiò presso la Curia.
Il progetto dei B. di eseguire la riforma della Chiesa a Roma con tutti o con una parte dei prelati presenti a Trento e di eliminare quindi la controversia sulla validità dei decreti conciliari precedenti portò tuttavia a nuovi contrasti con Carlo V. Il B. dichiarò ripetutamente che bisognava cedere su questo punto e in particolare sulla questione delle facoltà (riguardante il rilascio di dispense per il matrimonio dei preti e la comunione sotto le due specie), per potere ottenere dall'imperatore compensi sul terreno politico (questione di Piacenza).
Di fatto nel concistoro del 31 ag. 1548 avvenne la pubblicazione della bolla delle facoltà per la cui esecuzione furono nominati "cum potestate legatorum a latere" il B. insieme con Sebastiano Pighino, vescovo di Ferentino, e con Luigi Lippomano vescovo di Verona; all'inizio dell'ottobre sia il B. sia Carlo V ricevettero la bolla. Il B. si illudeva sperando che Carlo V si sarebbe dimostrato conciliante verso il papa nella questione dì Piacenza sorta in seguito all'assassinio di Pier Luigi Famese. Con questa illusione egli cercò di ottenere a Roma che si venisse incontro ai desideri dell'imperatore, il quale voleva un ampliamento delle facoltà dei tre legati. Di una restituzione di Piacenza alla Chiesa però non si parlava più, sebbene anche Giulio Orsini, sul quale il papa, dopo il fallimento del B., aveva riposto grandi speranze, si fosse adoperato come mediatore dalla fine del 1548. Il 12 giugno 1549 Carlo V rispose alle sollecitazioni del B. di vantare diritti non solo su Piacenza, ma anche su Parma, e si dichiarò pronto a indennizzare Ottavio Farnese con Camerino. Il B. restò colpito da questa risposta e cercò di convincere l'imperatore accennando alle possibili difficoltà nel rilascio delle dispense desiderate: per tutta risposta ebbe la minaccia dell'appello a un concilio e l'intimidazione di uno scisma.
Il B., che dopo la morte di Paolo III restò in carica solo per l'esplicito desiderio di Giulio III, ottenne di essere revocato dall'incarico: dopo la nomina del Pighino a suo successore si congedò da Carlo V il 14 ag. 1550.
Sofferente di gotta, all'inizio di settembre si recò prima a Modena, quindi a Nonantola e Parma, dove, sempre malato, s'incontrò con Ottavio Farnese. Presentò le proprie scuse al papa il 18 settembre, adducendo le cattive condizioni di salute.
Per replicare alla presa di posizione di Carlo V sulla questione di Piacenza, nel gennaio del 1551 il B. fu incaricato di recarsi ancora una volta alla corte imperiale a presentare le controproposte del papa. Il 27 gennaio lasciò Roma, raggiunse tuttavia Rimini e Nonantola solo alla metà di febbraio a causa di nuovi attacchi di gotta e vi si fermò fino alla metà di marzo. Il Pighino così dovette trattare da solo con la corte imperiale fino al 28 marzo, data dell'arrivo del B. ad Augsburg. Sebbene questi avesse anche l'istruzione segreta di consigliare all'imperatore l'arresto di Ottavio Famese, fece tutto il possibile per raggiungere una soluzione pacifica, anche quando erano già cominciate le ostilità tra le truppe imperiali e quelle francesi.
Terminato che ebbe Carlo V il suo soggiorno di caccia a Monaco (maggio-luglio 1551), il B., che era stato nominato legato il 4 agosto, poté riprendere a trattare direttamente. Aderendo integralmen te al punto di vista dell'imperatore, nel settembre del 1551 consigliò al papa di rinviare al concilio la definizione degli articoli sul matrimonio degli ecclesiastici e sulla comunione sotto le due specie fino all'arrivo degli ambasciatori protestanti.
Nel dicembre egli si pronunciò contro le pressioni dei prelati spagnoli che volevano trattare la riforma prima del dogma, ravvisando in queste tendenze un pericolo per l'autorità pontificia. Già nell'ottobre al B., che accompagnò l'imperatore a Innsbruck, fu associato come nunzio straordinario P. Camaiani, come avverrà anche nel genn. 1552.
I rapporti del B., nominato il 20 novembre cardinale, col Camaiani furono inizialmente buoni, ma si guastarono presto per il comportamento di quest'ultimo, temperamento impetuoso e superbo, che trattava spesso con la corte imperiale senza consultare il Bertano. Ora però fu accolta la rinnovata richiesta del B. di essere esonerato dal suo incarico e il io febbr. 1552 il Camaiani fu nominato nuovo nunzio. Una malattia del B. e il desiderio dell'imperatore di parlare con lui ancora del concilio prolungarono il suo soggiorno alla corte imperiale, divenuto insopportabile per i continui contrasti col Camaiani, fino al marzo del 1552. Il 26 marzo finalmente il B. si mise in viaggio e arrivò a Nonantola il 13 aprile, dove lo raggiunse un ordine del papa di ottenere, nel caso che il concilio non approvasse la bolla di sospensione, il suo aggiornamento a Trento. Nell'ottobre del 1552, di nuovo malato, il B. si diresse alla volta di Roma.
L'attività diplomatica del B. si concluse con questa missione. Tanto acuto egli si mostrò come teologo al concilio, quanto ingenuo e maldestro come nunzio. Senza essere all'altezza dell'imperatore né dei suoi consiglieri, considerò ogni oggetto di trattativa sempre con un ottimismo ingiustificato e riferì in questo senso a Roma dove ci si rese presto conto della sua incapacità. A favore dell'attività da lui svolta come nunzio depone solo la considerazione e la stima generale che si era guadagnato per la sua impeccabile condotta di vita. La sua assoluta inesperienza delle cose del mondo, alla quale non servirono i numerosi insuccessi, risulta in piena evidenza dal suo proposito di conquistare alla Chiesa di Roma eminenti protestanti (fra gli altri anche Melantone) con l'offerta di benefici ecclesiastici.
Nel 1555 il nome del B. fu fatto due volte per la candidatura al soglio pontificio. Nel conclave di Marcello II egli perse assai presto ogni possibilità di successo per la mancata costituzione di una maggioranza con l'apporto dei cardinali creati da Giulio III e di quelli del partito imperiale. Nel conclave di Paolo IV il B., proposto dal cardinale Farnese, rifiutò la candidatura, ma fu tra i più ostinati oppositori all'elezione del Carafa.
L'anno successivo fece parte di una congregazione istituita da Paolo IV per la riforma della Curia. Quando, nell'agosto del 1557, il suo segretario Adriano fu arrestato dall'Inquisizione, si cominciò a pensare che il B. avrebbe subito lo stesso destino dei cardinali Morone e Pole perseguitati da Paolo IV. Ciò non avvenne.
Morì l'8 marzo 1558 a Roma e fu sepolto in S. Sabina.
Degli scritti del B., oltre quelli già ricordati, sono noti ancora i Commentaria in universam S. Thomae Summam e un Tractatus de potestate papae contra Lutherum, inediti.
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