BECCANUGI, Pietro
Figlio di quel Leonardo cui il Petrarca indirizzò una letterina in volgare (e perciò da non confondere con il suo antenato Pietro di Ceffo, cospicuo cittadino nella Firenze del primo Trecento, né con suo nipote, Pietro di Simone, segretario della Repubblica fiorentina al cadere del Quattrocento), nacque nel 1382 e continuò la tradizione familiare di intensa partecipazione alle cose della politica, trovandosi a coprire uffici di molta responsabilità in momenti importanti per la vita dello Stato.
I beni patrimoniali del B. non crebbero d'altronde in misura proporzionale alla rapida ascesa politica: nel 1427 essi ammontavano a 530 fiorini, comprensivi del valore dei suoi libri giuridici, di un credito verso il cugino Iacopo Covoni e di tre piccole case di proprietà. Avuto riguardo al censo, il B., nel giudizio del Martines (p. 82), appartiene alla classe dei medi commercianti. L'avvio alla sua fortuna politica è, quindi, da ricercarsi non in fattori economici, ma nell'ambiente sociale cui apparteneva, discendendo egli da un'antica famiglia fiorentina, che già aveva fatto parte della Signoria nel 1284, ai primordi del reggimento dei priori, e che continuò ad occupare cariche politiche nel corso del sec. XIV. Il rilievo sociale della famiglia si spiegava, pertanto, anche per essere i Beccanugi tra i pochi rappresentanti, nel '400, di una lontana, ininterrotta tradizione politica guelfa.
Il B. cominciò la sua carriera politica nel novembre del 1409 con una missione al pontefice Alessandro V; fu poi capitano di Cortona, governatore di Pistoia; capitano e governatore ad Arezzo e Pisa; più volte dei Dodici Buonomini e degli Otto di Custodia; già de' Signori nel 1417, e nel 1418 utilizzato in una delicatissima trattativa (con il condottiero Braccio da Montone, passato "a danno" sul territorio di Lucca). Nel 1421 ebbe l'onore di prender possesso, insieme con Bartolomeo Peruzzi, del porto di Livorno, che Firenze aveva acquistato dai Genovesi con l'intento di farsi potenza marittima; nel 1424 giunse a essere gonfaloniere, la suprema delle magistrature fiorentine. Ma i fatti più notevoli della sua partecipazione al potere riguardano i decenni successivi: nel 1431, quando la Repubblica era duramente impegnata nella guerra di Lucca, fu dei Dieci di Balìa, ai quali spettavano le più gravi decisioni e la effettiva direzione delle cose militari; nel 1433 poté concludere a Ferrara, insieme con Palla Strozzi e Nerone Neroni, la pace tra il duca di Milano e le Repubbliche di Venezia e di Firenze; nel 1437 di nuovo salì alla suprema magistratura; nel 1439, sedendo in una Balìa che comprendeva i più grandi nomi della Firenze d'allora (da Leonardo Bruni a Cosimo de' Medici, da Neri Capponi a Lorenzo Ridolfi), contribuì a far superare i risentimenti che Firenze aveva contro Venezia e a rinnovare la lega delle due Repubbliche, menando a comune difesa contro Filippo Maria Visconti le armi del conte Francesco Sforza e aprendo la strada ai successi onde prese forma la pace conclusa nel 1441; nel 1447, infine, avendogli i lunghi e grandi servigi resi alla Repubblica conferito autorità grandissima, fu scelto da Firenze, assalita d'improvviso dal re Alfonso d'Aragona, tra "gli uomini valenti e scelti e pratichi" di quella Balìa, che, subitamente eletta, seppe fronteggiare il nuovissimo pericolo. Morì nel gennaio del 1459 e fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Maria Novella.
Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale, ms., Poligrafo Gargani, ad vocem; Delizie degli eruditi toscani, Firenze 1770-89, IX, pp. 132, 210; XII, pp. 102, 124 138, 166, 206, 233, 240; XIV, pp. 300 ss.; XIX, pp. 40, 67; XX, pp. 163, 212; XXI, p. 89; S. Ammirato, Istorie Fiorentine, Firenze 1641, I, pp. 976, 991, 1017, 1074, 1080; II, pp. 10, 18; L. Martines, The social world of the Florentine Humanists, Princeton, N. J., 1963, pp. 81-84.