BANCHIERI, Pietro
Nacque a Pistoia da famiglia patrizia il 18 nov. 1744. Dopo avere iniziato gli studi nel seminario della città natale, entrò nel novembre del 1756, insieme con il fratello Zanobi, nel collegio Nazareno dì Roma, tenuto dagli scolopi, di cui era rettore il padre Urbano Tosetti e dove insegnavano i padri Martino Natali e Giambattista Molinelli, tutti legati ai gruppi giansenisteggianti dell'oratorio filippino della Chiesa Nuova e del circolo dell'"Archetto" di palazzo Corsini. Qui nacque e si cementò l'amicizia del B. con il senese Fabio de' Vecchi, anch'egli convittore, poi vicario generale della diocesi di Siena, esponente di punta del partito ricciano che, nella Toscana leopoldina, si fece banditore di sostanziali riforme del culto e della disciplina ecclesiastica. Nel 1761, alla morte dei padre, gli obblighi di famiglia - era il maggiore di nove fratelli - lo ricondussero in patria. In quanto primogenito prese allora possesso della commenda di padronato dell'Ordine equestre di S. Stefano appartenente a casa Banchieri, vestendo l'abito di cavaliere milite il 25 ag. 1762 nella chiesa di S. Paolo in Pistoia. A lui andò anche, per successione, il maggiorasco istituito nel 1554 dal cardinale Giovanni Poggi. Sposò la pistoiese Maddalena Melani, donna molto pia, anch'essa seguace della morale di Port Royal e dedita alle opere benefiche.
Il B. fu in contatto con numerosi filogiansenisti e giansenisti italiani,quali Pietro Tamburini, Paolo Marcello del Mare, Guido Savini, mons. Giuseppe Pannilini, Giuseppe Maria Pujati ed Eustachio Degola. Seguendo l'esempio dell'amico Fabio de' Vecchi, espresse la sua solidarietà con la Chiesa dissidente di Utrecht. Nel 1780 mons. Scipione de' Ricci, divenuto vescovo della diocesi di Pistoia e di Prato, trovò in lui un valido collaboratore nell'attuazione delle sue riforme. Già amministratore di una congregazione denominata della "Divina Provvidenza", formata da nobili pistoìesi, il B. venne incaricato dal granduca Pietro Leopoldo di soprintendere all'amministrazione dei beni delle congregazioni, delle compagnie, dei benefizi e dei conventi soppressi nella diocesi di Pistoia e di Prato in seguito al motuproprio del 30 ott. 1784. Egli progettò in quel tempo un piano per mettere una parte dei patrimonio ecclesiastico a disposizione dell'incremento della produzione laniera, istituendo premi per le ragazze che sì dedicavano alle attività artigianali riguardanti la filatura e la lavorazione della lana: iniziativa che finì per rendere un notevole vantaggio allo sviluppo economico della zona.
Fallito il tentativo ricciano, il B., che aveva cooperato non solo sul piano amministrativo, ma contribuito anche all'azione pastorale e alla diffusione degli opuscoli e degli scritti di pietà che si stampavano in quegli anni a Pistoia, si ritirò in silenzio, mantenendo i contatti con gli amici dispersi e perseguitati, spesso sovvenendoli generosamente nelle avversità che li angustiavano. La morte lo colse a Pistoia il 31 marzo 1819.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pisa, Ordine di S. Stefano, Indice dei processi di nobiltà, n. 6371; Ibid., Apprensioni d'abito dal 1697al 1790, D, c. 136; Ibid., Provanze di nobiltà dell'anno 1761, parte I, 3, f. 122; S. De Ricci, Memorie scritte da lui medesimo, a cura di A. Gelli, Firenze 1865, I, pp. 261-263, 476; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I-III, Firenze 1941-1942, ad Indicem; Il giansenismo toscano nel carteggio di Fabio de' Vecchi, a cura di E. Codignola, I-IV, Firenze 1944, ad Indicem; G. A. Venturi, Le controversie del granduca Leopoldo I di Toscana e del vescovo S. de' Ricci con la corte romana, in Arch. stor. ital., s. 5, VIII (1891), p. 85; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobìni.... Firenze 1947, ad Indicem.