LOCATELLI, Pietro Antonio
Nacque a Bergamo il 3 sett. 1695, primo dei sette figli di Filippo Andrea e di Lucia Crocchi (o Trotti). Della sua formazione musicale non si hanno notizie, ma è possibile che sia stato discepolo di L. Ferronati o di C.A. Marino (Marini), attivi come violinisti nella basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo.
Nell'ambito delle attività musicali di quella chiesa si registrano le prime e uniche testimonianze conosciute dell'impegno professionale del L. nella città natale. Nel 1710 è documentata la sua partecipazione a funzioni celebrate nella basilica: in aprile il L. è registrato tra i violinisti che prestarono servizio durante la settimana santa e nel giorno di Pasqua; in agosto tra quelli ingaggiati per la festa dell'Assunta. Dal gennaio 1711 fu incluso nell'organico stabile della cappella nel ruolo, da lui stesso richiesto, di terzo violino.
Nel settembre 1711 il L. ottenne la dispensa dal servizio presso la chiesa e il permesso di trasferirsi a Roma per "aprofitarsi nella sua professione" (così nella risposta del Consorzio della Misericordia maggiore alla supplica del L.; cfr. Palermo, in Intorno a L., 1995, p. 737). Le notizie sul suo lungo soggiorno romano sono complessivamente scarse. Il primo documento che ne attesta la presenza risale al marzo 1714: si tratta di una lettera inviata al padre, in cui vi sono informazioni sulla partecipazione del L. a manifestazioni musicali, finanziate dal principe di Caserta Michelangelo Caetani, svolte a Cisterna e a Sermoneta durante il carnevale. In quell'occasione il L. si trovava in compagnia di G. Valentini, violinista e compositore a servizio dei Caetani. È possibile che sia stato proprio Valentini a curare e promuovere l'ulteriore apprendistato professionale del L. (Dunning, 1983, p. 52). Dal 1716 è attestata l'appartenenza del L. alla Congregazione dei musici di S. Cecilia, alla quale aderivano quasi tutti i musicisti chiamati a prestare servizio nelle istituzioni religiose romane.
L'inclusione nel sodalizio mostra un rafforzamento della posizione professionale del L.; non sembra casuale, infatti, che il suo nome compaia nelle liste degli strumentisti chiamati a suonare nelle feste a S. Lorenzo in Damaso solo a partire dal 1717. La partecipazione del L. a esecuzioni orchestrali, finanziate dal cardinale Pietro Ottoboni in questa chiesa, è documentata fino al 1723. La collocazione e la retribuzione del L. nelle liste ottoboniane indicano tuttavia che egli non ricoprì mai in tale contesto una posizione di rilievo paragonabile a quella occupata dai primi della lista (in quegli anni solitamente i violinisti A. Montanari e D. Ghilarducci).
Anche se non sono stati rinvenuti documenti che comprovino un incarico stabile del L. presso una qualche corte nobiliare o cardinalizia, sembra assai probabile che egli abbia prestato regolarmente servizio per Camillo Cibo (cardinale dal 1729), che figura come dedicatario della prima opera a stampa del L., pubblicata nel 1721.
Nell'Archivio Cibo il nome del L. compare solo in una nota di copiatura del febbraio 1722 e in una nota di spesa per la rilegatura "di una muta di sinfonie" del maggio 1723 (Pavanello, pp. 755-757); inoltre è citato in due documenti risalenti all'epoca in cui il L. non risiedeva più a Roma (nel primo dei quali, datato al 1730, viene qualificato come "virtuoso di sua Eminenza"). Proprio nel periodo in cui Cibo decise di ritirarsi nell'eremo di Monteluco spariscono le tracce del L. a Roma.
Sugli anni che separano la partenza da Roma dall'arrivo ad Amsterdam nel 1729 sono pervenute solo poche e sporadiche testimonianze. Dal 1723 al 1727 il L. dovette risiedere ancora in Italia; la nomina, nel 1725, a virtuoso del governatore dell'Arciducato di Mantova principe Filippo d'Assia-Darmstadt attesta che intorno a quella data il L. si trattenne per qualche tempo a Mantova. Nella dedica al patrizio veneziano G.M. Lin, che correda l'op. III, il L. fa esplicito riferimento a un soggiorno veneziano che si può datare, sulla base dei dati disponibili, a prima del giugno 1727. Le testimonianze del passaggio del L. alle corti di Monaco, Berlino e Kassel (nonché la registrazione nell'album dei ricordi di un nobiluomo di Francoforte, di origine olandese, H. van Uchelen, datata 20 ott. 1728), sono tutto quel che resta a documentare un periodo, tra il 1727 e il 1729, contrassegnato da continui spostamenti dovuti verosimilmente a un'intensa attività concertistica e di autopromozione professionale.
Nel giugno del 1727 è documentata un'esecuzione per il principe elettore di Baviera, Carlo Alberto, per la quale il L. ricevette 12 fiorini d'oro. Secondo la testimonianza di Förster, il L., giunto a Berlino al seguito dell'elettore di Sassonia Federico Augusto il Forte, in visita da Dresda, si esibì alla corte di Federico Guglielmo I di Prussia tra maggio e giugno 1728, vestito di abiti sontuosi e ornato con anelli di brillanti, ricevendo dapprima 20 talleri (che regalò al paggio incaricato di portarglieli) e poi una pesante scatola d'oro ripiena di ducati. Nel palazzo di Monbijou, alla presenza della regina Sofia Dorotea, ebbe luogo un concerto in cui suonarono sia il L. sia il violinista J.G. Graun; tuttavia, stando al resoconto dell'ambasciatore W. Statemann che riferisce dell'esecuzione, fu quest'ultimo a trovare maggiore approvazione. Della visita a Carlo, langravio di Assia-Kassel, nel dicembre 1728, resta una nota di pagamento al L. per un servizio non specificato. Lustig (1786) riporta che a Kassel il L. suonò in un concerto a corte insieme con J.-M. Leclair, mostrando grandi abilità tecniche per suscitare meraviglia negli spettatori (a detta del buffone di corte, Leclair avrebbe suonato come un angelo, il L., invece, come un diavolo, correndo sul violino come una lepre).
È a quegli anni di viaggio che si può ascrivere la diffusione della sua fama di virtuoso del violino, suggellata più tardi dall'uscita dei concerti dell'op. III.
Il L. giunse ad Amsterdam probabilmente nel mese di agosto del 1729. Non aveva inteso quel soggiorno, in un primo tempo, come un trasferimento definitivo: da una missiva del padre del settembre 1730 emerge che il L., dopo l'inverno, aveva intenzione di tornare a Roma, passando per Bergamo. In una lettera al principe Massimiliano d'Assia del dicembre 1729, il L. scrive di essere stato trattenuto nella città da una lunga malattia (Opera omnia, X, Catalogo tematico, lettere, documenti e iconografia, Mainz 2001, p. 249). Dalle parole del L. si evince però che motivo della sua permanenza, e probabilmente anche del suo viaggio nella città, erano le prospettive di guadagno legate alla commercializzazione delle proprie composizioni, grazie alla fiorente industria tipografica di Amsterdam e in particolare all'officina di E. Roger (poi Roger-Le Cène), che coniugava la qualità tecnica con l'efficacia della rete di distribuzione a livello europeo.
I rapporti del L. con tale casa editrice avevano preso avvio con la pubblicazione dei Concertigrossi, op. I nel 1721, quando il L. si trovava ancora a Roma. All'inizio del suo soggiorno ad Amsterdam (agosto 1729), il L. dovette curare personalmente la ristampa della sua op. I: il 2 settembre infatti compariva un'inserzione di Le Cène nella Gazette d'Amsterdam, che annunciava l'uscita di una nuova edizione dell'opera, in cui figurano correzioni e modifiche testuali. Negli anni seguenti furono pubblicati a spese di Le Cène i concerti de L'arte del violino, op. III (1733), le Introduttioni teatrali e i Concerti dell'op. IV (1735); il L. stampò invece a proprie spese le raccolte di sonate, di mole più ridotta, ovvero le opere II (1732), V (1736), VI (1737) e VIII (1744). Per i propri lavori nei Paesi Bassi aveva infatti ottenuto, nel 1731, il privilegio di stampa che lo tutelava da edizioni "pirata" nel territorio olandese e della Frisia occidentale per quindici anni, e che gli fu rinnovato nel 1746. Solo per la stampa delle opere orchestrali il L. trasferì il privilegio a Le Cène (per le opere III e IV) e, più tardi, a Van der Hoeven di Leida (per l'op. VII). La gran parte delle sue opere uscì tuttavia anche in diverse edizioni non autorizzate, a Londra e a Parigi.
La collaborazione con Le Cène portò il L. a svolgere parallelamente consulenze e lavori di revisione per opere di altri compositori, come documentano, per esempio, sia la corrispondenza tra Le Cène e padre G.B. Martini, che voleva pubblicare alcune sonate, sia lo scambio epistolare tra Martini e il L. dopo la morte dell'editore (in particolare la lettera di Le Cène del dicembre 1741, la risposta di Martini del gennaio 1742, e la lettera del L. del luglio 1748, in Catalogo tematico…, cit., pp. 163 s., 254 s.). Si sa poi da inserzioni comparse in giornali locali che, almeno dal 1741, il L. vendeva presso la sua abitazione oltre che le proprie raccolte a stampa, anche corde romane per violino, viola, violoncello, viola da gamba e contrabbasso.
Accanto alle occupazioni in campo editoriale e al commercio di corde, il L. svolse ad Amsterdam una regolare attività concertistica. A quanto sembra, egli si esibiva settimanalmente in concerti privati ai quali, secondo il resoconto fornito da due gentiluomini inglesi che lo ascoltarono nel 1741, B. Tate e T. Dampier, non erano ammessi musicisti professionisti. Le testimonianze dei due inglesi mettono in risalto l'estrema facilità con cui il L. suonava il suo strumento (servendosi di un arco corto) e le straordinarie capacità tecniche esibite nell'esecuzione di pezzi virtuosistici; inoltre sottolineano lo sguardo intensamente teatrale con cui il L. apriva le sue esibizioni, la vitalità (nonché la furia) del suo modo di suonare. Sembra che, pur suonando molto armoniosamente, gli fosse caratteristico un suono "rude", tale da riuscire addirittura insopportabile a un orecchio delicato (Lustig 1763). La sua abilità, tuttavia, rendeva piacevoli i suoi "wild flights": inascoltabili, invece, se suonati da mani meno esperte (Burney).
Dalle dediche delle opere II e V si è a conoscenza che il L. svolse attività didattica, dando lezioni a esponenti dell'alta borghesia di Amsterdam (quali erano, appunto, i dedicatari delle opere citate, N. Romswinkel e M. Lestevenon). Del suo insegnamento, rivolto, sembra, perlopiù a esecutori dilettanti, approfittarono anche l'organista cieco J. Potholt (al quale il L. concesse sempre il privilegio di ascoltarlo nei suoi concerti) e Leclair, che, stando ai suoi biografi, coltivò rapporti con il L. durante le sue visite in Olanda per servire la principessa Anna d'Orange. Le molteplici attività cui il L. si dedicò nei trentacinque anni di permanenza ad Amsterdam gli permisero di vivere agiatamente e di frequentare i ceti benestanti della città.
Il L. morì ad Amsterdam il 30 marzo 1764. Lasciò una ricca collezione di libri, stampe e ritratti, strumenti e altri oggetti pregiati, che documenta gli interessi del proprietario, ma anche il prestigio sociale e il benessere raggiunti.
A eccezione di pochissimi brani di sicura attribuzione, traditi solo in veste manoscritta, il corpus di composizioni del L. oggi conosciuto consiste in opere orchestrali e cameristiche di vario genere, apparse in stampe curate dall'autore. I Concerti grossi op. I, scritti per parti di concertino e di concerto grosso, unica raccolta stampata dal L. quando ancora si trovava in Italia, furono composti negli anni romani. L'esplicito richiamo alla tradizione romana e in particolare al modello corelliano si manifesta nell'organizzazione formale della raccolta che accosta otto concerti privi di una specifica indicazione d'uso, ma orientati alla tradizione compositiva "da chiesa", a quattro per "camera", ricalcando la divisione che A. Corelli aveva adottato per i suoi Concerti grossi op. VI (esplicita anche nella comune scelta di terminare la prima parte con un concerto natalizio concluso da una Pastorale). Formalmente aderenti, molto più spiccatamente che quelli corelliani, all'impianto regolare della sonata d'assieme tardoseicentesca (in particolare i primi otto, di preferenza costituiti da quattro movimenti e caratterizzati dall'inclusione di uno o due tempi fugati), i concerti vengono costruiti, in accordo con consuetudini compositive diffuse in ambito romano e mutuate dalla tradizione vocale concertata e policorale seicentesca, secondo il principio dell'alternanza di brani "pieni", ovvero di esecuzione orchestrale o prevalentemente orchestrale, e "concertati", con passaggi o episodi solistici di volta in volta affidati a una o più parti di concertino. Nell'impiego di una scrittura volutamente misurata, priva di concessioni al virtuosismo violinistico, la raccolta aderisce complessivamente a un gusto strumentale che si innesca nella tradizione contrappuntistica dotta di ascendenza vocale, particolarmente coltivata in ambito romano. Al tempo stesso essa si segnala per il carattere innovativo e sperimentale di alcuni movimenti, nei quali viene fatto uso di combinazioni armoniche e sequenze accordali nuove, della scrittura enarmonica, e dove vengono sfruttate anche le possibilità melodiche delle progressioni di settime concatenate impiegate in funzione tematica.
Di segno completamente diverso è la successiva raccolta di concerti, l'op. III, programmaticamente intitolata L'arte del violino, che contiene lavori formalmente orientati al concerto di matrice norditaliana in tre movimenti e dominati dall'intervento solistico del primo violino. Secondo quanto il L. stesso rivela nella citata lettera al dedicatario, nella raccolta confluirono lavori eseguiti durante il soggiorno veneziano dell'autore e probabilmente composti nello stesso periodo (l'esplicito legame con Venezia potrebbe motivare in questo caso anche la scelta di un modello formale non più adottato in esclusiva invece nelle opere orchestrali successive). Peculiare è la presenza, nei movimenti allegri con cui si aprono e chiudono i singoli concerti, di un Capriccio (ad libitum) prima della cadenza che precede l'ultimo ritornello orchestrale, ovvero di un lungo intervento solistico destinato a far mostra delle capacità tecniche del violino principale, elaborato di volta in volta su un'idea o un motivo predeterminati. L'esibizione di posizioni alte ed estensioni della mano sinistra, di salti e corde doppie, di una varietà di arcate e artifici diversi che non figurano in tal forma nella letteratura musicale a stampa dell'epoca, suggerisce che il L. volesse conferire all'op. III un carattere tecnicamente esemplare, fornendo un saggio quasi paradigmatico delle possibilità tecnico-sonore del suo strumento e al tempo stesso del proprio virtuosismo strumentale.
L'op. IV raccoglie invece sei Introduttioni teatrali e altrettanti concerti stampati per parti obbligate e di ripieno. Dichiaratamente concepite come sinfonie d'opera (o introduzioni a lavori vocali), le introduzioni sono costituite da tre movimenti prevalentemente condotti a parti unite: i due esterni, di tempo allegro, incorniciano un movimento centrale, di andamento moderato, tonalmente contrastante. I cicli sono caratterizzati da una scrittura stilisticamente in linea con quelle che allora erano le più moderne tendenze nel campo della composizione strumentale. Il ricorso a gesti melodici plastici su bassi armonicamente statici in cui vengono utilizzati largamente accordi ribattuti, lo sfruttamento di profili ritmicamente movimentati, del ritmo lombardo, di abbellimenti e passaggi cromatici, della conduzione all'unisono, palesano la ricerca di effetti sonori brillanti, capaci di sottolineare il carattere allegro e festoso di tali musiche, stilisticamente lontane dalle elaborazioni polifoniche rappresentate nell'op. I. La seconda parte della raccolta riunisce concerti di vario impianto formale, in cui confluiscono spinte stilistiche e tradizioni locali differenziate. La diversa fattura e il contrastante carattere dei singoli cicli vengono messi in luce anche dalle didascalie esplicative che corredano parte dei concerti: l'VIII "ad imitatione dei corni da caccia" è contrassegnato dall'inclusione, nei movimenti allegri finali, di passaggi del primo violino che simulano l'idioma del corno da caccia, sfruttando la scrittura per terze e le doppie corde. Una serie di variazioni su un motivo di minuetto costituisce la peculiarità del concerto X, esplicitamente qualificato come "da camera"; l'impianto "da chiesa" dell'XI, scritto a cinque con due parti di viola, trova realizzazione in movimenti in cui vengono sfruttati la conduzione polifonica e fugata, il contrappunto sincopato o di legature, e una scrittura d'insieme simile a quella dell'op. I. Mentre il concerto IX presenta elementi stilistici comuni alle introduzioni teatrali, il ciclo che conclude la raccolta, strutturalmente affine al concerto solistico di impronta vivaldiana, si segnala per la presenza di quattro parti concertanti di violino. Nella giustapposizione di orientamenti stilistici "vecchi" e "nuovi" la raccolta mostra nel complesso un carattere stilisticamente composito, dovuto anche all'accostamento di lavori probabilmente composti in occasioni e tempi diversi.
L'ultima pubblicazione orchestrale pervenuta del L., l'op. VII, riunisce un ulteriore gruppo di sei concerti in cui si trovano sintetizzati elementi compositivi tradizionali e propri del nuovo idioma strumentale. Il posto di maggior rilievo spetta, nella raccolta, al concerto conclusivo, intitolato Il pianto di Arianna, costituito da dieci movimenti differenti nel carattere e nell'espressione, modellati sullo stile degli ariosi, dei recitativi e delle arie dei contemporanei generi vocali. L'articolata organizzazione formale, tesa a rappresentare, nei diversi movimenti, i contrastanti stati d'animo della protagonista e a proporre una lettura squisitamente strumentale di un topos della tradizione letteraria e musicale vocale, dà vita a un ciclo compositivo di grande carica espressiva; esso si inserisce nel filone della musica "rappresentativa", tradizionalmente coltivato anche in campo strumentale, ma, al tempo stesso, nel contesto delle contemporanee tendenze estetico-compositive, volte a valorizzare un linguaggio musicale espressivo e "naturalmente" cantabile.
Le pubblicazioni di sonate del L. includono composizioni scritte per uno o due strumenti soprani e basso e mostrano, come le musiche orchestrali, varietà di stile e di impostazione. Per flauto traverso e basso sono scritte le sonate op. II, che ben rappresentano lo stile cameristico e il nuovo gusto "galante" diffusi a partire dagli anni Venti. Il minuetto della sonata X divenne un pezzo in gran voga e fu utilizzato anche da C.Ph.E. Bach per un ciclo di variazioni. L'op. V raccoglie sei sonate a tre (per due violini oppure due flauti traversi), scritte attingendo a topoi compositivi consolidati (per es. la pastorale) e a un linguaggio che, radicato nella lunga tradizione strumentale del comporre a tre parti, si mostra parimenti attento alle nuove correnti di gusto e a un'espressività cantabile (per es. nei tempi di siciliana). In linea con gli orientamenti contemporanei, il dialogo concertante tra le parti superiori lascia il posto a una conduzione omofonica delle stesse, favorendo la cantabilità solistica del primo violino (o flauto). La raccolta si conclude, come l'op. II, con una sonata a canone, in cui è previsto l'intervento di due parti reali di clavicembalo.
Una scrittura di impronta spiccatamente violinistica e di maggior difficoltà tecnica caratterizza le quattro sonate a tre, incluse nell'op. VIII, tra le quali l'ottava emerge per la conduzione brillante delle parti d'arco concertanti e per modernità di stile e carattere. Le sonate per violino e basso dell'op. VI (nonché quelle della prima parte dell'op. VIII) rappresentano composizioni di grande impegno tecnico e compositivo. Aperte da un movimento di andamento lento o moderato, cui segue un tempo allegro in misura binaria, le sonate si concludono - a eccezione del finale della sonata XII, un Capriccio, prova di intonazione - con un tempo di variazioni su un'aria, o minuetto. Quest'ultimo costituisce la caratteristica formale più saliente di questi cicli, il cui impianto in tre movimenti (adottato quasi in esclusiva) segue un modello formale allora particolarmente attuale nel repertorio sonatistico. Nelle sonate, volutamente "moderne" per impostazione e stile, ornamentazione, dinamica e cadenze vengono notate con precisione; queste ultime sono infatti scritte per esteso, a differenza di quanto consueto nella diffusione musicale a stampa. Poiché il virtuosismo violinistico non va a discapito dell'equilibrio formale e della solidità compositiva, tali composizioni sono considerate un punto di arrivo nel percorso artistico del L. e furono particolarmente apprezzate anche dai contemporanei (Robbio di San Raffaele, Arteaga). Storicamente sono di grande interesse per seguire gli sviluppi della scrittura solistico-cameristica nel corso del Settecento e per delineare i primordi della forma della sonata classica.
Grazie alla loro circolazione a stampa, le opere del L. trovarono complessivamente una buona diffusione a livello europeo nel corso del Settecento. Dai contemporanei furono tuttavia espressi giudizi di segno non univoco sulla sua musica, ritenuta da un lato "defective in various harmony and true invention" (Avison), dall'altro ricca di gusto e fantasia e frutto di "a fund of knowledge in the principles of harmony" (Burney). Particolari critiche vennero mosse ai capricci per violino, considerati tecnicamente astrusi e musicalmente insignificanti. Proprio i capricci tuttavia, estrapolati dai concerti di appartenenza, rimasero a far parte del repertorio violinistico ottocentesco come esempio di estremo virtuosismo, fornendo materiale utile per lo studio e, al tempo stesso, per esibizioni tecniche mirabolanti.
La recente edizione critica ha messo a disposizione l'intera opera del L. e avviato i primi studi critici circostanziati e sistematici sulla genesi compositiva, sullo stile, sulla diffusione e sulla ricezione delle musiche del violinista. Sono state così poste le premesse per una valutazione storicamente più equilibrata della figura del L. compositore. Quantunque disuguale e a tratti eclettica, la sua produzione strumentale conta lavori di pregevole fattura, che rivelano, nella personale rielaborazione di elementi compositivi ereditati dalla tradizione e nella sperimentazione di nuove possibilità sonore, non solo solide capacità compositive ma anche gusto e originalità di concezione. Nella varietà e nella sintesi di sfaccettature stilistiche differenziate, l'opera locatelliana appare emblematica delle diverse spinte stilistiche che caratterizzarono la produzione strumentale dei primi decenni del Settecento e riflette, parallelamente, i mutamenti sul piano estetico e compositivo che interessarono la musica italiana ed europea nel corso del secolo.
Composizioni strumentali (tutte pubblicate ad Amsterdam, salvo diversa indicazione): XII concerti grossi a quattro e a cinque, op. I (1721; rist. 1729); XII sonate a flauto traversiere solo e basso, op. II (1732; rist. 1737, 1752); L'arte del violino. XII concerti: cioè violino solo con XXIV capricci ad libitum, op. III (1733; ried. 1733-43); Parte prima: VI introduttioni teatrali; parte seconda: VI concerti, op. IV (1735); Sei sonate a tre, o due violini o due flauti traversieri, e basso per il cembalo, op. V (1736); XII sonate a violino solo e basso, op. VI (1737; ried. 1737-41); VI concerti a quattro, op. VII (Leida 1741); X sonate, VI a violino solo e basso, e IV a tre, op. VIII (1744; 1752); Sei concerti a quattro, op. IX (1762; perduta).
Composizioni strumentali manoscritte: sonata in sol minore per violino e basso continuo (post 1732 - probabilmente ante 1738; Uppsala, Biblioteca universitaria, Leufsta Mus., 4); sinfonia in fa minore per due violini, viola e basso "composta per l'esequie della sua donna che si celebrarono in Roma" (Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, Musik-Hs., 259); concerto in la maggiore per violino principale, due violini, viola e basso (Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus., 2458-O-1; Stoccolma, Biblioteca musicale statale, Mss., VO-R); concerto in mi maggiore per violino principale, due violini, viola e basso (1730 circa; Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus., 2458-O-2).
Il corpo delle opere a stampa e i lavori di sicura attribuzione del L. sono editi in: P.A. Locatelli, Opera omnia, ed. critica a cura di A. Dunning, I-X, Mainz 1994-2002. Per un elenco dettagliato delle composizioni perdute e di dubbia attribuzione si rimanda ibid., X, Catalogo tematico…, cit., e a Die Musik in Geschichte und Gegenwart, ad vocem.
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