CORRADI, Pietro Antonio
La data di nascita, non provata, del 1613 non discorda con l'attività pubblica, iniziata negli anni '40 e conclusa nel 1680 sempre a Genova, di questo architetto citato come comasco.
Nelle Vite del Soprani non è inclusa la biografia del C. ancora attivo nel 1668, alla data di edizione di quest'opera da cui le biografie degli artisti viventi erano programmaticamente escluse. Dispiacque allo storico contemporaneo "per la molta virtù sua" tacere di un architetto operoso in anni di scarsa concorrenza; ne fa cenno nella vita di Bartolomeo Bianco per l'ampliamento del palazzo Balbi Senarega, e in quelle di R. Lurago e G. Gandolfo per un intervento nella fase progettuale dell'Albergo dei poveri (Soprani-Ratti, 1768).Qualche dato sulla sua attività pubblica ci fornisce F. Alizeri (1865)in margine ai regesti degli "architetti camerali" e poche note, frammiste a ipotesi attributive, si possono trarre dalla sua Guida (1875).La ricerca documentaria ha permesso di ricostruire solo in parte, e non senza discussioni, la sua attività al servizio di privati.
Fu a bottega da B. Bianco presumibilmente fino alla morte di quest'ultimo (1641 c.); quindi, quotato da un tale apprendistato, esordì in opere pubbliche. Nel 1643, con Ottavio Co[r]radi (pittore), progettò il "barchile" a Ponte Reale, realizzato tre anni dopo da G. B. Orsolino e conosciuto come fontana del Genio marino (la statua è di I. Garvo), ora situata in piazza Colombo. La commissione per questa fonte, che riforniva d'acqua le navi in porto, è rivelatrice della sua prima attività di tecnico, specializzato anche in opere idrauliche. Il 28 nov. 1647 fu nominato architetto camerale in luogo di Francesco da Novi, assente. Nel 1650 gli venne commesso il viadotto dell'acquedotto a Molassana, ma fu impiegato anche al Molo Nuovo e a rafforzare gli argini del Bisagno. Nel 1654 iniziò una collaborazione con il nuovo architetto camerale G. B. Costanzo che durò fino agli anni estremi della sua attività. A partire dal 1655 costruì i magazzini del Porto franco (abbattuti parzialmente in questo secolo) in collaborazione con G. B. Garré e G. B. Torriglia.
In questi anni operava al servizio della Magistratura urbanistica, ma intervenne anche nelle grandi opere caritative realizzate con finanziamenti privati. In questa attività semipubblica si trovò a collaborare con tutti i migliori architetti operanti in loco alla metà del secolo. Nel 1652 progettò il monastero nuovo degli olivetani di S. Stefano (demolito per il piano espansivo delle aree centrali alla fine del secolo scorso) sotto il patrocinio del card. Stefano Durazzo. Nel 1655 progettò con Gerolamo Gandolfo e Antonio Torriglia il seminario, ancora su commissione del Durazzo, a Porta degli Archi, poi ampliato nel 1841 su progetto di G. Gardella. Contribuì al finanziamento Emanuele Brignole, promotore nel 1653 di una deputazione alla "fabbrica" dell'Albergo dei poveri, che l'anno seguente fu dichiarata "opus publicum". Concorsero con progetti separati il C., G. Gandolfo, G. B. Ghiso e A. Torriglia. Secondo una fonte non più direttamente reperibile (cfr. Banchero, 1846), l'architetto S. Scaniglia fu incaricato del disegno definitivo che doveva condensare le quattro proposte. Il C. sarà ancora all'Albergo dei poveri nel 1676 per una stima di quanto rimaneva a compiersi ordinata dal Magistrato dei poveri.
Nel 1656 fu incaricato dalla Magistratura urbanistica dei Padri del Comune con altri sette maestri architetti (G. B. Garré, S. Scaniglia, G. B. Bianco, A. Torriglia, G. B. Ghiso, G. B. Storace, G. B. Torriglia) di rilevare il Modello o sia pianta della città entro le mura "vecchie" rinforzate nel 1536. Si tratta del primo allievo ufficiale della città che si conosca, datato al 21 dic. 1656 (Genova, Collezione topografica del Comune). È l'ultima opera di grande collaborazione; nella peste del 1656-57 morirono quasi tutti i protagonisti rimasti oscuri di due decenni almeno di architettura locale dopo la morte di B. Bianco.
D'altronde si assiste proprio in questi anni ad un rilancio dell'impresa privata di cui si fece promotore Francesco Maria Balbi, che aveva ereditato da Giacomo e Pantaleo Balbi (padre e zio) un sostanzioso patrimonio, nonché il palazzo al n. 4 di via Balbi (pal. Balbi Senarega).
Conosciamo il prospetto e la pianta originaria (pubblicate ne I palazzi di Genova del Rubens, senza l. né d. ma Anversa 1622)di questo edificio progettato da B. Bianco nell'anno 1618. Per il C. veniva a porsi come un'eredità naturale l'incarico del completamento del palazzo e del suo ampliamento.
Ad intervento ultimato il blocco cubico dell'edificio, ancora di tipo alessiano, fu trasformato in una costruzione aperta ad U sul lato sud. Lo sfondamento perimetrale su questo lato, in corrispondenza di piazzetta del Roso, fu determinato a partire dal 1645 dalla realizzazione di un giardino pensile, racchiuso da un grande ninfeo sul fondo. Sui lati del giardino avancorpi simmetrici su due piani prolungarono i fianchi del palazzo negli anni fra il 1656 e il '58 (non compaiono ancora nel rilievo urbano del 1656, ma le sale dell'ala est furono affrescate da V. Castello morto nel 1659). Il C., inoltre, adeguò le strutture esistenti al nuovo sviluppo assiale dell'edificio, diradando le colonne del porticato anteriore e aprendo direttamente il cortile sul giardino, sì da consentire la massima continuità e trasparenza dal portico fino al ninfeo.
Per questo nuovo sviluppo dei palazzi genovesi nel '600 l'Alizeri (1875) parla di "quel fare lombardo che a metà dei sec. XVII fé tanto onore e procacciò tanti inviti al Corradi ed al Bianco" (p. 31). In realtà il superamento del modello alessiano accentrato intorno allo sviluppo verticale portico-scala-loggiasalone e il recupero di spazi porticati e aperti in profondità concludono una ricerca avviata già nel '500 (G. B. Castello e G. Ponzello), stimolata da problemi tecnici di dislivelli e giardini e radicata nella cultura locale.
Non è documentata la partecipazione progettuale del C., certo probabile, al nuovo palazzo Balbi (via Balbi, n. 6; poi pal. Raggio) fatto costruire da Francesco Maria dopo il 1658 di fronte al Collegio dei gesuiti (attuale palazzo dell'università). Le strutture originarie sono comunque ampiamente mascherate da un massiccio intervento del secolo scorso. Non gli si può attribuire con certezza neppure il progetto della chiesa dei Ss. Gerolamo e Francesco Saverio (ora Biblioteca universitaria) fatta edificare dallo stesso magnifico committente dopo il 1654. Si sa però che il C., verso la fine degli anni '60, acquistò credito anche per nuove commissioni di architettura religiosa. Negli anni 1669-70 progettò la nuova sistemazione del coro della chiesa di S. Francesco da Paola per Veronica Spinola, che ne aveva il giuspatronato. Allegati al concordato, (Genova, Arch. stor. comunale, not. O. Castiglione, 11 luglio 1669) si conservano i disegni progettuali, in parte variati nell'esecuzione, con pianta e sezione dell'opera firmati dal C. e da L. Carlone che compare come impresario e capo d'opera. Nel 1673 il C. sarebbe intervenuto nella fase progettuale iniziale della chiesa di S. Filippo secondo un documento visto da M. Labò nell'Archivio dei filippini, attualmente non controllabile. A meno convincente, oltre che non documentata, l'attribuzione tradizionale al C. della chiesa di nostra Signora della Consolazione, oltretutto anacronistica.
Nell'ottavo decennio proseguì con successo la sua attività al servizio di grandi committenti privati. Nel 1671 è indicato come capo d'opera nella ristrutturazione del palazzo di Gian Carlo Brignole, ora Brignole-Durazzo, situato al limite ovest di Strada Nuova, ma edificato prima del suo tracciamento.
Si conservano (Comune di Genova, Racc. topografica) otto planimetrie dell'intervento seicentesco su questo palazzo, in parte poi modificato da un'ulteriore ristrutturazione contemporanea all'apertura di Strada Nuovissima (via Cairoli, 1778).
Il C., sostituendo colonne alle pareti divisorie, rese più aperto il vano d'ingresso con accesso fino al sec. XVIII dal vicolo S. Maria degli Angeli opposto all'attuale prospetto principale. Ma soprattutto privilegiò il piano soprastante (attuale pianterreno) a livello del giardino e di Strada Nuova. Qui il lungo atrio colonnato, che distribuisce i raccordi verticali col piano d'ingresso e il piano nobile, realizzi dalla loggia del prospetto sud fino al portico aperto sul giardino una continuità spaziale liberamente variata dai giuochi delle colonne. Anche al piano nobile un lungo canocchiale visivo attraversava in profondità tutto l'edificio dalla terrazza sud al salone affacciato sul giardino.
A partire dal 1671 il C. iniziò anche la costruzione del palazzo dei fratelli Ridolfo Maria e Giovanni Francesco Brignole Sale (attuale Palazzo Rosso, passato in donazione al Comune di Genova nel secolo scorso), in Strada Nuova vicino a quello del cugino Gian Carlo Brignole.
Quest'opera prestigiosa fu attribuita da Labò (1921) al C. che risultava arbitro in un contratto coi mulattieri per il trasporto dei materiali di cantiere. L'attribuzione fu in seguito contestata dalla Marcenaro (1961) che la riconobbe a M. Lagomaggiore il quale compare come capo d'opera ampiamente retribuito nel libro mastro di spesa della costruzione del palazzo. La soluzione più attendibile della controversa questione vuole il C. architetto e il poco noto Lagomaggiore esecutore (Colmuto, 1967). Si sarebbe ripetuta cioè la situazione già verificata nella ristrutturazione del presbiterio di S. Francesco da Paola, con una distinzione dei ruoli di progettista e impresario capo d'opera che nel '600 si va facendo sempre più netta rispetto al secolo precedente. Ci sono comunque incontestabili ragioni stilistiche a favore di questa tesi.
A Palazzo Rosso viene esattamente riproposta la pianta ad U di palazzo Balbi-Senarega con la diretta continuità atrio-cortile-giardino e le doppie campate del porticato anteriore che allungano in profondità lo spazio del cortile ed esaltano lo sviluppo assiale dell'edificio.
Inoltre l'intervento progettuale a Palazzo Rosso potrebbe essere legato ai contemporanei impegni del C. quale urbanista alle dipendenze della Magistratura pubblica. Nel 1670 fu infatti incaricato del progetto e relativi computi finanziari per la creazione di un percorso che unisse le mura del Molo a Carignano e di qui a S. Tomaso attraversando le "strade nuove". Appare naturale che si occupasse anche dei palazzi dei Brignole Sale e di Gian Carlo Brignole collocati in un'area di raccordo non ancora programmata di questo itinerario di attraversamento, completato dal Petondi nel secolo successivo.
Nel 1674 il C. si occupò degli estimi per il tracciamento di via Giulia e collaborò con l'architetto camerale fino al 1680. Morì a Genova il 25 genn. 1683 (Genova, parrocchia di Nostra Signora del Carmine: Liber mortuorum, ad annum).
Si può concludere che la presenza costante del C. nell'attività e nella cultura architettonica e urbanistica a Genova dei quarant'anni centrali del sec. XVII, in committenze sia pubbliche sia private, ha imposto una fitta trama di collaborazioni ed aiuti che, se per un verso rischia di oscurarne la personalità e rende ardua la ricostruzione del suo curriculum, d'altra parte ne rivela ed esalta il ruolo insolito di regista e supervisore.
Fonti e Bibl.: R. Soprani-C. G. Ratti, Dellevite de' pittori, scultori e architetti, I, Genova 1768, pp. 420, 434, 438; G. Banchero, Genovae le due riviere, Genova 1846, p. s n. 1; F. Alizeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria, I, Genova 1865, pp. 57, 62, 68; Id., Guida illustrativaper la città di Genova, Genova 1875, pp. 31, 42 s., 460, 468; M. Labò, Studi di architett. genovese. Pal. Rosso, in L'Arte, XXIV (1921), pp. 139-51; G. A. Musso, Il card. S. Durazzo, Roma 1959, p. 225; C. Marcenaro, Una fonte barocca perl'architettura organica: il Palazzo Rosso, in Paragone, XII (1961), 139, p. 26; G. Colmuto, Profilo stor.-crit. di Palazzo Rosso, in Genova, Strada Nuova, Genova 1967, pp. 239 s., 281 s.; E. Poleggi, Strada Nuova, una lottizzazione delCinquecento a Genova, Genova 1968, pp. 361-65; M. Labò, I palazzi di Genova di P. P. Rubense altri scritti di architettura, Genova 1970, pp. 132-39, 144-49; P. L. Pancrazi-G. V. Castelnovi, La basilica di S. Francesco da Paola, Genova 1971, pp. 54 s.; E. Parma Armani, L'Albergo dei poveri, Genova 1978, pp. 4, 7; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 455.