PETRINI, Pietro Antonio
PETRINI, Pietro Antonio. – Nacque a Palestrina, presso Roma, il 9 febbraio 1722, primogenito di Francesco Maria di Pietro Antonio di Francesco, uomo d’arme (Palestrina, 1684 - Roma, 1752) e della nobildonna Flaminia de Mattias o de Matteis (Tivoli, 1697 - Palestrina, 1738). I Petrini appartennero all’entourage dei Colonna e guadagnarono ulteriore visibilità con l’acquisto del principato da parte dei Barberini (1630). Il padre di Pietro Antonio, colonnello dei dragoni di Carlo III di Borbone, agli ordini del conte di Santa Croce, fu sovrintendente dei feudi Barberini in Abruzzo (1744).
Petrini fu battezzato nella cattedrale di S. Agapito (14 febbraio) con un padrinaggio (Urbano Barberini) che consolidava questo indirizzo clientelare: gli zii Maria Francesca (nata nel 1691) e Guarino Petrini (nato nel 1685) erano stati condotti al fonte con procure rispettivamente dello stesso principe Urbano e del fratello, cardinale Francesco. Trascorsa l’infanzia e la prima adolescenza a Palestrina, dove ricevette una formazione umanistica presso i trinitari di S. Lucia, Petrini fece la prima tonsura nel 1737, come più tardi il fratello Cesare (nato nel 1726), tonsurato presso il seminario prenestino nel 1749.
Dal 1599 i Petrini erano titolari di un canonicato e di un giuspatronato (già Veccia-Zancati) connessi alla cappella dell’Angelo in S. Agapito, cui si erano aggiunti gli oneri di custodia della chiesa di S. Biagio (in ottemperanza alle ultime volontà dell’ecclesiastico Francesco, 1626) e della cappella della Madonna della Speranza, nella tenuta di famiglia di Prati (eretta per lascito testamentario di Margherita de Marchis, moglie di Guarino Petrini, 1762).
A partire dal piano onomastico, il profilo dei giovani Pietro Antonio e Cesare aderiva spiccatamente al modello costituito da un’altra coppia di germani, fratelli del loro avo paterno: gli ecclesiastici Pietro (1643-1693) e Cesare (protonotario apostolico e arcidiacono della cattedrale, 1636-1719). In specie la figura del primo, arcade, accademico degli Incostanti prenestini, precettore dei figli di Maffeo Barberini e custode della celebre Biblioteca Barberina, nonché fine erudito, secondo il parere di Jean Mabillon, esercitò una forte influenza su Petrini. Lo esplicitò egli stesso nelle Memorie prenestine (Roma 1795, p. 263), la sua opera più nota.
Sulle orme dell’antenato Pietro, nel 1737 Petrini lasciò la dimora natale (il palazzetto di famiglia prospiciente l’odierna piazza Garibaldi) e si trasferì a Roma, nella casa di famiglia prossima a palazzo Barberini (in parrocchia S. Susanna), dove approfondì gli studi di filosofia ed eloquenza, intraprese quelli giuridici e si laureò in utroque. Nel corso degli anni Quaranta fu raggiunto dal fratello (la cui formazione fu del tutto omologa: anche Cesare conseguì l’avvocatura, nel 1753), dal padre e dalle sorelle Maria Antonia (nata nel 1729), Maria Anna (nata nel 1733) e Pompea (nata nel 1732). Si perdono invece le tracce di Chiara (nata nel 1723) e Maria Calfurnia (nata nel 1735).
Frattanto Petrini aderiva a sua volta all’Arcadia e agli Incostanti. Con lo pseudonimo di Arbace Tesmiano licenziò il componimento poetico in onore delle nozze di Gennaro Caracciolo e Olimpia Barberini, edito all’interno della più ampia silloge (Corona poetica, Roma 1748). Nel corso del decennio successivo, in seguito alla morte del padre e poi dello zio Guarino (1755), privo di discendenza diretta, ereditò porzioni minori del patrimonio prenestino (del Palazzetto natale, della tenuta di Prati) e per intero la casa romana in insula barberina, dove continuò a risiedere anche dopo le nozze (1768) con la gentildonna Costanza Ambrosi (Palestrina, 1731 - Roma, 1808). Insieme al fratello Cesare (erede della massima parte degli immobili prenestini, fra cui le tenute appartenute allo zio Guarino), Petrini si fece carico dei legati istituiti in favore di Maria Antonia e Maria Anna e degli oneri connessi alla monacazione di Pompea, clarissa in S. Maria degli Angeli di Palestrina per interessamento della principessa Cornelia Costanza. Massimo beneficiario del patronage barberiniano fu lo stesso Petrini: nominato sostituto del Concistoro (1759-1801) e assessore del Tribunale dell’Agricoltura, divenne quindi avvocato di Rota e uditore del Vicariato presso il cardinale Andrea Corsini (prefetto della Segnatura di giustizia e vescovo di Sabina).
Il legame con Corsini, cognato di Maria Vittoria Barberini (figlia di Cornelia Costanza) si protrasse per due decenni, come si evince anche dal folto e inesplorato carteggio corsiniano. Una fonte che, intrecciata al diario (edito nel 2011) dello scultore e mercante Vincenzo Pacetti, porta in luce nuovi aspetti del rapporto tra Petrini e le antichità prenestine: reperti di cui egli divenne studioso, ma anche ricercato procacciatore. Almeno dagli anni Ottanta del XVIII secolo, al seguito di Corsini, frequentò l’atelier Pacetti, crocevia di artisti e collezionisti di spicco del panorama capitolino. Tra i primi, Giovanni Battista Piranesi, Antonio Canova, Angelika Kauffmann; tra i secondi, i Borghese, gli Albani, Gustavo IV di Svezia, l’ambasciatore spagnolo José Nicolás de Azara, i pontefici Pio VI e Pio VII.
Nel 1802, in occasione dell’ampliamento delle collezioni pontificie, una lite contrappose Pacetti e soci da un lato (il fratello Camillo, Francesco Franzoni, il tiburtino Nicola Bischi), Petrini e Canova, appena nominato ispettore generale di Belle arti, dall’altro. Anche mediante numerose suppliche al papa, Pacetti e sodali chiesero la medesima provvigione accordata a questi ultimi: il 6% del prezzo pattuito per ogni antichità acquistata, loro tramite, dalla Camera apostolica. I protocolli superstiti di Nicola Nardi, notaio della stessa Camera, documentano inoltre un più largo coinvolgimento dei Petrini (sia di Fermo sia di Palestrina) in questo mercato. Da tale angolazione la produzione letteraria di Petrini, a cominciare dalle citate Memorie prenestine (dedicate al principe Stanislao Poniatowki, altro noto collezionista), assume nuova connotazione. Costruite sulle due precedenti storie di Palestrina e in specie su quella di Leonardo Cecconi (Storia di Palestrina, Ascoli Piceno 1756), vescovo di Montalto, con cui Petrini intrattenne una densa corrispondenza, le Memorie si caratterizzano per l’andamento annalistico e per l’ampio risalto conferito appunto ai recenti rinvenimenti archeologici. Accanto a pezzi celeberrimi, la Cista Ficoroni (1738), i Fasti (1769), l’Antinoo (dissepolto da Gavin Hamilton, protetto di Canova, 1793), Petrini annoverò i reperti confluiti nelle collezioni Casali e Braschi Onesti (1786), rinvenuti dal fratello Cesare («cose tutte di sommo valore», Memorie prenestine, cit., p. 288). A eccezione della Poetica d’Orazio (Roma 1777), rifacimento in terzine dell’Epistola ai Pisoni (impresa cui si lega la molto celebrata e, tuttavia, molto episodica corrispondenza intrattenuta con Pietro Metastasio, Onorato Caetani e Voltaire, 1777-78), l’intera produzione petriniana rimase ancorata alle suggestioni prenestine. Vale anche per Di Sant’Agapito (Roma 1793), breve trattazione storico-artistica su quella cattedrale e le sue reliquie, e per la tragedia in tre atti Agapito prenestino (Roma 1801), dedicata alla duchessa Giovanna Corsini Mattei.
Petrini morì a Roma il 26 luglio 1803 e fu sepolto in S. Maria della Concezione dei Cappuccini (eretta in memoria di Antonio Barberini).
Il testo della lapide commemorativa fu elaborato da Vito M. Giovenazzi, grecista e latinista di chiara fama, per volontà del figlio e unico erede Jacopo. Un’epigrafe tuttora visibile, nella cappella della Trasfigurazione, accanto a quelle del padre e della consorte.
Fonti e Bibl.: Palestrina, Archivio storico diocesano, Cattedrale, Battesimi, 3, cc. 79v, 106r (1636-43), 4, cc. 28r ss. (1670-91), 5, cc. 149v, 166r (1722-26); ibid., Defunti, 4, 1762-90, ad diem 4 dicembre 1773; ibid., Stati d’anime, 1-22, 1729-1753, cc. n.n.; Curia vescovile, Ordinazioni, Lettere e testimoniali, filze n.n. (Petrini Cesare, 1749; Petrini Pietro A., 1737); S. Agapito, Stati d’anime, 1695, cc. n.n.; Roma, Biblioteca dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana, Archivio del cardinale Andrea Corsini, 2650, Serie I, ff. 1-4; Serie III, ff. 5-6, 20-26, 1777-90; Serie IV, f. 3, 1772-1782; Archivio di Stato di Roma, Notai di Palestrina, Bonanni Pietro A., 53, cc. 524r-527r, 548r-550v, 562r (1769), 169, cc. 21r-25v, 92r-93v, 99r, 370r-373r (1770), 213, cc. 540r-542r (1785), 220, cc. 1r-2v, 147r-149r, 219r-220v, 211r-223v, 267r-268v (1773-74), 427, cc. 429r ss., 196r, 619r-620r, 674r ss. (1776-79); ibid., Pinci Agapito, 233, cc. 61-63, 144r-146r, 705-707 (1749-52), 350, cc. 539r-541v, 1755; Notai, segretari e cancellieri della RCA, Nardi Nicola, 1315, cc. 130r-132v (1802), 1316, cc. 451r-454v (1802); V. Pacetti, Roma 1711-1819, a cura di A. Cipriani et al., Pozzuoli 2011, pp. 71, 81, 285 s., 314, 341, 346.
Voltaire, Oeuvres complètes, XII, Paris 1821, p. 403; D. Vaccolini, P. (P.A.), in Biografia degli uomini illustri, a cura di E. De Tipaldo, III, Venezia 1836, pp. 402-404; P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, V, Milano 1954, pp. 498 s., 653 s., 800; A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800, Roma 1977, p. 24; B. Scanzani, P., P.A., in Dizionario storico biografico del Lazio, III, Roma 2009, pp. 1529-1531; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli Studi di Roma, IV, Roma 2011, p. 362.