CITTADELLA, Pietro Bartolomeo
Nato a Vicenza il 23 luglio del 1636 da Francesco e da una non meglio identificabile "Anseletta" (Vicenza, Archivio della Curia vescovile, Registri parrocchiali. Cattedrale. Nati-Matrimoni, anno 1636, II-1177c.: l'atto di battesimo è registrato il 2 ag. 1636), il C. abbandonò, si presume verso i trent'anni, la città natale per stabilirsi a Verona, in contrada S. Silvestro, dove risiedette stabilmente fra il 1669 e il 1672 (la documentazione archivistica relativa al periodo veronese, in Rognini, 1978, p. 282). Non è da escludersi, comunque, la possibilità che egli si sia trattenuto fin verso la fine dell'ottavo decennio in questa città. Prove indirette ne sono tanto il Dal Pozzo (1718, p. 192), che, delineando la biografia di Martino Cignaroli, afferma che cominciò a dipingere "con la direttione del Carpioni, e del Cittadella Pittori Vicentini habitanti in Verona", quanto il documento, databile fra il 1671 e il 1675 (Marchini, 1975-76, p. 252, e Rognini, 1978, p. 294), nel quale, fra gli artisti elencati da Carlo Sferini come "Signori Academici Pitori Veronesi", compare il "Sig. Bartolomio Citadela". Durante il soggiorno veronese il C. si guadagnò, ad evidenza, una rinomanza tale da consentirgli l'accesso a una accolita artistico-culturale piuttosto autorevole quale fu l'"accademia", in quegli anni ancora alle sue prime battute, ma destinata ad assumere, soprattutto nel Settecento, un ruolo di rilevante importanza nello sviluppo della locale pittura.
La morte di ben quattro figli fu, presumibilmente, la causa del suo ritorno a Vicenza. Quantunque nessuna testimonianza archivistica deponga a favore di tale partenza, la quantità delle commissioni, tanto in città, a cominciare dalle tele del paramento Civran in duomo (1679-1682), quanto nei paesi vicini, è dimostrazione sufficiente della mutata residenza del Cittadella.
Non è possibile valutare concretamente gli effetti di una adesione, peraltro storicamente probabile, del C. alla bottega carpionesca, come sostiene la storiografia artistica, perché nulla si conosce della sua attività precedente il trasferimento a Verona. Inoltre, gli esiti di un alunnato presso Giulio Carpioni a malapena si scorgono - diluiti come sono nella ben più pregnante e incisiva assunzione dei modi della corrente "naturalistica" - nell'uso dei colori acidi e freddi e nel ricercato anche accostamento delle tinte complementari.
La costituzione e lo sviluppo della personalità del C., infatti, rispecchiano esemplarmente il corso delle vicende artistiche della Vicenza tardoscicentesca. Nel 1675 l'arrivo di alcuni degli artisti più rappresentativi del Seicento veneto, quali A. Zanchi, G. A. Fumiani, A. Celesti e P. Vecchia, chiamati a decorare il fregio della chiesa di S. Caterina, contribuisce a svecchiare l'ambiente vicentino, cristallizzato nelle formule di un carpionismo, incapace tanto di progredire sulla scia degli originali apporti del maestro, quanto di rinnovarsi, creandosi un'autonoma fisionomia.
Il C. reagì con immediatezza alle sollecitazioni dello Zanchi, provandosi a inscenare composizioni di una enfatica e grandiosa drammaticità, ottenuta attraverso la tecnica degli sbattimenti chiaroscurali, intesi a evidenziare, con crudo realismo, i dettagli anatomici e le espressioni esagitate dei volti. Se l'artista mostrò di aderire alle novità importate dai "tenebrosi", in occasione della realizzazione delle tele per la tribuna del duomo, aventi come soggetto la Leggenda della S. Croce e condotte a compimento fra il 1679 e il 1682, per esaudire le volontà testamentarie del defunto vescovo Giuseppe Civran (Magrini, 1848, pp. 90 s.) i suoi dipinti danno, nel contempo, l'esatta misura della distanza culturale chelosepara dai secentisti sopracitati.
Il tentativo di conferire alla narrazione una articolazione dinamica e complessa riesce nel Serpente di bronzo, attribuito da C. N. Cochin (Voyoge d'Italie [1758], Paris 1779, III, p. 172) al Liberi, ma fallisce nella Disfatta di Massenzio, in cui uomini e cavalli, che, secondo le intenzioni del pittore, avrebbero dovuto distribuirsi in un moto spiraliforme, si comprimono a vicenda, sospinti in avanti da uno spazio incapace di raccogliere in profondità l'enfasi drammatica della scena. Neppure le letterali riprese dallo Zanchi - i cavalli; i nudi muscolosi, colpiti dalla luce radente; la tipologia dei volti, contrassegnati da bocche carnose, occhi leggermente sporgenti, nasi allungati -, che ottengono, talora, efficaci risultati, come ne L'apparizione della Croce a Costantino ("dessiné d'assez large manière, et bien peint": Cochin, cit.), riescono ad eliminare il senso di oppressione e di totale scoordinazione.
Nel 1681 il pittore firmava e datava la pala con il Martirio di S. Agata (Sandrigo, parrocchiale); ad essa si collegano, per l'intenso e morbido sfumato e per la ricercata negligenza nella delineazione dei contorni delle figure, appena abbozzate da una pennellata sommaria, il Martirio di S. Lorenzo, firmato (Marano Vicentino, parrocchiale: T. Sartore, in Vita parrocchiale di Marano..., Vicenza 1959, p. 13) e una Deposizione (Schio, duomo).
Sono da rilevare nelle tele cittadelliane frequenti sbalzi di qualità, imputabili alla carenza di una sicura e controllata tecnica disegnativa, atta a contenere l'empito e la concitazione della narrazione entro una impaginazione coerente ed omogenea. Nella Resurrezione di Francesco di Treia (Vicenza, oratorio di S. Nicola), eseguito come gli altri scomparti dell'attico dopo la morte del Carpioni (1679: F. Barbieri, L'oratorio..., Vicenza 1973, pp. 27 s.), la vecchia che assiste al miracolo è una citazione testuale della Parca, ritratta nel S. Nicola libera un ossesso (1656) del Carpioni, sempre nella stessa chiesa.
La misura del prestigio raggiunto dal C. a Verona si trae dalla valutazione dell'importanza, qualitativamente ragguardevole, della commissione di ben quattro tele, da parte dei teatini per il fregio della chiesa di S. Nicolò, ad una data - 1691 - relativamente lontana dal periodo della giovanile permanenza nella città. Il vicentino veniva significativamente allineato al Brentana, allo Zangara (1692), al Dorigny, al Marchesini e al Prunati. Delle molte opere - circa una ventina - distribuite in varie chiese veronesi, restano ora a dimostrazione della consolidata celebrità dell'artista: il ritratto del Vescovo Marco Giustiniani (1692: Rognini, 1978, p. 282) e il ProfetaEliseo, rispettivamentenella sacrestia e nel presbiterio della chiesa di S. Luca. Tanto nel ciclo teatino, quanto nell'Eliseo ritorna uno degli elementi della cultura "naturalistica": il medesimo vecchio barbuto, di ascendenza vagamente langettiana, si ritrova di volta in volta nel Ritorno degli esploratori dalla Terra Promessa (come Mosè), nel Giacobbe addolorato, nel cieco Tobia guarito dal figlio Tobiolo.
Databili all'ultimo decennio del secolo sono pure la Coronazione di spine nel soffitto del duomo di Thiene (N. Ivanoff, in Questa è Vicenza, catal. dell'Ente Fiera di Vicenza, Vicenza 1955, p. 140; A. Benetti, Guida diThiene, Verona 1977, p. 159) e una Storia cavalleresca, forsetratta dal Ricciardetto di Niccolò Forteguerri (A. Magrini, Il Museo civico di Vicenza solennemente inaugurato il 18 ag. 1855, Vicenza 1855, p. 54) del Museo civico di Vicenza. In quest'ultima c'è un richiamo del Bellucci, nella tornita ed aggraziata figura femminile di Despina, segno, forse, di quel trapasso verso un gusto arcadico e rococò, compiutamente esprimentesi nel genere della favola mitologica o cavalleresca, richiesta dalla nobile committenza con sempre maggiore frequenza. Di pari passo, dunque, alla progressiva decantazione degli elementi di matrice più rudemente "tenebrosa", il C. si andava orientando, seguendo gli insegnamenti del Liberi, e, soprattutto, del Celesti, suoi colleghi nel ciclo del duomo vicentino, verso un "chiarismo" di timbro profondo e pittorico.
Nel Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia (chiesa dei SS. Filippo e Giacomo di Vicenza) del 1692, pur nella sconnessa e confusa disposizione dei personaggi, immediato si stabilisce il rapporto con le tele bibliche della sala della Quarantia vecchia civile (Venezia, palazzo ducale) di Andrea Celesti. Nel S. Gerolamo della stessa chiesa (1692 circa) vi è una puntuale somiglianza con analoghe figure di anziani barbuti del Langetti: Giobbe paziente diPommersfelden, e il S. Gerolamo che ascolta l'angelo, giànella collezione Brass (vedi, anche per i documenti, M. Binotto, I dipinti... dei SS. Filippo e Giacomo ..., in Saggi di st. dell'arte, XII [1980], pp. 96 s., 107).
Firmata e datata al 1692 è la pala, pesantemente ritoccata, con S. Antonio e la Vergine nella chiesa di S. Antonio di Cà Turra di Mason Vicentino. Sempre di questi anni sono i cinque riquadri del soffitto di una sala di palazzo Chiericati (sede del Museo civico di Vicenza) con Apollo e le nove Muse (F. Barbieri, Il Museo..., Vicenza 1962, 1, pp. 53 s.). Sono opere piuttosto scadenti; nei nudi delle immagini muliebri non è che un pallido ricordo della soffice consistenza delle carni di Despina nella citata Storia cavalleresca (Vicenza, Museo civico); si accentua negli sguardi l'espressione stolida ed imbambolata; il colore, che indulge ad ambrate tonalità, si sposa ad un disegno che risulta persino sciatto se confrontato con i dipinti veronesi. Mediocre è pure la tela, in pessimo stato di conservazione, con la Vergine,s. Francesco di Sales e s. Michele, della chiesa di S. Giuliano di Vicenza. Appesa alla parete sinistra del presbiterio, era, invece, originariamente situata sull'altare dedicato nel 1694 da Livio di Sales a s. Francesco di Sales. L'esecuzione dovrebbe potersi collocare in questo stesso anno o nel successivo (R. Cevese, Chiesa di S. Giuliano..., Vicenza 1957, p. 6).
Nel 1695 i provveditori alla Fabbrica del duomo di Montagnana commissionarono al C. un dipinto con funzione di ex-voto per commemorare il Miracolo della pioggia, avvenuto nel 1624, ad opera della beata Vergine del Rosario (Montagnana, Arch. comunale, Libro Registro n. 27, c. 194). Nella lunga e pittoresca processione, che si dirige verso la città di Montagnana, dalla cui cinta muraria emerge la rocca degli Alberi, accanto al carro della Vergine, sfilano, in primo piano, i rappresentanti del Comune, il corteo dei religiosi secolari e dei monaci (G. Foratti, Cenni storici e descrittivi di Montagnana, Venezia 1862, II, pp. 126 s.).
A Vicenza le opere perdute del C. si trovavano nelle chiese di S. Bartolomeo (quasi totalmente demolita nel 1838), dei SS. Faustino e Giovita (chiusa nel 1808 e ridotta a fondaco), di S. Maria degli Angeli (rasa al suolo nel 1808), di S. Maria delle Grazie, di S. Maria Maddalena, di S. Michele, e di Ognissanti (le ultime due distrutte nel 1812), nel duomo (cappella Loschi), nell'oratorio del Gonfalone (la decorazione pittorica andò perduta nel corso di un bombardamento nel 1945) e nell'oratorio della Beata Vergine del Rosario (chiuso nel 1808 e distrutto nel 1812).
A Verona c'erano suoi dipinti in cattedrale, nelle chiese di S. Anastasia, di S. Carlo Borromeo, di S. Daniele (distrutta), di S. Maria degli Angeli, di S. Maria della Ghiara, di S. Maria della Misericordia (atterrata nel 1819), di S. Maria Nuova della Vittoria, di S. Salvatore di Corte Regia (trasformata dopo il 1813 in abitazione privata), di S. Luca. e di S. Tommaso.
Il C. morì a Vicenza il 28 dic. 1704.
P. Guarienti, nelle aggiunte all'Abecedario pittorico di P. A. Orlandi (Venezia 1751, p. 90), ricorda un figlio del C., Gaspare, pittore, che è indicato (p. 49) come "disegnatore ritrattista" e vivo nel 1749 nel ms. L 273 dell'Archivio della Curia vescovile di Padova (P. Brandolese-G. De Lazara, Descrizione delle cose più notabili ... di Padova).
Fonti e Bibl.: Per le vicende biogr., tanto in relazione ai dati anagr., quanto al catal. delle opere vicentine, i riferimenti principali sono costituiti dalle cronache, dalle guide, dai repertori artistici, ancora manoscritti, degli storici locali dell'Ottocento, tra cui Vicenza, Bibl. Bertoliana, ms. Gonz. 20.10.1 (2958): G. Dian, Notizie delli due secc. XVIII e XIX spettanti alla città di Vicenza, p. 13; Ibid., ms. Gonz. 22.9.42 (3224): G. Favetta, Fatti successi in Vicenza dall'anno 1704 sino al 1814; Ibid., ms. Gonz. 26.5.4 (1949): L. Trissino, Artisti vicentini, c. 208r; Ibid., ms. Gonz. 27.4.1 (1451): A. Alverà, Indice ragionato dei pittori,scultori,architetti..., c. 60; Ibid., ms. Gonz. 27.4.3 (2107-2108): G. Macca, Abbecedario pittorico,s. v. Il soggiorno veronese (1669-1672 c.) è docum. dalle carte d'arch. reperite da L. Rognini, in La pittura a Veronafra Sei e Settecento (catal.), Verona 1978, pp. 282, 294; e da G. P. Marchini, Le origini dell'Accad. dipittura di Verona, in Atti e mem. dell'Accad. di sc., lett. e arti di Verona, CLII (1975-76), p. 252. Il rilevante numero delle opere perdute preclude la possibilità di esaminare la produzione giovanile, anteriore alla partenza per Verona (l'unica tela precedente il 1676 era un S. Antonio con Gesù Bambino, situato nella distrutta chiesa vicentina d'Ognissanti, ricordato da M. Boschini, I gioieli pittoreschi virtuoso ornamentodella città di Vicenza, Venezia 1677, p. 58), e di verificare l'esattezza del giudizio espresso da L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1789] Milano 1853, III, p. 254; da S. Ticozzi, Diz. degli architetti,pittori,scultori, Milano 1830, I, p. 333; da F. De Boni, Biografia degli artisti [1832], Venezia 1852, p. 226; e da F. Zanotto, Storia della pittura venez., Venezia 1837, p. 356 in merito ad un alunnato carpionesco del Cittadella, del resto, prima dell'arrivo (1675 c.) dello Zanchi, del Loth, del Fumiani, del Celesti e del Liberi, che provocarono un sostanziale mutamento d'indirizzo nella cultura artistica della città, l'unica bottega cui ci si potesse riferire, dopo la metà del secolo in Vicenza, era quella del Carpioni. La critica contemporanea, rilevando la scarsa perizia disegnativa del C., si uniforma al parere della storiografia artistica: E. Tea, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, Leipzig 1912, p. 15; G. M. Pilo (C. Donzelli), I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, p. 135; Diz. encicl. Bolaffi, III, Torino 1972, p. 386. P. Rossi, Il pittore vicentino B. C., in Odeo Olimpico, VII (1968-69), pp. 87-89, amplia, giustamente, l'orizzonte dei riferimenti culturali ai "tenebrosi", al Bellucci e a Pietro Vecchia. Segnalazioni relative alle opere della provincia di Vicenza, passate inosservate alla critica, ma rivelatesi esatte, sono in G. Pozzolo, Notizie della terra di Schio [1712], Padova 1876, p. 7; G. Maccà, Storia del territ. vicentino, Caldogno 1812-15, II, 2, pp. 204, 329; V, p. 227; XI, I, p. 186; XII, 2, p. 135 Per i dipinti distribuiti nelle chiese di Vicenza vedi: E. Arnaldi-P. Baldarini-L. Buffetti-O. Vecchia, Descriz. delle architetture,pitture e scolture in Vicenza, Vicenza 1779, I, pp. 6, 33, 39, 43, 48, 60, 62, 64, 81, 85, 86, 87, 96, 99, 101; A. Magrini, Notizie storico-descrittive della chiesacattedrale di Vicenza, Vicenza 1848, pp. 100 s., 145; D. Bortolan-S. Rumor, Guida di Vicenza, Vicenza 1919, pp. 29 s., 45, 177; A. Goli, Lacattedrale di Vicenza, Vicenza 1943, pp. 21, 34; W. Arsian, Vicenza. Le chiese, Roma 1956, pp. 42, 44, 101 s., 112, 117, 135, 139; F. Barbieri, Le opere d'arte, in Ilduomo di Vicenza, Vicenza 1956, pp. 144, 167; F. Barbieri-R. Cevese-L. Magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza 1956, pp. 41, 78, 79, 156, 167, 181, 204, 356; M. Binotto, Idip. della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo diVicenza, in Saggi e memorie di st. dell'arte, XII (1980), p. 96. Per il soffitto con Apollo e le noveMuse di pal. Chiericati (Vicenza) si v.: W. Arslan, La Pinac. civica di Vicenza, Roma 1934, p. 7, che lo attribuì a "pittore veneto, forse vicentino della seconda metà del '600"; G. Barioli, Il restauro a Vicenza negli anni Sessanta, Vicenza 1972, pp. 13, 74-76. Delle molte opere veronesi andate perdute resta ricordo in: B. Dal Pozzo, Le vite de' pitt., degli scult. et arch. veronesi, Verona 1718, pp. 219, 223, 266; G. B. Lanceni, Ricreazione pittorica, Verona 1720, I, pp. 87, 107, 130 s., 138, 205, 234, 265; G. B. Biancofini, Notizie stor. delle chiese di Verona, Verona 1749-52, I, p. 368; II, p. 605; III, pp. 45, 49, 126, 224; IV, pp. 144, 383; G. Marini, Not. delle cose più osservabili della città di Verona, Verona 1795, pp. 25, 48, 66, 110, 131, 133; P. Montanari, Compendio della Verona illustrata, Verona 1795, II, pp. 46, 50, 65, 70, 87; G. Marini, Indicaz,delle chiese,pitture e fabbriche della città di Verona, Verona 1797, pp. 5, 9, 19, 48, 49; S. Dalla Rosa, Catastico delle pitture e scolture ... in Verona, 1803-04, ms., in trascr. dattiloscritta (1958) nel Museo di Castelvecchio a Verona, pp. 19, 48, 65, 109, 135, 141, 146, 164, 200, 257, 294; G. B. Da Persico, Descriz. di Verona e della sua provincia, Verona 1820, I, pp. 4, 22, 144; II, p. 272; G. M. Rossi, Nuova guida di Verona e della sua provincia, Verona 1854, p. 106; L. Giro, Sunto di storia di Verona politica,letteraria ed artistica dalla sua origine all'anno 1866, Verona 1869, II, p. 27; G. Belviglieri, Guida alle chiese di Verona, Verona 1898, pp. 34, 130; L. Simeoni, Verona. Guida storico-artistica della città e provincia [1909], Verona 1970, p. 187; T. Lenotti, Chiese e conventi scomparsi, Verona 1955, ad Ind.