BARIGNANO, Pietro
Nacque a Pesaro (e non a Brescia, come credette il Ruscelli seguito da altri) negli ultimi decenni del Quattrocento e morì tra il 1540 e il 1550- Quest'ultima data si ricava da Leandro Alberti che nel 1550 scrisse di lui come di un "degnissimo Poeta, che passò a miglior diporto quest'anni passati* (Descrittione di tutta Italia, Venezia 1551, p. 240).
Tipica figura di poeta e cortigiano cinquecentesco, il B. fu in rapporto d'amicizia con molti scrittori dei tempo; s'interessò alle dispute sulla lingua; prese parte attiva alla vita letteraria delle corti di Pesaro e Urbino, e di quella papale, sempre pronto a magnificare con lodi spropositate i suoi protettori; si impegnò assiduamente, come tanti suoi colleghi, per dar sostanza alla sua carriera ecclesiastica, arricchendo le magre rendite con qualche beneficio (ma in questo egli forse non ebbe una particolare fortuna); non di rado fu incaricato di eseguire missioni e ambasciate per conto dei signori presso i quali prestava servizio.
Non riesce facile ricostruire, neppure a grandi linee, la biografia del B. che certamente risentì delle vicende spesso drammatiche in cui vennero a trovarsi Pesaro e Urbino nei decenni compresi tra la fine del sec. XV e gli inizi del XVI. Si può comunque affermare, con una certa sicurezza, che dovette essere in rapporto con Giovanni Sforza, signore di Pesaro, poi con il duca di Urbino Guidobaldo da Montefeltro, sposo di Elisabetta Gonzaga, e con il suo successore, Francesco Maria Della Rovere, marito di Leonora Gonzaga (che celebrò in un sonetto). A questo periodo risalgono alcune importanti conoscenze nel campo letterario. Pietro Bembo, scrivendo l'ii dic. 1507 da Urbino (dove era ospite del duca Guidobaldo da Montefeltro) a Trifon Gabriele, così si esprimeva: "Il nostro gentil Barignano, che viene con questa a voi, mi leva una lunga fatica dello scrivervi, che potrà di me molte cose ragionarvi" (P. Bembo, Opere in volgare, a cura di M. Marti, Firenze 1961, p. 712).
Quando poi, nel 1516, Leone X tolse al Della Rovere il ducato di Urbino, il B. cercò di procacciarsi la familiarità del papa; fece parte dell'Accademia romana, e fu uno dei tanti poeti che celebrarono le lodi del pontefice reclamando a gran voce aiuti e sussidi ("Spargete dunque sopra questa vite, / Onesta sete ardente, / Umor che in qualche parte almen l'estingua". "Dunque io sol partirò povro e digiuno / Da quella ricca mensa / ove sì larga man cibo dispensa"). In quel tempo, e precisamente il 4 giugno 15'7, il cardinale Bemardo Dovizi da Bibbiena, scrivendo a Giulio Sadoleto, gli comunicava che era lieto di aver potuto aiutare il B., "persona virtuosa e buona", procurandogli 150 ducati da benefici "nella sua patria" (De le lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini..., raccolte da Dionigi Atanagi, Venezia 1561, p. 236). E Francesco Berni, in una lettera del 23 luglio 1518 da Roma al Sadoleto, che era segretario del Bibbiena e si trovava con lui in Francia, scriveva: "Il nostro buon Barignano mi scrisse a questi giorni una lettera da Pesaro, qual lo mostrava non guarito, ma assai men male, Dio ringraziato. Mi maraviglio che e, non sia venuto, perché l'aspettiamo ogni dì. Imposemi che ve li raccomandassi, e così ho fatto, se ve ne sete avisto" (F. Berni, Poesie e prose,a cura di E. Chiòrboli, Genève-Firenze 1934, p. 294).
Con la morte di Leone X (1521) e il declino del predominio mediceo, Francesco Maria Della Rovere tornò a Urbino, ed è da presumere che il B. ricominciasse a sperare nel suo mecenatismo. Sicuramente ebbe rapporti abbastanza stretti con il figlio di lui, Guidobaldo II, anche se, dopo l'elezione del papa Clemente VII (1523), non trascurò di indirizzare anche al pontefice diverse poesie per sollecitarne la protezione e l'aiuto. A Clemente VII si rivolse fra l'altro per appoggiare la candidatura, sostenuta in ambiente gonzaghesco (e quindi anche da Elisabetta, che viveva ancora a Urbino), di Ercole Gonzaga a cardinale. Avvenuta l'elezione nel 1527, il B. non mancò di celebrare l'avvenimento con un sonetto encomiastico. A Guidobaldo, che teneva la sua corte in Pesaro, il B. rivolse sonetti e madrigali per invitarlo a emulare le nobili imprese del padre ("E voi cinger la spada e render chiara / La patema virtù, che v'accompagna / Per vero exempio al martial governo"). E madrigali non risparmiò per lodare le virtù della moglie di lui, Vittoria Famese "〈 Sì chiara voce suona, / Donna, del valor vostro, / Ch'a ben far desta tutto '1 secolo nostro").
In due componimenti pianse la morte del card. Federico Fregoso; un sonetto lo dedicò alla fama del Bembo ("Et veggio nel pensier dopo mill'anni / Tutt'altre etadi reverenti a questa: / Sol per haverla sì honorata il Bembo"). Rimane infine testimonianza di amichevoli relazioni con il poeta milanese Renato, Trivulzio, col ferrarese Ercole Bentivoglio, e soprattutto con Gian Francesco Valerio, al quale il B. indirizzò un manipolo di sonetti, databili al tempo del sacco di Roma ("Già Roma, or un deserto aspro e selvaggio, Ove solo il furor barbaro giostra").
I letterati del Cinquecento nutrirono un rispetto affettuoso per il B. e amarono scherzare sulla fama che si era fatto di cortigiano e corteggiatore instancabile e inquieto. L'Aretino faceva dire a uno degli interlocutori del dialogo Delle Corti (1538): "Fu forse ciancia il dare al Barignano, uomo onestissimo e di gran fama, dopo il rimanere stroppiato nel correre le poste per la Corte, dieci fiorini di pensione, non sapendo, né potendo vituperallo con altro?" (P. Aretino, Ragionamenti delle corti, a cura di G. Battelli, Lanciano 1914, p. 24). E l'Ariosto, al termine del poema, rappresentava l'uno accanto all'altro i due amici Gian Francesco Valerio e Pietro Barignano, l'uno ostinatamente nemico delle donne e l'altro, invece, ostinato corteggiatore (Furioso, XLVI, 16, 5-8).
E in effetti, fra le molte poesie, sonetti, canzoni, ballate, sestine, che di lui si leggono, sparse per le raccolte del tempo, non tutte di fattura ineccepibile, ma tali da sollecitare- il giudizio favorevole dell'Atanagi, del Muratori ("rara dilicatezza"), del Crescimbeni ("delicatezza e grazia", "stile piano e facile", "un ornato veramente singolare"), del Quadrio ("poeta delicatissimo e coltissimo"), il tema prevalente, salvo i componimenti encomiastici e un solo sonetto di argomento religioso ("Far potess'io ristor degli anni miei"), èquello delle rime d'amore indirizzate a donne diverse: una Beatrice, una Ginevra, forse un'Angela Orsini. Il poeta è cosciente della sua irrequietezza: "Vaneggio, od è pur vero 1 Cll'io mi senta nel core, 1 Nova fiamma d'amore?". Se si vuol cercare un tono fondamentale nello sparso canzoniere, si potrà rintracciare là proprio dove il B. canta, talvolta con felice spigliatezza, l'amore appagato e trionfante: "Amanti, o lieti amanti, 1 Deh non vi spiaccia udire, 1 Amanti, il mio gioire. 1 Io vidi, io vidi, e forse, 1 Ohimé che '1 cor minaccia, 1 E grida pur, cll'io taccía, 1 Chi tanto ben mi porse. 1 Dunque nol posso dire: 1 Pensate che martire. 10 dolor da morire".
Opere: Rime del B. si leggono in Rime diverse di molti eccellentissimi autori,libro I, Venezia 1545; Rime di diversi nobili uomini et eccellenti poeti,libro II, ibid. 1547; Rime di diversi eccellentissimi autori, libro IV, a cura di E. Bottrigaro, Bologna 1551; Rime di diversi eccellenti poeti bresciani,a cura di G. Ruscelli, Venezia 1554; 1 fiori delle rime de' poeti illustri,a cura di G. Ruscelli, Venezia 1558; Rime scelte da diversi autori,a cura di L. Dolce, Venezia 1563; De le rime di diversi nobili poeti toscani,a cura di D. Atanagi, Venezia 1565; Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo, a cura di A. Gobbi, Bologna 1718; Lirici italiani del secolo decimosesto, a cura di L. Carrer, Venezia 1836; Rime inedite del Cinquecento, a cura di L. Frati, Bologna 1918.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, IV, Venezia 1730, pp. 10 s.; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 350; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, IL 1, Brescia 1758, pp. 359-361 (con bibl. precedente); L. A. Muratori, Della Perfetta Poesia italiana, Milano 1831, pp. 228 s.; C. Pariset, Stecchettiana, in La Romagna,1 (1904), pp. 246-248.