BENVENUTI, Pietro
Nacque ad Arezzo l'8 genn. 1769. Come egli stesso dichiara nell'elencare le sue opere (Viviaai, 1921) studiò pittura presso il prof. G. Cimica. Nel 1781, essendosi creata la fama di enfant prodige, fuinviato all'Accademia delle Belle Arti di Firenze, istituita proprio quell'anno, e sotto la protezione del direttore, P. Pedroni, vi seguì i corsi di G. Piattoli e S. Pacini, classicisti. Il B. ottenne tutti i premi istituiti dalla scuola, riuscendo primo anche nel soggetto d'invenzione, con l'Enea che fugge da Troia (che fu poi donato al gen. Du Pont durante l'occupazione francese). Con l'aiuto dell'aretino G. Bonfiglioli, poté mantenersi agli studi a Roma: vi si recò nel 1792, e nel 1794 compose, per incarico del vescovo di Arezzo, N. Marcacci, il Martirio di s. Donato, con drammatici scorci luministici, secondo la tecnica barocca. Ma ben presto assorbì le idee neoclassiche che già si andavano affermando e anzi divenne uno dei pittori italiani più ossequienti a quei concetti: vi si era assuefatto con facilità, egli che aveva cominciato come attento artigiano a riprodurre le "belle e perfette" opere antiche. Della fama del B., sempre crescente, è testimonianza l'episodio del Canova che si fermò appositamente ad Arezzo per salire al duomo ad ammirare la tela immensa della Giuditta (1803) commissionata anch'essa da mons. Marcacci. Mentre era a Roma, il B. strinse amicizia con V. Camuccini e col pittore danese J. A. Carstens. Da Roma si allontanò solo per qualche viaggio a Napoli e ad Arezzo; venne eletto accademico di S. Luca e nel 1803 fu nominato direttore dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze. Vi giunse il 1° giugno 1804, dopo aver esposto nel Pantheon a Roma gli ultimi due quadri eseguiti: una copia della Giuditta, ora a Capodimonte, e il Martirio del b. Signoretto Aghata (1802, Pisa, duomo), e dopo aver contratto matrimonio con Vittoria Monti, figlia dell'avvocato fiscale del Campidoglio. A Firenze il B. fu il sostenitore dei neoclassicismo. Ricevette numerose commissioni di ritratti di personaggi nobili e borghesi, e di grandi tele a soggetto sacro e storico (vedi il suo lungo elenco in Viviani, 1921).
Il B., convinto che l'artista dovesse basarsi nel suo lavoro sulle sicure regole tramandate dagli antichi, era molto minuzioso e preciso nella preparazione dei suoi dipinti: per mezzo del disegno e del chiaroscuro rendeva ogni dettaglio delle figure, trascurando invece l'ambiente. Applicava il colore solo in seguito. Questo procedimento è di tradizione toscana, ma nelle opere del B. è indice di una certa freddezza di ispirazione, quella stessa che provocò un'impressione negativa nel giovane F. Hayez quando visitò il suo studio.
Tuttavia, anche nelle sue composizioni più scenografiche e "ufficiali", è dato di tanto in tanto riconoscere brani di libera invenzione.
Quando a Maria Luisa di Borbone successe nel governo della Toscana Elisa Baciocchi, il B. era ancora tra i consiglieri municipali, insieme a R. Morghen (del quale fece almeno due ritratti). Con la concessione ad Elisa del titolo di granduchessa, di nuovo si tenne corte in Firenze e il B. venne incaricato di ritrarne i personaggi. Fu a Parigi nel 1809 per qualche mese e vi conobbe il David. Rientrando a Firenze, si accinse al famoso quadro de Il giuramento dei Sassoni a Napoleone (compiuto nel 1812, Firenze, Gall. d'arte mod.), di cui aveva avuto la commissione dall'imperatore stesso: il quadro è compassatamente neoclassico, nonostante i guizzi di luce che agitano la scena. Più interessante, per i ritratti che vi compaiono e per la finezza della composizione, è il quadro della corte in parata, Elisa Baciocchi e la sua corte (1812-1813, Versailles, Museo), in cui ben ventiquattro personaggi stanno intorno al trono della granduchessa e del consorte, in una scena che occupa sedici metri quadrati di tela.
Sotto la statua di Napoleone in costume romano sono dignitari e artisti: lo scultore G. A. Santarelli, il Morghen, C. Lasinio, F.X.-P. Fabre, lo stesso B., che sulla pedana del trono disegna la granduchessa, e il Canova, che mostra al principe Baciocchi il ritratto di Elisa da lui scolpito.
L'autoritratto del B., che si trova agli Uffizi, conferma l'immagine di uomo tranquillo e dignitoso data dai biografi. Nel 1815 ritornò a Parigi per perorare la restituzione delle opere d'arte italiane asportate dai Francesi.
Fra le sue numerose opere citiamo Cristo tra i fanciulli (Gall. d'arte mod. di Firenze), La morte di Priamo (pal. Corsini, Firenze), Ettore che rimprovera Paride (Gall. d'arte mod. di Firenze), La morte del conte Ugolino (1813, pal. della Gherardesca, Firenze). Nel 1829 affrescò con quindici storie di Ercole, tra le quali dominano Le nozze di Ercole ed Ebe, il salone di Ercole a palazzo Pitti. Tra il 1827 e il 1836 decorò a fresco la cupola della cappella Medici in S. Lorenzo, con storie dell'Antico e Nuovo Testamento. Una certa maggior naturalezza si rivela nei ritratti eseguiti negli ultimi anni. Nel 1818 N. Palmerini si fece iniziatore di una associazione per la riproduzione delle sue opere principali; ne furono pubblicate solo dodici ad opera di noti incisori, essendo state tutte riviste dal Benvenuti. Morì a Firenze il 3 febbr. 1844.
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