MICHIEL, Pietro Antonio
– Nacque a Venezia il 17 o il 18 luglio 1510, terzo dei sei figli di Marco e di Lodovica Bembo.
Apparteneva al ramo della famiglia Michiel detto di S. Basegio, dal nome della chiesa allora esistente in prossimità del loro palazzo, ramo che prese più tardi il nome di Michiel di S. Trovaso (ossia dei Ss. Gervasio e Protasio).
Il 18 luglio 1543 sposò Maria di Pietro Molin, con la quale ebbe cinque figli: Giovanni Marco, Alvise, Pietro Paolo, Giovanni Battista e Agostino. Rimasto vedovo, si risposò nel 1565 con la vedova Cecilia di Benedetto Valzer, con la quale ebbe un altro figlio Gabriele e due figlie.
Molto scarse sono le testimonianze dirette. Sembra che conducesse una vita ritirata; nelle sue note botaniche c’è traccia solo dei viaggi intrapresi in cerca di piante in diverse località di montagna e di pianura del territorio della Serenissima.
Presso la sua casa veneziana a S. Trovaso, il M. diede vita a un orto botanico che fu lodato dal naturalista e poligrafo svizzero Konrad von Gesner (De hortis Germaniae, Argentorati 1561) e dal botanico senese Pietro Andrea Mattioli in quanto «notevole così per le piante peregrine che vi si ritrovano, come ancho per li acquidotti e grotteschi rarissimi che vi si veggono con mirabile arte fabricati» (Discorsi, Venetia 1568, pp. n.n. [20]). I rapporti con Mattioli, tuttavia, si guastarono in seguito, poiché questi gli rimproverò di conservare amicizia con Luigi Anguillara (Squalermo) e Melchiorre Guilandino, i primi prefetti dell’Orto botanico di Padova, con i quali era in aspro dissidio. Difficili in un primo tempo furono anche i rapporti del M. con Ulisse Aldrovandi, che nel 1552, in occasione di una sua visita a Venezia, tentò invano di farsi aprire la porta dal M., del quale avrebbe voluto vedere il giardino. Presto però i due avrebbero iniziato una lunga corrispondenza, testimoniata da 28 lettere (settembre 1553 - settembre 1561) del M. ad Aldrovandi, conservate nella Biblioteca universitaria di Bologna (Mss., 382.I, cc. 172-200).
Non c’è prova che il M. abbia realizzato anche un orto secco, cioè un erbario, come quello che avrebbe prodotto Aldrovandi in anni di poco successivi. Dal suo orto botanico veneziano, tuttavia, partivano spesso semi e piante alla volta di altri orti e giardini, contribuendo così alla prima diffusione in Italia di specie fino ad allora poco conosciute. Il M. intrattenne stretti rapporti con altri gentiluomini veneti che, come lui, possedevano un orto botanico, a Venezia come Andrea Pasqualigo e Francesco Bon, oppure a Padova, come Filippo Pasqualigo, Bernardo Trevisan e monsignor Torquato Bembo; ma soprattutto con affermati botanici come i menzionati Anguillara e Guilandino, e Giacomo Antonio Cortuso, che si succedettero fra il 1546 e il 1603 alla direzione dell’orto botanico dell’Università di Padova. Non mancarono fra i suoi corrispondenti gli stranieri, come il francese Pierre Belon, medico, naturalista e viaggiatore, nonché uno dei i primi autorevoli visitatori (1553) dell’Orto botanico patavino.
Quest’ultimo era stato istituito dalla Serenissima nel 1545. Il 25 febbr. 1551 i Riformatori dello Studio di Padova affiancarono il M. ad Anguillara, primo prefetto dell’Orto, con un incarico che gli venne rinnovato annualmente fino al 1555. È in questi anni che nell’orto botanico patavino venne eretto il muro circolare che racchiude le aiuole centrali e sempre in questi anni (dal 1° genn. 1553) vi prese servizio, per la prima volta, un giardiniere stipendiato, Iacopo da Treviso. Qualche anno più tardi, il 28 giugno 1559, Anguillara dedicherà al M. il secondo dei suoi Pareri botanici pubblicati a Venezia nel 1561.
Il M. è rimasto famoso nella storia della botanica per una corposa opera, nota come I cinque libri di piante, che contiene 1028 disegni e descrizioni di altrettante piante.
L’opera ci è giunta manoscritta nel codice Marc. it., cl. II, 26-30 (=4860-4864) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, articolata in cinque tomi distinti dallo stesso M. sulla base del colore del cartone (azzurro, giallo, rosso primo, rosso secondo, verde), fu realizzata fra il 1553 e il 1565. La presenza di una lettera dedicatoria datata 1570 a Loredana Marcello, moglie di Luigi Mocenigo, lascia supporre che a quella data l’autore pensasse di dare l’opera alla stampa.
Le tavole furono disegnate da Domenico Dalle Greche, parte dal vero, parte da altri disegni, alcune ricostruite sulla base di descrizioni verbali o scritte; in alcuni casi, come per il tamarindo, il disegno fu però realizzato a partire da una documentazione inesatta o addirittura fantasiosa. Per alcune tavole, la minuzia dei particolari illustrati lascia supporre l’uso di lenti d’ingrandimento. Per quasi centocinquanta specie di piante, l’illustrazione data in quest’opera rappresenta la più antica figura di cui si abbia notizia o, quanto meno, una figura molto più completa e soddisfacente rispetto a quelle disponibili all’epoca. È il caso, per esempio, di un’importante pianta americana come il pomodoro, ma l’elenco comprende anche il riso, la cassia, la scarpetta della Madonna, la fritillaria o corona imperiale, il karkadè e l’agave americana. Vi sono anche rozze figure di mais e di tabacco. Particolarmente numerose sono, peraltro, le specie originarie del Vicino e Medio Oriente.
Nei testi che accompagnano le tavole, il M. manifesta a volte posizioni già molto moderne. Per esempio, nel riconoscere i capolini come strutture complesse derivanti dall’aggregazione di molti fiori, o nell’attribuire funzione riproduttiva ai sori delle felci (strutture dove in effetti avviene la produzione delle spore), un’opinione, questa, che Federico Cesi potrà fondare su basi più solide solo nel 1628, con le prime osservazioni di queste strutture al microscopio. Il M. segnalò anche la presenza dei noduli radicali nelle leguminose e avanzò l’ipotesi di una loro origine parassitaria. In più occasioni espresse opinioni critiche nei confronti dell’autorità degli autori antichi, Aristotele e Dioscoride inclusi. Altrove, peraltro, dimostra di avere condiviso erronee credenze diffuse all’epoca, come la dottrina delle segnature o la generazione spontanea. Singolare, per esempio, è la sua argomentazione a proposito di una pianta acquatica (Pistia stratiotes, citata nel codice sotto il nome di «stratiote aquatico»), che «non produce radice, fusto né fiore né seme» e quindi, «non facendo seme ne radice non si puol dire che nasca se non per coruption» (Libro rosso, I, n. 153; ed. Venezia 1940, p. 287).
Il codice dei Cinque libri fu acquistato da Giovanni Marsili (prefetto dell’Orto botanico di Padova dal 1760 al 1794, appassionato e competente bibliofilo); dalle sue mani passò in quelle del suo successore Antonio Bonato, che nel 1796 lo cedette alla Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, dove è rimasto custodito fino a oggi. In segno di riconoscenza, Bonato ricevette una medaglia da parte del procuratore Francesco Pesaro. Quindici anni dopo il passaggio del codice alla Marciana, Bonato chiese invano di riaverlo indietro a prestito per qualche tempo, per studiarlo: il bibliotecario I. Morelli glielo negò senza appello.
Il M. morì a Venezia, forse di peste, nell’agosto 1576.
Il testo de I cinque libri di piante, con il commento di E. De Toni e la riproduzione di 40 tavole, è stato pubblicato a Venezia nel 1940.
Fonti e Bibl.: G. Marsili, Di Pier A. M. botanico insigne del secolo XVI e di una sua opera manoscritta, Venezia 1845; P.A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1895; E. De Toni, Ulisse Aldrovandi e P.A. M., Imola 1907; Id., Notizie su P.A. M. e sul suo codice-erbario, Venezia 1908; G.B. De Toni, Contributo alla conoscenza delle relazioni del patrizio veneziano P.A. M. con Ulisse Aldrovandi, Modena 1908; E. De Toni, Luigi Anguillara e P.A. M., in Annali di botanica, VIII (1910), pp. 617-685; Id., Appunti botanici del codice-erbario di P.A. M., in Archivio di storia della scienza, I (1919), pp. 113-136; M. Minio, Sui caratteri dell’opera botanica del veneziano P.A. M. dall’analisi del suo codice erbario (sec. XVI), in Nuovo Giornale botanico italiano, n.s., XLVII (1940), pp. 649-661.
A. Minelli