MAGATTI, Pietro Antonio
Nacque a Varese il 20 giugno 1691 quintogenito di Giovan Pietro Nicola, di professione speziale, e Onesta Orrigoni di Biumo Inferiore (Tognola; Giampaolo, 1953, p. 89).
Negli anni giovanili si dedicò all'attività di "musico", come indica un documento del 26 giugno 1713, in cui si dice che venne dispensato da tale funzione nella chiesa pievana varesina, essendosi rifiutato di cantare durante una solennità (Colombo, 1963). Fece probabilmente un viaggio di studio a Bologna, presso il pittore Giovan Gioseffo Dal Sole, dove entrò in contatto con la locale scuola artistica, come riferiscono gli storici settecenteschi (Giovio). Tale notizia sembra essere confermata dai caratteri stilistici della sua produzione e sostanziata dai giudizi formulati dalla critica moderna a partire da Arslan (1957, p. 213).
Il M. dovette rientrare da tale soggiorno a ridosso del 1715, quando, come ricorda la cronaca del frate Benvenuto Silvola, dipinse una perduta Via Crucis entro le quadrature dei fratelli Longoni per il convento dei minori osservanti di Sabbioneta di Merate, prima sua opera di cui si ha notizia (Coppa, Novità e precisazioni, 1989, p. 186).
Non si conoscono invece i soggetti degli affreschi ricordati dai cronisti contemporanei Adamollo e Marliani, che eseguì presso le distrutte chiese varesine di S. Rocco nel 1717 e di S. Domenico l'anno successivo, dove si avvalse della collaborazione dei quadraturisti Giacomo Antonio e Antonio Francesco Giovannini (Giampaolo, 1953, pp. 93, 97).
Tra la fine del 1722 e l'estate del 1723 affrescò, sempre affiancato dai Giovannini, il coro e la volta della chiesa di S. Martino per le umiliate di Varese, la cui lettura stilistica è compromessa a causa di ampi restauri ottocenteschi (ibid., p. 112).
Ancora una volta il M. ricevette dall'Ordine dei minori la commissione di decorare le stazioni di due perdute Viae Crucis, una presso il convento di S. Croce in Boscaglia a Como nel 1723 (Signorotto, p. 113), l'altra a Codogno nel 1724 (Pacciarotti, 2000, p. 128).
Sempre nel 1724 eseguì i quattro piccoli ovali con Storie di Enea (Milano, collezione privata: Marani) per il canonico della basilica varesina di S. Vittore, Luigi Comolli, come si legge sul retro di uno di essi. Il carattere di piacevoli "intermezzi" delle tavolette, concede al M. di esprimersi secondo una maniera elegante e vaporosa, che ricorda quella del veneto Sebastiano Ricci, già allievo di Dal Sole.
Entro l'agosto del 1725 realizzò la Madonna che offre il rosario a s. Domenico per la cappella del Rosario in S. Vittore a Varese. Il M. optò per un'impaginazione derivata da modelli del classicismo secentesco di derivazione emiliana, come Giacomo Cavedoni e Dal Sole, coniugata però a una sperimentazione espressiva ispirata al tenebrismo del lombardo Carlo Donelli, detto Vimercati (A. Spiriti, in P.A. M., p. 200).
Con la collaborazione del quadraturista Giuseppe Baroffio negli anni 1725-26 affrescò il presbiterio e la volta della chiesa parrocchiale di S. Giorgio a Biumo Superiore con la Gloria di s. Giorgio e la Madonna del Carmine consegna lo scapolare a s. Simone Stock. In tali affreschi il pittore, sebbene appaia ancora legato a schemi secenteschi, comincia a distinguersi per una maggiore leggerezza esecutiva, in particolare nelle Virtù del catino absidale, che preludono alla sua fase più matura (Terzaghi, ibid., pp. 217-219).
Nell'ottobre del 1726 completò il Cenacolo nel refettorio delle agostiniane del Sacro Monte di Varese, sul quale appose firma e data di esecuzione (Servolini; Colombo, 1964, p. 115). Qui inoltre eseguì altri affreschi nel corridoio delle celle e una tela con la Madonna del Rosario, s. Domenico e una monaca, andati perduti (Beltrame, 1996-97, pp. 142 s.). Nel medesimo anno completò anche la tela raffigurante S. Pellegrino Laziosi guarito dal Crocifisso per la chiesa di S. Giorgio a Codogno dei padri serviti, dove ancora si conserva (Caprara, 1987, pp. 99 s.).
Contemporaneamente il M. fu attivo presso l'Annunciata di Varese, altra fondazione dei frati minori osservanti, confermando il rapporto privilegiato che intrattenne con tale Ordine.
Nel 1725 vi affrescò un Cenacolo nel refettorio; nel 1727 lavorò a una Via Crucis (Giampaolo, 1953, pp. 98 s.). Entro la fine del decennio portò inoltre a termine un S. Francesco sulla porta della sagrestia, sette lunette nella cappella di S. Antonio da Padova, due Immacolate nell'infermeria e nel "pulpitino", un'Addolorata sullo stradone della Via Crucis e un S. Bonaventura nella libreria (Beltrame, in P.A. M., p. 62), tutti dispersi. Sempre per il medesimo convento eseguì anche le due tele raffiguranti S. Pasquale Baylon e il Beato Andrea Conti (1724-26), collocate originariamente nella chiesa annessa al monastero e ora presso S. Vittore a Casbeno (ibid., p. 126).
La collaborazione con Baroffio continuò ancora nella cappella dell'Addolorata di S. Vittore a Varese, dove i due artisti risultano impegnati nel gennaio 1727 nell'esecuzione degli affreschi della volta con Dio Padre che contempla gli angeli con gli strumenti della Passione del Figlio, purtroppo molto rovinati (Giampaolo, 1953, pp. 93, 99, 115-117).
Nel 1728 gli fu richiesta dalla Confraternita della Madonna degli Angeli una pala con l'immagine della Beata Vergine (Milano, collezione Marietti) per il proprio altare nella basilica di S. Nazaro Maggiore a Milano. L'opera rappresenta la prima commissione dell'artista in tale città dove risulta attivo almeno fino all'inizio del decennio successivo (Arslan, 1957, p. 213).
In quegli anni il M. eseguì anche l'Immacolata Concezione per le monache benedettine di S. Margherita, attualmente presso la chiesa di S. Carlo a Gorla Maggiore (Coppa, 1993, pp. 132 s.), nonché il telero Eraclio costringe Siroe ad abbandonare la Croce su commissione della "università de' merzari" per il duomo di Milano.
Esso fa parte di un ciclo con Storie dell'invenzione della Vera Croce e del Sacro Chiodo, realizzato da diversi pittori per le celebrazioni annuali della festa del Sacro Chiodo e del Corpus Domini che si tenevano nel duomo di Milano, dove ancora si conserva (Arslan, 1960, pp. 74, 78 s.). L'opera costituisce un caposaldo della produzione del M., per l'impeccabile impianto compositivo di tipo accademico, il vigoroso plasticismo delle figure e l'utilizzo di un ampio ventaglio cromatico (Zani, in P.A. M., p. 134).
Per la serie del Ss. Sacramento e s. Caterina da Siena destinata ancora agli allestimenti per la festa del Corpus Domini nella cattedrale milanese, il M. realizzò, su richiesta dell'Arciconfraternita del Ss. Sacramento, la tela con Maria fa giungere il viatico a una devota (Milano, duomo), da datarsi entro l'inizio del quarto decennio (ibid., p. 144). Dell'opera si conserva anche il bozzetto nei Musei civici di Varese (Colombo, 1967, pp. 81 s.).
Sempre negli stessi anni il M. portò a termine il Trionfo della Fede e della Religione cattolica (Milano, collezione privata) commissionatogli dalla Confraternita del Ss. Sacramento per la chiesa di S. Maria Podone a Milano (Coppa, Schede di pittura, 1989).
Il 27 genn. 1731 il pontefice Clemente XII lo aggregò alla Milizia dello Speron d'oro, nominandolo milite cavaliere e conte palatino lateranense (Zanzi; Giampaolo, 1953, p. 95).
Il prestigio raggiunto dal M. nella città ambrosiana è testimoniato anche dal suo probabile impegno, attorno al 1731, presso il cantiere di palazzo Casati (ora Dugnani), dove era allora attivo anche Giambattista Tiepolo. Al M. è stato infatti riferito un medaglione (distrutto e conosciuto solamente attraverso una riproduzione fotografica), che doveva decorare una delle volte del palazzo con una raffigurazione allegorica interpretata come Marte, Venere e Vulcano (Bossaglia, 1964, pp. 236 s.).
Nel 1731 il M. realizzò anche La guarigione di Tobia conservata a Busto Arsizio (S. Rocco), pala d'altare della cappella dell'Angiolo Custode in S. Michele Arcangelo, parte del ciclo con Storie di s. Raffaele affrescate da Francesco Maria Bianchi (Pacciarotti, 2000, pp. 27, 129). Nel medesimo anno l'artista portò a termine la perduta Immacolata Concezione destinata al coro dell'Annunziata di Varese (Giampaolo, 1953, pp. 94, 96, 99).
Probabilmente nel 1732 eseguì il S. Filippo Neri resuscita Paolo Colonna (Rho, quadreria del collegio degli oblati missionari), richiestogli dalla Congregazione dei sacerdoti secolari di S. Filippo Neri di Milano, trasferitasi quell'anno nella chiesa di S. Protaso ad Monachos. La tela completava un ciclo dedicato al fondatore degli oratoriani già iniziato verso la fine del secolo precedente.
In data imprecisata il M. era a Pavia presso il convento di S. Giacomo della Vernavola, retto da minori francescani osservanti, dove completò i perduti affreschi con la Gloria del beato Bernardino da Feltre e s. Giacomo, una Trinità e Santi. Tali opere furono forse il viatico per la commissione del Battesimo di s. Marco collocato in S. Francesco d'Assisi a Pavia, firmato e datato al 1732, richiestogli per S. Marco dai frati minimi paolotti e considerato dalla critica come il suo esordio in città (Beltrame, in P.A. M., p. 62).
La tela fa parte di un ciclo di quattro dipinti relativi alle storie di s. Marco, due dei quali realizzati dal bolognese Antonio Fratacci e uno dal milanese Pietro Gilardi, ed è stata interpretata come una sorta di manifesto delle capacità espressive dell'artista, che operò in tale occasione al fianco di maestri rinomati (Colombo, 1963, p. 256). Le figure sono rigorosamente articolate secondo un impianto compositivo che si sviluppa lungo assi diagonali; mentre il colore viene steso con pennellate ampie e trasparenti, dalla cromia sempre più chiara e delicata, ormai pienamente rococò. La cultura figurativa del M. accoglie stimoli che vanno oltre il suo retaggio emiliano, spaziando pure nell'ambito dei pittori borromei, con riferimenti anche a Giuseppe Bazzani e al comasco Carlo Innocenzo Carloni (Colombo, 1963, pp. 255 s.).
Tra il 1732 e il 1734 il M. venne chiamato da Ambrogio Mezzabarba, patriarca di Venezia e vescovo di Lodi, per decorare l'oratorio della propria residenza pavese, che stava allora ristrutturando.
Le pareti laterali della cappella sono occupate dagli affreschi con S. Carlo che offre a s. Giovanni Battista la fronte del collegio Borromeo e un'Immacolata in gloria entro cornici in stucco. La pala d'altare raffigura invece il Martirio dei ss. Quirico e Giulitta (Pavia, Pinacoteca Malaspina), che insieme con la tela eseguita per i paolotti costituisce il raggiungimento più felice della maturità artistica del pittore. In tale opera l'impaginazione si fa ancora più virtuosistica, intensificandosi inoltre una grazia languida tipicamente barocchetta, che stempera la drammaticità dell'evento (ibid., p. 257).
L'artista eseguì, sempre per i minimi paolotti di S. Marco, anche l'Estasi di s. Francesco da Paola (Pavia, S. Francesco), originariamente per la cappella dedicata al santo fondatore dell'Ordine, che venne completata tra il 1731 e il 1734, in anni che dovrebbero corrispondere anche all'esecuzione del dipinto (ibid., pp. 256 s.).
Il 7 apr. 1736, la badessa del monastero di S. Antonino a Varese, richiese il permesso al proprio superiore di far entrare nel convento il M. e i fratelli Baroffio per poter eseguire gli affreschi del refettorio (ora sala Veratti), completati non oltre il 1740, con raffigurazioni a mezzobusto di Sibille (Colombo, 1964, pp. 116 s.).
Entro il gennaio 1738 il pittore completò due tele raffiguranti l'Immacolata e S. Gerolamo Emiliani, conservate a Pavia, rispettivamente in S. Teresa e nella Pinacoteca Malaspina, la prima per il convento della Colombina, la seconda per la chiesa di S. Maiolo a Pavia, appartenenti ai padri somaschi (Colombo, 1963, pp. 253-255; Rampi, pp. 72 s.).
Per la fine del decennio licenziò anche il Transito di s. Giuseppe per S. Giuseppe a Pavia (Milano, Pinacoteca di Brera, in deposito presso S. Bartolomeo a Ossona), firmato e datato (la data presenta però una lacuna nelle ultime due cifre: Caprara, 1979-81, p. 16).
Tra la fine degli anni Trenta e l'inizio del decennio successivo il M. dovette eseguire le due tele con Cristo nell'Orto e l'Annunciazione (Milano, S. Gregorio Magno) per S. Sepolcro a Milano appartenente all'Ordine degli oblati (Bianchi), i quali gli commissionarono anche un S. Luigi Gonzaga adorante il Crocifisso (Novara, S. Luigi Gonzaga) per l'omonima cappella in S. Carlo a Novara (Caprara, 1987, p. 100).
Sempre negli stessi anni il M. si cimentò nuovamente nella decorazione a carattere profano, dipingendo nella villa Recalcati a Casbeno l'Abbondanza sulla volta di un ambiente a pianterreno e Apollo e Pegaso sul soffitto di una sala al piano nobile. Sul prospetto dell'edificio verso il giardino eseguì inoltre una Madonna col Bambino e s. Carlo (Frangi, in P.A. M., pp. 221-226).
A partire dagli anni Quaranta il M. ricopriva ormai un ruolo di assoluta preminenza nel contesto artistico varesino, ambito in cui può essere considerato il più importante pittore del secolo. A riprova del prestigio da lui acquisito risulta, dai libri contabili della Fabbrica del duomo di Como in data 10 genn. 1741, che venne chiamato tre volte per la supervisione degli stucchi eseguiti dal ticinese Gasparo Mola nei pennacchi del tamburo (Rovi).
Il M. fornì inoltre i disegni per i due angeli scolpiti da Elia Vincenzo Buzzi da Viggiù e collocati sull'altare maggiore della basilica di S. Vittore a Varese il 4 nov. 1741 (Giampaolo, 1953, p. 100).
Nel 1745, in due diverse occasioni il giudizio del M. venne richiesto dal pittore Pietro Ligari riguardo alla qualità di un proprio dipinto e per dirimere una controversia circa una commissione contrastata. Il M. fu inoltre celebrato tra i pittori degni di fama e gloria dallo stesso Ligari in un'epistola del luglio del 1746 indirizzata a Carlo Venosta (Bossaglia, 1959).
Contemporaneamente però il M. diminuì la propria attività, probabilmente a causa di una grave malattia che lo colpì agli occhi (Giampaolo, 1953, p. 96). Il 27 luglio 1747 il pittore risulta, infatti, essere ammalato presso il convento di S. Francesco a Pavia, dove in quegli anni con l'allievo Giovan Battista Ronchelli affrescava la volta e i pennacchi della cappella dell'Immacolata con Gloria della Vergine e Profeti, tuttora esistenti (Caprara, 1987, pp. 97 s.).
Il M. era ancora attivo nel 1753 nel secondo chiostro del convento varesino dell'Annunciata, dove realizzò sei ritratti a fresco di vescovi dell'Ordine dei francescani minori osservanti, mentre Ronchelli ne realizzava altri sei (Beltrame, in P.A. M., p. 62).
Al M. è stato anche riferito il medaglione affrescato sulla volta del salone d'onore della villa Menafoglio a Biumo Superiore con una scena allegorico-mitologica allusiva alle virtù e al prestigio della famiglia, datato al 1755 circa (Colombo, 1981, pp. 253 s.).
Disegnò infine i modelli per due statue in cotto raffiguranti S. Francesco d'Assisi e S. Margherita da Cortona, realizzate dal "Cavalier Giudici di Viggiù" e sistemate nel 1766 presso il convento dell'Annunciata di Varese (Beltrame, in P.A. M., p. 62).
Il M. morì a Varese il 26 sett. 1767. Fu sepolto nella basilica di S. Vittore, presso la cappella gentilizia della famiglia Dralli (Giampaolo, 1953, p. 94).
Fonti e Bibl.: G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi, Modena 1784, p. 142; Cronaca di Varese, memorie cronologiche scritte da Gio. Antonio Adamollo (1723-45) e Luigi Grossi (1746-1846), a cura di A. Mantegazza, Varese 1931, pp. 86 s., 92 s., 101, 103 s., 106, 108, 112; V. Marliani, Le memorie della città di Varese, dall'anno 1737 all'anno 1776, a cura di L. Giampaolo, in Riv. della Soc. storica varesina, III (1955), suppl., ad ind.; L. Zanzi, Il mio paese, Varese 1879, p. 180; L. Tognola, La verità sul luogo, l'anno di nascita e di morte di P.A. M., in La Provincia di Varese, VII (1934), 4, pp. 5-7; L. Giampaolo, Il pittore P.A. M. di Varese, in Riv. della Soc. storica varesina, I (1953), 2, pp. 85-131; Id., Nuovi appunti sul pittore P.A. M. di Varese, ibid., II (1954), 2, pp. 65-69; L. Servolini, P.A. M. pittore varesino del Settecento, in Arte figurativa, V (1957), 28, pp. 31-34; E. Arslan, Note sull'arte di P.A. M., in Commentari, VIII (1957), 3, pp. 211-218; R. Bossaglia, I Ligari nei rapporti coi pittori del loro tempo, ibid., X (1959), 4, pp. 232, 234; E. Arslan, Le pitture del duomo di Milano, Milano 1960, pp. 74 s., 78 s., 85, 88; S. Colombo, Chiarimenti sull'attività pavese di P.A. M., in Arte lombarda, VIII (1963), 2, pp. 253-259; R. Bossaglia, Nuovi apporti per un catalogo di Borroni, Bortoloni e M. e altre questioni settecentesche, ibid., IX (1964), 1, pp. 229-238; S. Colombo, Osservazioni sull'arte di P.A. M., ibid., 2, pp. 113-118; Id., Appunti sul M., ibid., XII (1967), pp. 79-84; V. Caprara, Aggiunte a P.A. M., in Almanacco della Famiglia bustocca, 1979-81, pp. 8-16; S. Colombo, La civiltà di villa a Varese nel Settecento. Itinerario alle dimore Bernasconi, Mozzoni, Menafoglio e di Francesco III d'Este, in Segni del Settecento a Varese. L'infeudazione, il catasto, le ville, Busto Arsizio 1981, pp. 214-216 e passim; G. Signorotto, Gli esordi della Via Crucis nel Milanese, in Il francescanesimo in Lombardia. Storia e arte, Milano 1983, pp. 113, 147 s.; V. Caprara, Novità, problemi sul M., in Notizie da Palazzo Albani, XVI (1987), 1, pp. 97-101; S. Coppa, Novità e precisazioni per il Petrini e il M., in Arte lombarda, n.s., 1989, nn. 90-91, pp. 186-188; Id., Schede di pittura lombarda del Settecento: Legnanino, M., Pietro Ligari e altri, in Arte cristiana, LXXVII (1989), 731, pp. 122-124; Settecento lombardo (catal.), a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, pp. 153-162; S. Coppa, in Arte nella pieve di Busto Arsizio (catal., Busto Arsizio), a cura di G. Pacciarotti, Milano 1993, pp. 132-135; P.C. Marani, Un'inedita Eneide di P.A. M., in Arte lombarda, n.s., 1996, n. 118, pp. 45-48; E. Bianchi, Un contributo per P.A. M., ibid., pp. 26 s.; S. Coppa, Nuove schede per Santagostino, Abbiati, Gilardi, M., ibid., pp. 38-40, 45; L. Beltrame, P.A. M. 1691-1767, dissertazione, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, a.a. 1996-97; A. Rovi, Architetti, artisti e lavoranti nel duomo di Como tra Sei e Settecento, in Magistri d'Europa. Eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dai laghi lombardi. Atti del Convegno, 1996, a cura di S. Della Torre - T. Mannoni - V. Pracchi, Como 1997, pp. 72, 77; E. Rampi, in La Pinacoteca Malaspina di Pavia. Opere del '600 e del '700, a cura di S. Zatti, Milano 1998, pp. 71-73; V. Zani, Una pala tradatese di P.A. M. e altri ritrovamenti, in Tracce, XIX (1999), 30, pp. 21-28; G. Pacciarotti, Sulle ali degli angeli, Busto Arsizio 2000, pp. 26-31, 41, 42, 44, 128-133; Id., Busto Arsizio nel Settecento, in Paragone, LI (2000), 30, pp. 92-94; P.A. M.: 1691-1767 (catal.), a cura di S. Coppa - A. Bernardini, Cinisello Balsamo 2001; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 553.