BERRETTINI, Pietro (Pietro da Cortona)
Nacque a Cortona, nella parrocchia di S. Cristoforo, il 1°nov. 1596, da Giovanni Berrettini e da Francesca Balestrari.
La famiglia dei Berrettini era di modeste origini e vi si tramandava l'arte dello scalpellino e del muratore. Dei contemporanei di Pietro, Filippo, figlio di un Francesco, nacque a Cortona il 2 ag. 1582. Cugino di Pietro, fu scalpellino, ingegnere e architetto, attivo a Cortona e Castiglion Fiorentino. Nel 1634 disegnò e scolpì per la chiesa di S. Maria della Consolazione a Castiglion Fiorentino l'altare maggiore a due facciate (firmato; illustrato dal Mancini, 1909, p. 140); gli sono attribuiti, nella stessa cittadina, anche due altari nella chiesa di S. Agostino. A Cortona costruì la chiesa suburbana dello Spirito Santo (da alcuni attribuita a Francesco Berrettini), la facciata del palazzo pretorio e altri palazzi. Nel 1642 livellò la pianura cortonese e castiglionese. Morì a Cortona il 6 marzo 1644.
Tra i suoi figli, Luca (nato il 26 dic. 1609 a Cortona; morto il 20 giugno 1680 a Roma?) fu "capomastro scalpellino", architetto e scultore, e soprattutto aiuto di Pietro nell'esecuzione delle sue imprese architettoniche; è autore anche di una importante lettera su questo, scritta il 24 marzo 1679 a Ciro Ferri (Campori, 1866). Nel 1654 forniva, con F. Frugone, marmi per l'altare sotterraneo di S. Agnese a piazza Navona (cfr. Wibiral, 1960).
Lorenzo, altro figlio di Filippo, nacque a Cortona l'8 ag. 1620. Pittore, operò a Cortona, Aquila e Ascoli Piceno; ma è anche elencato nel Catalogo generale dei professori accademici di S. Luca a Roma (Missirini, 1823, p. 462). Morì (a Ascoli Piceno?) il 2 febbr. 1672. Si citano fra le opere, a Cortona: duomo, il Transito di S. Giuseppe e la Madonna in Gloria con S. Filippo e altri santi; chiesa di S. Chiara, Sacra Conversazione; all'Aquila: S. Maria di Cascina, S. Francesco Saverio; S. Francesco a Palazzo, S. Giuseppe con la Madonna e il Bambino; S. Margherita, affreschi nella cappella di S. Equizio, la pala con S. Anna (ora perduta) e gli affreschi della cappella Quinzi, la pala con S. Francesco Saverio nella cappella del santo; S. Maria di Collemaggio, affreschi della cupola e due quadri d'altare nelle navate traverse con S. Pietro Celestino e Erodiade; palazzo Alfieri, affreschi di una sala con le Storie del ratto del vello d'oro (assegnati dal Serra, 1912 e 1929, e dal Piccirilli, 1913, come anche gli affreschi di S. Margherita, a un Carlo Berrettini, con una datazione al 1635).
è ricordato anche un nipote del B., Giuseppe, che avrebbe operato come pittore a Perugia (unica opera nota Circoncisione in S. Domenico: cfr. Guerrieri, 1960, p. 28).
Giovanissimo, il B. entrò nella bottega del pittore fiorentino Andrea Commodi, ricevendo presso di lui le prime nozioni sull'arte antica secondo i moduli di una cultura di tardo umanesimo cinquecentesco. Già in questo periodo della fanciullezza a Cortona, avrebbe avuto inizio la sua prima attività pittorica; ad essa infatti F. S. Baldinucci, seguito dal Fabbrini (1896), ascrive l'esecuzione di molte operette fra le quali: "Bella e superiore all'età sua… il tabernacolo del Palazzo della nobil famiglia Guaitani…". Molto probabilmente al seguito del Commodi, il B. si recò a Roma nel 1612 e ivi restò nella bottega del suo vecchio maestro fino a che questi, lasciando la capitale due anni dopo, lo affidò a Baccio Ciarpi. In Roma egli venne a trovarsi proprio nel decennio di straordinaria attività artistica che caratterizzò il ponfificato di Paolo V, promossa dalla personale iniziativa del pontefice e del nipote Scipione Borghese.
Il Commodi lo introdusse nel gruppo degli artisti toscani (il Cigoli, il Passignano, A. Ciampelli) che godevano a quel tempo di una ampia considerazione da parte della Curia. Di questo ambiente il giovane B. accolse il principio fondamentale, ovvero la pratica del disegno, che gli servì per un profondo studio dei monumenti antichi, di Raffaello, Michelangelo e Polidoro da Caravaggio.
Di questa applicazione del B. ci sono rimasti vari disegni, i più importanti dei quali sono raccolti in un album conservato al Royal Museum di Toronto (altri si trovano nel Gabinetto delle stampe e dei disegni di Roma, al Louvre e altrove). è probabile che sulle tele di B. Ciarpi egli facesse le sue prime prove pittoriche in qualità di aiuto. Ma i limiti di questo gruppo di artisti dovettero ben presto risultargli evidenti dal confronto con le maggiori imprese pittoriche del tempo che lo stimolarono a idee più grandiose e moderne. Influirono notevolmente sulla formazione intellettuale del giovane cortonese i contatti che egli corninciò ad avere intorno al 1620 con l'ambiente, di inclinazione classicista, dei virtuosi, degli antiquari, e dei nobili dilettanti, nel quale incontrò Cassiano dal Pozzo e Marcello Sacchetti, che fu poi suo mecenate. Il B. si rese inoltre perfettamente conto del generale mutamento di gusto che andava operandosi in quegli anni per l'affermarsi definitivo del patronato artistico dei committenti, l'adeguarsi degli artisti alle loro stesse idee e la conseguente invenzione di un modo di esprimersi più adatto a "rappresentare" che soddisfacesse le esigenze della classe dominante.
Le opere di pittura di questo primo soggiorno a Roma del B. sono gli affreschi nella villa Arrigoni ora Muti, a Frascati (1616 c.), seguiti dagli affreschi nella Galleria del palazzo Mattei di Giove (1622-1623; Noehles, in Kunstchronik 1963, p. 99) e da varie opere eseguite tra il 1620 e il 1624 per i Sacchetti (Mancini): una copia della Galatea di Raffaello (Roma, Gall. dell'Accad. di S. Luca), una copia della Madonna del Tiziano (Roma, Campidoglio, pal. Senatorio), il Sacrificio di Polissena e Il Trionfo di Bacco (Roma, Pinac. Capitolina). Dipinse in quel periodo anche il Giuramento di Semiramide (Londra, coll. D. Mahon), probabilmente per Cassiano dal Pozzo, che a detta del Mancini possedeva allora alcune opere del B. ora non identificabili.
Questo primo gruppo di dipinti afferma già chiaramente l'inizio di un'espressione nuova, differenziandosi sostanzialmente, a prescindere da ogni considerazione qualitativa, dalle manifestazioni artistiche contemporanee. In essi si nota innanzitutto la consapevole intenzione di escludere dalla scena e dai personaggi ogni accenno realistico e ogni rapporto con l'individualità sentimentale dello spettatore. Senza indugiare sull'illusione visiva dei particolari, il B. diffonde la luce, imparzialmente, per tutta la superficie del quadro, creando quella verosimiglianza atmosferica che precorre l'esperienza neo-veneta dei decenni successivi. Tali considerazioni si possono riferire anche agli affreschi eseguiti (1624-26) nella chiesa di S. Bibiana, per commissione dei pontefice Urbano VIII. Il successo di quest'opera accrebbe notevolmente la fama del B. che si avvantaggiava anche dell'importanza della famiglia committente, con la quale, tramite i Sacchetti, egli non tardò a consolidare i suoi rapporti, entrando a far parte della cerchia degli artisti protetti dal cardinal Francesco. A partire dal 1626 comincia il periodo della sua più intensa attività. A quegli anni risalgono le prime pale d'altare: l'Apparizione della Vergine a s. Romualdo (Toledo, S.U.A., Museo), dipinta per i camaldolesi di Frascati nel 1628-29, e la Madonna col Bambino in trono tra quattro santi, per la cappella Passerini nella chiesa di S. Agostino a Cortona, terminata nel 1628. Per i suoi primi protettori, i Sacchetti, dipinse tra l'altro il famoso Ratto delle Sabine (Roma, Pinac. Capitolina) e diresse la complessa decorazione della villa di Castelfusano, dove affrescò con paesaggi tutta la cappella (1626-1629).
Verso il 1625, proprio con il restauro del Casale Sacchetti a Castelfusano, al quale aveva conservato il carattere semplice e rusticale, il B. aveva iniziato la sua attività architettonica. Pochi anni dopo, ancora prima del 1630, egli costruì, sempre per i Sacchetti, il distrutto palazzetto del Pigneto, su un declivio della Valle dell'Inferno.
Il B., ispirandosi agli esempi classici del cortile del Belvedere, della Villa d'Este di Tivoli e del tempio della Fortuna di Palestrina, ma anche del manierismo fiorentino (Buontalenti), sistemò scenograficamente il terreno a scale e terrazze, grotte e fontane, mentre il palazzetto era composto da un corpo centrale con un nicchione nel centro della facciata e da due ali più basse e concave con larghe nicchie nelle loro facciate di fianco, ispirate senz'altro alle terme antiche.
Quest'opera, modesta per dimensioni, ma certo impressionante nell'effetto del prospetto scenografico, fondò la reputazione del B. architetto e attirò l'attenzione dei Barberini, che chiesero a lui di partecipare al concorso (dopo la morte del Maderno nel 1629) per un progetto della nuova costruzione del palazzo Barberini alle Quattro Fontane. Urbano VIII respinse però il suo progetto - secondo il nipote Luca Berrettini (Campori, 1866) - perché troppo costoso.
Il Wittkower (1958, p. 154, tav. 81 A) ritenne di poter riferire a questo progetto un disegno per un palazzo di grandi dimensioni, che però dà solo la disposizione per il pianterreno: un blocco quadrato e massiccio (secondo la tradizione cinquecentesca dei palazzi urbani a Roma) con cortile quadrato a colonnati, con quattro vestiboli nelle assi e una disposizione di piccole stanze ottagonali come favi, molto bizzarra e vicina allo spirito del Borromini. Elemento nuovo per Roma sarebbero stati gli angoli esterni smussati e fiancheggiati da colonne e anche l'integrazione di vestiboli e scale, la principale e più grande delle quali non avrebbe avuto paragone a Roma in quell'epoca.
Anche se fu il Bernini che ottenne la commissione di continuare e terminare la costruzione del Maderno, il B. non fu totalmente escluso dall'impresa: a lui si devono l'originale portale del giardino nel lato orientale, il portale e le finestre della parte poi riadattata per il teatro, la sistemazione della fontana all'angolo delle Quattro Fontane.
Nel periodo giovanile anteriore al 1630 vanno collocati anche alcuni monumenti funebri, come i monumenti Montalto in S. Girolamo della Carità, Leandro e Guglielmi in S. Lorenzo fuori le Mura, ai quali si aggiunge un progetto non eseguito di cappella funebre (disegno a Lille, Musée Wicar, segnalato dal Noehles, in Enc. univ. d. arte, 1963). La posizione preminente che il B. si era venuta conquistando nell'ambiente artistico romano gli valse l'incarico, affidatogli dai Barberini, di quella che è da considerare la maggiore impresa pittorica del tempo: la decorazione della volta del salone del palazzo alle Quattro Fontane.
I lavori pittorici nel palazzo ebbero inizio nel 1631: il B. lavorò dapprima nella cappella con l'aiuto del Romanelli e successivamente, tra l'autunno del 1632 e i primi mesi del 1633, pose mano al grande affresco del salone che lo tenne impegnato fino a tutto il 1639. Il tema, suggerito da Francesco Bracciolini, era "il trionfo della divina Provvidenza e il compimento dei suoi fini attraverso il potere spirituale e temporale del Papato"; le grandi api dorate incoronate d'alloro, proprio al centro dell'affresco, indicavano che il papato era quello di Urbano VIII, che il potere temporale e spirituale - e le stesse allegorie delle singole storie non ne fanno mistero - era quello della famiglia Barberini. Quest'opera è indicativa più di ogni altra dell'inserirsi positivo e moderno dell'artista nella vita del proprio tempo. Nell'immagine grandiosa, unitaria e apologetica del soffitto Barberini si può infatti già riconoscere il simbolo più adatto, l'immagine figurativa più consona a servizio ed esaltazione di quella che sarebbe divenuta una delle tendenze fondamentali del Seicento: l'assolutismo monarchico. Il genio creativo del B. riuscì a trarre dalla molteplicità degli episodi una visione unitaria e compiuta attraverso una sorta di unità di tempo e di spazio. A ciò contribuisce soprattutto la composizione a gruppi collegati tra loro e distribuiti pittorescamente, quasi come per un estro improvviso, seguendo un raggrupparsi e un diradarsi liberissimo, ma sapientemente calcolato, intorno al vuoto luminoso che fa da sfondo al gruppo centrale. Singole prospettive si aprono entro la prospettiva centrale e danno vita ai vari episodi.
Con l'affresco della volta Barberini il B. toccò il punto più alto del suo cammino artistico e insieme il vertice della sua carriera (già un anno dopo l'inizio del lavoro veniva eletto principe dell'Accademia di S. Luca). I sette anni che durò questa sua fatica lo videro occupato anche altrove: nel 1633 creò, su commissione del cardinal Francesco Barberini, per S. Lorenzo in Damaso un ricco apparato scenografico per le Quarantore, ispirandosi ai teatri dell'Aleotti a Parma e del Palladio a Vicenza (disegno a Windsor Castle, Royal Library, riprod. in Schiavo, 1964). Verso la fine dello stesso anno lavorava nella volta della sacrestia della Chiesa Nuova e subito dopo progettò l'altar maggiore di S. Giovanni dei Fiorentini. Il 1° luglio 1634 fu collocato nella chiesa il modello di legno e stucco a grandezza naturale, che fu rimosso solo nel 1664 nel corso della trasformazione realizzata dal Borromini. Caratteristico per il progetto del B., come anche per quello suo dell'apparato in S. Lorenzo, era l'uso di luci radianti da sorgenti nascoste, invenzioni scenografiche che il Bernini solo dopo sviluppò in modo più studiato e ricco.
In qualità di principe dell'Accadernia di S. Luca (carica che tenne per quattro anni), il B. intraprese la ricostruzione della chiesa dei SS. Luca e Martina, sede dell'Accademia.
Il B. cominciò con la ricostruzione, a spese sue, della cripta per erigervi la propria cappella funeraria. D'altra parte egli aveva già disegnato un più vasto progetto, ispirandosi a quello di Michelangelo per S. Giovanni dei Fiorentini (disegni a Monaco e a Milano), e aveva previsto di collocare nei bracci della chiesa (a croce greca) i monumenti funerari di Urbano VIII e degli altri Barberini. Dopo il ritrovamento delle ossa di s. Martina, nel corso degli scavi nella cripta eseguiti dal B., nell'ottobre 1634, l'importanza dell'impresa aumentò considerevolmente. Nel gennaio 1635 il cardinale Francesco Barberini ordinò la ricostruzione dell'intera chiesa (inferiore e superiore). Nel 1644 c. veniva costruita la volta, e una iscrizione del 1650 nell'interno ricorda il compimento della costruzione. Nella chiesa inferiore il B. distribuì simmetricamente cappelle di tipo catacombale incentrate intorno alla cappella rettangolare di S. Martina, con una cupola schiacciata a lacunari sostenuta da colonne angolari. Nella chiesa superiore il B. aveva sostituito lo spazio centrale cilindrico, progettato nei disegni di Milano, con una cupola a pennacchi su pilastri smussati. Le otto colonne che accompagnano i pilastri sostenenti la cupola (motivo preso dalla chiesa di S. Salvatore in Lauro di O. Mascherino) riecheggiano la disposizione simile della chiesa inferiore, mentre il rilievo delle pareti è differenziato in tre piani sporgenti l'uno sull'altro, il cui aggettare e rientrare continua in tutt'e quattro i bracci. Mediante questa modulazione plastica delle pareti è realizzato un aspetto insieme unito e movimentato. Le energie plastiche e il ritmo delle pareti dell'interno sono proiettati all'esterno nella facciata, ondulata e convessa: la prima facciata decisamente barocca, nata all'incirca nello stesso momento di quella borrominiana dell'Oratorio di S. Filippo.
Nel 1635 il B. aveva condotto a termine gli affreschi nella cappella della chiesa di S. Lorenzo in Damaso e nella cappella privata di Urbano VIII nell'appartamento Vecchio in Vaticano. Nel 1637 il cardinale Giulio Sacchetti partì da Roma per Bologna e lo portò al suo seguito. Il B. si fermò, a Firenze su richiesta del granduca Ferdinando II che gli commise la decorazione della sala della Stufa a palazzo Pitti, con Le quattro età del mondo, in quattro affreschi che costituiscono una delle opere più ispirate dell'artista se non il suo capolavoro. Nell'autunno dello stesso anno il B. si recò a Venezia per brevissimo tempo. Era di nuovo a Roma nel dicembre e vi riprendeva il lavoro di palazzo Barberini, eseguendo inoltre per Francesco Barberini una Estasi di s. Alessio (Firenze, Gall. Corsini; replica a Napoli, chiesa di San Filippo Neri). Nella primavera del 1640 tornò a Firenze per finire gli affreschi della sala della Stufa e ricevette dal granduca l'incarico di decorare sette stanze (poi ridotte a cinque) al primo piano di palazzo Pitti. Iniziati i lavori nel 1641, egli li portò avanti fino al 1647 eseguendo le tre stanze di Venere, Giove e Marte, e iniziando la sala di Apollo, che poi venne condotta a termine su suoi cartoni da Ciro Ferri, il quale poi eseguì, di sua invenzione, la sala di Saturno. Negli anni tra il 1640 e il 1647 il B. eseguì anche pitture in casa Buonarroti, dove abitò durante il suo soggiorno fiorentino ospite di Michelangelo il giovane.
Per la decorazione di palazzo Pitti il B. si trovò nuovamente a dover tradurre in immagini visive i suggerimenti di un letterato: Francesco Rondinelli. Il tema era: "quali fossero sotto il segno dei pianeti le virtù necessarie ad un principe, dall'adolescenza all'età senile". Anche qui la luce svolge la sua azione unificatrice scorrendo sulle figure immerse in un ampio respiro atmosferico. Un'esperienza nuova è ora la preponderanza della decorazione a stucco che invade le volte con tanta lussureggiante ricchezza da limitare decisamente la parte pittorica. Ciò non è da addebitarsi ad influenze ambientali ma soltanto allo svolgersi interno e personalissimo dei propositi decorativi del B., che si possono in certo qual modo rapportare ai suoi interessi architettonici. A Firenze, infatti, egli fece un progetto per la chiesa dei filippini (fissato in un modello ligneo, fu giudicato troppo grande e venne modificato da P. F. Silvani e altri; disegni agli Uffizi), e progetti (anch'essi non eseguiti) per un rifacimento barocco della facciata di palazzo Pítti e per un teatro nella parte alta dei giardino di Boboli, collegato in modo scenografico al cortile e alle ali dei palazzo cinquecentesco mediante terrazze curvate e colonnate (dis. agli Uffizi; Noehles, 1963, tav. 328).
Tornato definitivamente a Roma nel 1647, il B. ebbe, tramite i filippini di Firenze, la commissione di dipingere la cupola della Chiesa Nuova di Roma, opera a cui diede inizio nel giugno 1648 e che venne inaugurata il 26 maggio 1651. Nel dicembre dei 1650 trattò l'acquisto di una casa (ora distrutta) in via della Pedacchia, che restaurò abitando nel frattempo nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte. Nel 1651 Innocenzo X gli commise la decorazione della galleria costruita dal Borromini in palazzo Pamphili a piazza Navona: vi eseguì, dal 1651 al 1654, affreschi con Storie di Enea, che rimangono l'opera più importante della sua maturità.
Diversamente che per il soffitto Barberini e per le sale di palazzo Pitti, l'artista non si trovò qui a dovere seguire i complessi concetti di un'invenzione letteraria apologetica e macchinosa, non gli si richiedeva un'impegnativa apoteosi politico-familiare: l'intento di Innocenzo X e dei suoi familiari era di corredare la galleria di una decorazione elegante secondo il più aggiornato gusto figurativo. La volta stretta e lunghissima non si prestava inoltre a una rappresentazione unitaria, a una visione unica e totale come la barberiniana: occorreva dividere lo spazio con partiture decorative e incorniciare variamente i diversi episodi. Il B. si mostrò all'altezza dei nuovi compiti creando una divisione della volta mirabile per invenzione e per copia di decorazioni, ricca di cornici con cordoni intagliati, festoni di querce, medaglioni in grisaille, tralci di fiori e di frutta, fregi, emblemi di casa Pamphili, ecc., ma tutto dipinto senza ricorrere a opera di stucco, probabilmente per sostituire all'unità del soggetto e della visione delle sue imprese precedenti l'unità stilistica di un'eleganza lieve ed ornata. Nello stesso tempo non sacrificò completamente l'unità alla divisione in zone - ché uno stesso cielo si apre anche qui dietro le storie maggiori - e animò le composizioni della stessa foga naturale che si sussegue ininterrotta di episodio in episodio in un'ondosa rispondenza di ritmi.
Nell'aprile del 1652 il Consiglio comunale di Cortona concesse al B. la cittadinanza, che venne approvata e confermata dal granduca. Sempre a Roma, nello stesso anno gli furono commessi i cartoni per i mosaici delle cupole. pennacchi e sordini per la navata destra di S. Pietro, e cominciò nell'estate a lavorare per la terza e seconda campata davanti alle cappelle dei Sacramento e di S. Sebastiano. Nel 1653 dipinse il Sacrificio di Senofonte a Diana per celebrare il ritorno a Roma dei Barberini (già Roma, coll. Barberini). Negli stessi anni progettava la cappella del Sacramento per la basilica di S. Marco. Negli anni del papato di Alessandro VII (1655-1667) il prestigio del B. si accrebbe al punto ch'egli divenne, insieme col Bernini, arbitro della situazione artistica romana. Si dedicò con particolare assiduità all'attività architettonica: trasformò in senso barocco e con carattere decisamente scenografico la facciata di S. Maria della Pace (1656-57). Mentre la parte superiore della facciata ripete la facciata della chiesa dei SS. Luca e Martina, elementi nuovi sono il portico (anteriore a quello del Bernini a S. Andrea al Quirinale), che introduce un forte accento plastico e allo stesso tempo serve di intermediario fra l'interno e l'esterno, e le due ali, che trasformano la facciata e la piccola piazza in scena e auditorio. Anche l'interno della chiesa subì una trasformazione da parte del B., che applicò una decorazione di stucco e progettò più tardi un rivestimento marmoreo per la cappella Chigi.
Per la facciata della chiesa di S. Maria in via Lata (1658-1662), inserita fra i palazzi della stretta via del Corso, il B. dovette rinunciare a una soluzione scenografica come pure a una curvatura della facciata. Il carattere è di un classicismo severo e monumentale, con i due piani di pesanti colonnati corinzi divisi da una trabeazione aggettante e inquadrati da una parete scandita da lesene. Nel motivo dell'arco a tutto sesto al piano superiore, che interrompe la trabeazione e si inserisce in un timpano triangolare, il B. si è ispirato ovviamente agli esempi dell'architettura ellenistica e tardo-romana (Baalbek, Spalato, ecc.).
Già poco prima del 1658 (non solo nel 1668, come scrive il Wittkower, 1958, p. 161) mons. G. B. Gavotti aveva cominciato a far erigere su disegno del B. la sua cappella in S. Nicola da Tolentino (testamento del Gavotti del 3 genn. 1658 rogato dal notaio Thomas Palutius, Roma, Archivio Capitolino), la cui decorazione, rimasta incompiuta alla morte dell'artista, venne completata dal Ferri. Nel 1662 il B. fornì un progetto per la trasformazione dell'interno dell'abside di S. Giovanni in Laterano (disegno alla Bibl. Vaticana).
Nel 1664 Luigi XIV ordinò al Bernini, al Rainaldi, al Candiani e al B. di elaborare progetti per la ricostruzione del Louvre. Il B. disegnò una pianta (ora perduta) e quattro prospetti per facciate, per due dei quali (facciata orientale e occìdentale) i disegni furono ritrovati nel Louvre dal Noehles (1961), insieme col progetto della fronte orientale del cortile (non eseguito). Molto simile è il progetto (anch'esso non eseguito) di un palazzo per i Chigì, con un prospetto a fontana (disegno al Vaticano, Bibl. Chigi).
Assorbito da quelle imprese, il B. poté riservare alla pittura solo un tempo relativamente limitato; così, quando Alessandro VII gli commise la decorazione della galleria del palazzo di Montecavallo, si limitò a scegliere gli artisti cui dovevano essere affidate le singole storie, riservandosi di affrescarne la volta, lavoro al quale pare non abbia poi mai pensato seriamente di dedicarsi: nulla infatti della galleria dei Quirinale testimonia un'attiva presenza del Berrettini. In quegli stessi anni dipinse con lunghe interruzioni la tribuna della Chiesa Nuova, iniziata nella primavera del 1655. Nel 1661 ricevette dal pontefice ancora due commissioni: un quadro d'altare per la chiesa di S. Tommaso di Villanova a Castelgandolfo e una pala d'altare per la chiesa di S. Ivo alla Sapienza.
Il riprendere della "sua febbretta solita" come scrive G. B. Muzzarelli al duca di Modena nel novembre 1661,gli impedì di eseguire la pitture nel Palazzo Estense a Roma (F. Imparato, Docum. relativi al Bernini e a suoi contemporanei, in Arch. stor. dell'arte, III [1890], pp. 139 s.). Nel 1666 furono condotte senza esito trattative per un gran quadro per Carlo Emanuele di Savoia, e l'artista portò a compimento un quadro d'altare per Bartolomeo Valli di Cortona, con la Madonna, il Bambino e s. Martina (ubicaz. ignota). Le ultime opere più importanti sono l'affresco della navata centrale della Chiesa Nuova (1664-1665) e la pala per l'altare maggiore di S. Carlo ai Catinari (1667).Oramai era tormentato dalla gotta e dalla chiragra che, come egli scrive al granduca di Toscana, lo rendeva inabile quasi la metà del tempo; tuttavia questa pala di S. Carlo indica il raggiungimento più alto tra le pale d'altare che l'artìsta dipinse negli ultimi due decenni di attività dopo il ritorno definitivo da Firenze. Tra queste meritano di essere ricordate quelle per S. Lorenzo in Miranda (1646), per la chiesa dei SS. Michele e Gaetano a Firenze (1653), per S. Francesco a Siena (1656), per la chiesa dei filippini a Perugia (1650-1660), per S. Daniele a Venezia (1663), sino all'Annunciazione per S. Francesco a Cortona (1665), che precede di poco la pala di S. Carlo ai Catinari. Nel 1668 il B. dipinse l'affresco della cupola della cappella Gavotti a S. Nicola da Tolentino, della quale dieci anni prima aveva eseguito anche il progetto architettonico, e, per Clemente IX, dipinse (ultima sua fatica prima della morte) un quadro d'altare destinato alla chiesa di S. Ignazio a Pistoia.
L'ultima opera architettonica di grande importanza eseguita dal B. fu la cupola di S. Carlo al Corso la cui costruzione non era terminata alla sua morte: anche la cappella di S. Francesco Saverio al Gesù fu portata a termine solo dopo la morte dell'artista. Fra le opere minori si ricordano il monumento funebre per Giovan Albano Ghilbesio al Pantheon (ora distrutto) e, a Firenze, i restauri dell'Ospedale di S. Maria Nuova e di casa Buonarroti. Il B. morì a Roma il 16 maggio del 1669 e fu sepolto nella chiesa inferiore dei SS. Luca e Martina.
Le sue opere più tarde non fanno trapelare segni di stanchezza o esaurimento; dotato di viva intelligenza, grande immaginazione, ricchezza di idee e forza non comune nel realizzarle, il B. seppe inserirsi vivamente nel flusso della vita secentesca con un apporto personale e non disconoscibile. Egli seppe creare qualcosa di nuovo e al tempo stesso in certo qual modo atteso, meravigliosamente adatto all'inclinazione spirituale e alle esigenze mondane dei contemporanei. La sua attività è legata a tutto un vasto movimento artistico in cui si identificano alcuni aspetti fondamentali del Seicento europeo ed egli rimane la figura più rappresentativa della pittura italiana del suo tempo.
Fonti e Bibl.: Per la bibl. completa di carattere gen. e sul B. pittore fino al 1958-60 si rimanda alla monografia di G. Briganti (Firenze 1962) e si citano qui solo i titoli più importanti, aggiungendo infine la bibl. posteriore al 1958-60, la bibl. sul B. architetto. G. Mancini, Consideraz. sulla Pittura… [prima del 1630], a c. di A. Marucchi e L. Salerno, I-II, Roma 1956-57, v. Indice, II, p. 237; O. B. Ferrari, Flora sive de florum cultura, Romae 1637, p. 262 (biografia); trad. ital., Roma 1638 (con illustraz. del B.); Dichiaratione delle pitture della volta de' signori Barberini, Roma 1640; H. Tetius, Aedes Barberinae ad Quirinalem, Romae 1642, passim; Odomenigio Lelonotti e Britio Brenetteri [G. D. Ottonelli e P. Berrettini], Trattato della Pitt. e scult…, Fiorenza 1652; Schede Vesme…,I, Torino 1963, pp. 126 s. (docc. del 1666); L. Berrettini, Lettera a Ciro Ferri [1679], in G. Campori, Lett. artistiche, Modena 1866, pp. 505-515 (biogr. del B.); F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno [1681-1728], Milano 1812, X,p. 174; XII, pp. 201, 202, 203 s., 460; XIII, pp. 437, 494; Id., Cominciamento… dell'arte dell'intagliare… [1686], Milano 1808, II, pp. 157, 201, 252; Firenze, Bibl. Naz.: F. S. Baldinucci, Biografia di P. da Cortona, ms. Pal.565 (due biografie del B.: la prima pubbl. da S. Samek Ludovici, in Archivi, s. 2, XVII [1950], pp. 80-91); Roma, Bibl. Vaticana: N. Pio, Vite…, ms. Cod. Capp. 257 [1724], p. 190; L. Pascoli, Vite… [1730], Roma 1965, pp. 3-14; F. Milizia, Mem. degli architetti, Roma 1785, II, p. 146; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, Bassano 1795-96, I, pp. 251, 284, 503, 524; G. Bottari-S. Ticozzi, Racc. di lettere…, Milano 1822, I, pp. 413-418; V, pp. 48, 311, 313; M. Missirini, Mem… della rom. Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 9, 101-103, 105, 107, 110; M. Gualandi, Nuova racc. di lettere, II, Bologna 1845, pp. 144 s.; F. Cerroti, Lett. e mem. di artisti tratte dai mss. della Corsiniana, Roma 1860, p. 10; G. Voss, in J. Meyer, Allgemeines Künstlerlexikon, III, Leipzig 1885, pp. 680-691; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma, Firenze 1886, III, pp. 249, 254; G. Cocova, Il testamento di P. da Cortona, in Arch. stor. dell'arte, III (1890), pp. 210-213; N. Fabbrini, P. B…, Cortona 1896; H. Geisenheimer, Pietro da Cortona e gli affreschi di Palazzo Pitti, Firenze 1909; O. Pollak, Neue Regesten zum Leben und Schaffen des römischen Malers und Architekten Pietro da Cortona,in Kunstchronik, n.s., XXII (1911-12), pp. 561-567; Id., in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, VII, Leipzig 1912, pp. 486-498 (sub voce Cortona, Pietro da); Id., Italienische Künstlerbriefe aus der Barockzeit, in Jahrbuch der Preuss. Kunstsammlungen, XXXIV(1913), Beiheft, pp. 10-14; H. Posse, Das Deckenfresko des Pietro da Cortona im Palazzo Barberini und die Deckenmalerei in Rom, ibid., XL(1919), pp. 93-118, 126-173; J. A. Orbaan, Docc. sul Barocco in Roma, Roma 1920, passim; A. Muñoz, Pietro da Cortona, Roma 1921; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, pp. 533-547; O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, I, Wien-Augsburg-Köln 1928, passim; II, Wien 1931, passim; O.Montenovesi, Pietro da Cortona e S. Martina, in Roma, X(1932), pp. 171-180; S. von Below, Beiträge zur Kenntnis Pietro da Cortonas, Murnau 1932; E. Waterhouse, Baroque Painting in Rome, London 1937, pp. 56-60; D. Mahon, Nicolas Poussin and Venetian painting, in The Burlington Magazine, LXXXVIII(1946), pp. 16-20; U. Barberini, Pietro da Cortona e l'arazzeria Barberini, in Boll. d'arte, XXXV (1950), pp. 43-51, 145-152; J. Hess, Tassi, Bonzi e Cortona a Palazzo Mattei, in Commentari, V(1954), pp. 303-315; A. Marabottini, in Mostra di Pietro da Cortona (catal.), Roma 1956 (recens. alla mostra di A. Blunt, in The Burlington Magazine, XCVIII[1956], pp. 415-17, e di K. Noehles, in Kunstchronik, X[1957], pp. 94-97); G. Briganti, Opere ined. e poco note di Pietro da Cortona nella Pinac. Capitolina, in Boll. dei Musei Comunali di Roma, IV(1957), pp. 5-14; R. Wittkower, Art and Architecture in Italy 1600-1750, Harmondsworth 1958, pp. 162-168; J. Bean, Dessins romains du XVII siècle… (catal.), Paris 1959, pp. 23-26 (recens. alla mostra di W. Vitzthum, in The Burlington Magazine, CII[1960], pp. 75 s.); A. Blunt-H. L. Cooke, The Roman Drawings… at Windsor Castle, London 1960, pp. 7, 10, 75-89 (recens. di W. Vitzthum, in The Burlington Magazine, CIII[1961], pp. 517 s.); G. Briganti, L'altare di S. Erasmo, Poussin e il Cortona, in Paragone, XI(1960), n. 123, pp. 16-20; Id., L'occasione mancata di Andrea Commodi, ibid. pp. 33-37; N. Wibiral, Contributi alle ricerche sul cortonismo in Roma…, in Boll. d'arte, XL (1960), pp. 123-165; G. Briganti, Pietro da Cortona o della pittura barocca, Firenze 1962 (con ulter. bibl.; recens.: K. Noehles, in Kunstchronik, XVI[1963], pp. 95-106; G. Bazin, in Gazette des Beaux-Arts, LXI [1963], pp. 378 s.; W. Vitzthum, in The Burlington Magazine, CV[1963], pp. 213-217; Id., in Master Drawings, I[1963], n. 2, pp. 49-51; R. Enggass, in The Art Quarterly, XXVI[1963], pp. 123-125; D. Posner, in The Art Bulletin, XLVI[1964], pp. 411-416; W. Friedlaender, in The Art Journal, XXIV[1965], pp. 94-96). Inoltre si veda: A. M. Crinò, Doc. relativi a Pietro da Cortona, Ciro Ferri, Pietro Tacca…, in Riv. d'arte, XXXIV(1959), pp. 151-157; M. Campbell-M. Laskin jr., A new drawing for Pietro da Cortona's "Age of Bronze", in The Burlington Magazine, CIII(1961), pp. 423-427 (lettere di W. Vitzthum e risposte, ibid., CIV[1962], pp. 120 s., 121-125, 266 s.); W. Vitzthum, A comment on the iconography of Pietro da Cortona's Barberini ceiling, ibid., CIII(1961), pp. 427-433; G. Briganti, Pietro da Cortona dalla volta Barberini alla Sala della Stufa, in Paragone,XII(1961), n. 143, pp. 3-24; W. Schöne, Zur Bedeutung der Schrägansicht für die Deckenmalerei des Barock, in Festschrift Kurt Badt, Berlin 1961, pp. 144-172; W. Vitzthum, Dessins de Pietro da Cortona pour la Chiesa Nuova à Rome, in L'Oeil, 1961, n. 83, pp. 63-67; M. Campbell, Contributo alla cronologia di Pietro da Cortona a Palazzo Pitti, in Riv. d'arte, XXXVI(1961-62), pp. 109 s.; G. Wildenstein, Note sur l'Abbé Nicaise et quelques-uns de ses amis romains, in Gazette des Beaux-Arts, LX (1962), p. 567; A. Emiliani, in L'ideale classico del Seicento in Italia… (catal.), Bologna 1962, pp. 328-330, nn. 131-134; D. Lotti, Ritorno del "Cortonese", in Boll. della Acc. degli Euteleti, XXVI(1962-63), pp. 41-60; G. Briganti, Pietro da Cortona, in Enc. univ. dell'arte, X, Venezia-Roma 1963, pp. 602-606, tavv. 321-325; D. Dubon, Tapestries from the S. H. Kress collect. at the PhiladeIphia Mus. of Art. The history of Costantine… disigned by P. P. Rubens and Pietro da Cortona, London 1964, v. Indice; E. Schaar, Italienische Handzeichnungen des Barock (catal.), Düsseldorf 1964, p. 26, nn. 33 s.; A. Corbara, Pietro da Cortona: una pala per i Fregoso, in Paragone, XVI(1965), n. 181, pp. 33-38; M. Campbell, Mostra di disegni di P. B…, per gli affreschi di palazzo Pitti (catal.), Firenze 1965; F. Haskell, Mecenati e pittori…, Firenze 1966, v. Indice.
Per il B. architetto si veda: G. Giovannoni, Il restauro architettonico di palazzo Pitti nei disegni di Pietro da Cortona, in Rass. d'arte, VII(1920), pp. 290-295; A. Muñoz, Sei e Settecento ital. Pietro da Cortona, Roma 1921; V. Moschini, Le architetture di Pietro da Cortona, in L'Arte,XIV (1921), pp. 189-197; R. Wittkower, Pietro da Cortona's Ergänzungsprojek des Tempels in Palestrina, in Festschrift Goldschmidt, Berlin 1935, pp. 137-143; G. Incisa della Rocchetta, Il Pigneto Sacchetti e il Mausoleo dell'asino Grillo, in L'Urbe,XII(1949), pp. 9-16; R. Wittkower, Art and Architecture in Italy 1600-1750, Harmondsworth 1958, pp. 153-162; A. Blunt, The palazzo Barberini: the contributions of Maderno, Bernini and Pietro da Cortona, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXI(1958), pp. 256-287; A. Schiavo, Caratteristiche grafiche nei disegni architettonici del B., in Palatino,IV(1960), pp. 170-174; H. Keller, Ein früher Entwurf des Pietro da Cortona für SS. Martina e Luca in Roma, in Misc. Bibl. Hertzianae, München-Wien 1961, pp. 375-384; A. Schiavo, il Pigneto dei Sacchetti, in Studi Romani, IX(1961), pp. 284-87; K. Noehles, Die Louvre-Projekte von Pietro da Cortona und Carlo Rainaldi, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXIV(1961), pp. 40-74; P. Portoghesi, Gli architetti ital. per il Louvre. Candiani, Rainaldi, Pietro da Cortona, in Quaderni dell'Istituto di architettura, fasc. 41-48, Saggi… in onore del prof. V. Fasolo, Roma 1961, pp. 243-268; E. Hubala, Entwürfe Pietro da Cortonas für SS. Martina e Luca in Rom, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXV(1962), pp. 125-152; P. Portoghesi, S. Maria della Pace di Pietro da Cortona, in L'Architettura,VII(1962), pp. 841-51; K. Noehles, Pietro da Cortona, in Encicl. univ. dell'arte, Venezia-Roma 1963, pp. 602-606, tavv. 321-325; P. Portoghesi, SS. Luca e Martina di Pietro da Cortona, in L'Architettura, IX(1963-64), pp. 114-127; A. Schiavo, Il Palazzo della Cancelleria, Roma 1964, pp. 96 s., figg. 31 s.; P. Portoghesi, Pietro da Cortona, Città di Castello 1965.
Per gli altri membri della famiglia Berrettini: R. Boarini, Descriz. storica della Chiesa di S. Domenico di Perugia, Perugia 1778, p. 32 (per Giuseppe); B. Orsini, Guida al forestiere Per l'augusta città di Perugia, Perugia 1818, p. 63 (per Giuseppe); S. Siepi, Descr. topologico-istorica della città di Perugia, Perugia 1822, p. 514 (per Giuseppe); M. Missirini, Mem. per servire alla storia della Romana Accad. di S. Luca, Roma 1823, p. 462 (per Lorenzo); A. Leosini, Mon. stor. artistici della città di Aquila, Aquila 1848, pp. 90, 112, 117, 165, 225, 229 (per Lorenzo); J. Meyer, Allgemeines Künstler-Lexikon, III, Leipzig 1885, p. 680 (per Filippo), 691 (per Lorenzo); G. Mancini, Il contributo dei Cortonesi alla coltura italiana, Firenze 1898, pp. 66, 123 (per Filippo, Lorenzo e Luca); Id., Cortona, Montecchio Vesponi e Castiglion Fiorentino, Bergamo 1909, pp. 113 (per Lorenzo), 139 s. (per Filippo); L. Serra, Aquila monumentale, L'Aquila 1912, p. 90 (per Lorenzo); P. Piccirilli, L'Aquila monumentale, Sulmona 1913, p. 14 (per Lorenzo); D. Mirri, I procedimenti costruttivi dell'architettura in Cortona…, Cortona 1923, p. 48 (per Filippo); L. Serra, Aquila, Bergamo 1929, p. 128 (per Lorenzo); p. Gennaro Gamboni S. I., I gesuiti all'Aquila, L'Aquila 1941, pp. 65-70 (per Lorenzo); L. Berti, in Mostra di Pietro da Cortona (catal.), Roma 1956, p. 81 (per Lorenzo); A. Bernardini-A. Castri, Cortona, Arezzo 1960, pp. 28 (per Lorenzo), 45 (per Filippo); O. Guerrieri, La chiesa di S. Domenico in Perugia, Perugia 1960, p. 28 (per Giuseppe); N. Wibiral, Die Agnesreliefs für S. Agnese in Piazza Navona, in Römische Historische Mitteilungen, III(1958-59, 1959-60), Graz-Köln 1960, pp. 258, 275, 276 (per Luca); U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, pp. 477(per Filippo), 479 (per Giuseppe); Enciclopedia univ. dell'arte, X, p.603 (per Luca).