CARACCIOLO, Pietro Antonio
Nacque da Giovan Francesco, l'illustre rappresentante del petrarchismo napoletano del Quattrocento, e da Carmosina, figlia di Pirro de Rao (B. Croce, Giovan Francesco Caracciolo, in Aneddoti di varia letteratura, I, Napoli 1942, p. 93). Delle vicende biografiche del C. tutto ci è ignoto; la data della sua nascita solo congetturalmente può essere fissata intorno al 1460, poiché il padre nacque circa il 1437 e l'attività letteraria del C. si colloca approssimativamente tra l'ultimo decennio del sec. XV e il primo ventennio del successivo.
Merita appena di essere menzionata l'identificazione proposta da F. Palermo (I manoscritti palatini di Firenze, II, Firenze 1860, p. 590), e a ragione respinta dal Torraca (pp. 66 s.), del C. con Marc'Antonio Epicuro. L'equivoco, nato dal fatto che alcune stampe della Cecaria indicano erroneamente l'autore come Epicuro Caracciolo (M. A. Epicuro,I drammi e le poesie italiane e latino, a c. di A. Parente, Bari 1942, p. 225), ha dato luogo anche a un'altra abusiva identificazione: quel prolifico improvvisatore girovago del Cinquecento che va sotto il nome di Notturno Napoletano e del quale nulla si sa di sicuro (cfr. C. Dionisotti, Appunti sulle rime del Sannazaro, in Giorn. stor. della lett. ital., CXL [1963], p. 197 n. 2) viene infatti, del tutto gratuitamente, identificato talvolta in alcuni cataloghi (cfr. per es. M. Sander, Le livre à figures italien(1467-1530), I, Milano 1942, pp. 298-307) con Antonio Caracciolo e, nonostante il prezioso articolo di E. Percopo (Marc'Antonio Epicuro, in Giorn. stor. della lett. ital., XII [1888], pp. 1-76), confuso ancora con l'Epicuro. Errata è pure l'identificazione di G. M. Monti (Le villanelle alla napoletana e l'antica lirica dialettale a Napoli, Città di Castello 1925, p. 339) che vuole sia Pietro Antonio quel Caracciolo che, presente alle nozze di Ferrante II d'Aragona e dell'infanta Giovanna celebrate a Somma nel 1496, colse le allusioni politiche contenute nella canzone Io te canto in discanto recitata durante la festa nuziale. Infatti il documento che ci ha serbato la notizia, cioè il commento alla canzone citata, è non solo opera tarda di un cinquecentista, databile tra il 1553 e il '55 (Monti, p. 336), ma il fatto che quel Caracciolo sia citato terzo dopo il Sannazaro e il Pontano lo fa subito riconoscere per il padre del C., Giovan Francesco che all'interno dell'Accademia Pontaniana formava, col Sannazaro e il Cariteo (presenti anch'essi alla festa), la triade dei poeti in volgare (cfr. le testimonianze raccolte da R. Renier, Notizia di un poema inedito napolitano, in Giornale storico della letteratura ital., VIII [1886], p. 257).
Il C. fu autore di farse in endecasillabi con rima al mezzo, che per il metro (frottola o gliommero) e il colorito senso della realtà più umile precorrono quelle che nel sec. XVI saranno dette, dagli abitanti di Cava dei Tirreni protagonisti di molte di esse, "cavaiole". Di queste i primi documenti che ci siano rimasti sono la Ricevuta dell'Imperatore alla Cava (pubblicata in Torraca, Studi..., pp. 445-470) composta poco dopo il 1535, anno in cui Carlo V, reduce dall'impresa di Tunisi, passò da Cava per recarsi a Napoli, e, forse di quegli stessi anni, comunque dei primi decenni del sec. XVI, il caricaturale cartello di sfida che primo il Rossi riconobbe per "cavaiolo" (V. Rossi, Un cartello di sfida... cavaiola, in Scritti di critica letteraria, III, Firenze 1930, pp. 243-248). Sono queste le prime attestazioni di un genere che, se a un estremo culmina, tra Cinque e Seicento, nella produzione del salernitano Vincenzo Braca (cfr. F. Torraca, Le farse cavaiole, in Studi..., pp. 83-116), all'altro fonda le sue radici appunto alla corte aragonese di fine Quattrocento. Nata in quell'ambiente cortigiano al quale apparteneva il C., che, in una farsa ora perduta, aveva portato sulla scena due abitanti di Cava, la cavaiola, ben lontana dal trarre le proprie origini dall'antica atellana come si è di recente sostenuto (D. Apicella, Introduzione alle Farse Cavajole, Cava dei Tirreni 1970) riprendendo sbrigativamente una vecchia ipotesi avanzata già nel Cinquecento (cfr. il passo del Minturno riferito dal Palermo, p. 590), è la rappresentante, nel Mezzogiorno d'Italia, della tradizione colta di poesia rusticale (cfr. G. Contini, La poesia rusticale come caso di bilinguismo, in Accad. naz. dei Lincei, Atti del convegno sul tema: La poesia rusticana nel Rinascimento, Roma 1969, p. 51).
Le farse del C., scritte tutte nel metro della frottola e in una lingua che il Croce (I teatri di Napoli, Napoli 1891, p. 19) ebbe a definire "dialetto bastardo", furono giudicate dal Torraca (pp. 75 s.) superiori, per vivacità e immediatezza di rappresentazione, a quelle "letterarie" dei contemporanei Antonio Ricco, Serafino Aquilano e Sannazaro. Solo una purtroppo ce ne è rimasta intera, quella dello Imagico, conservata (con farse del Sannazaro, di Giosuè Capasso e di anonimo) dal ms. Ital. 265 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (cfr. Torraca, Farse napoletane del Quattrocento, in Studi, pp. 263-298), donde la pubblicò il Torraca medesimo (in Studi, pp. 427-444); ed è una farsa dove l'apparato mitologico e filosofico da dialogo dei morti (il mago evoca con le sue arti le ombre di Aristippo, di Diogene e di Catone che, giunti in scena sulla barca di Caronte, espongono le loro teorie) serve in ultimo all'elogio di re Ferrante I, al cui cospetto essa fu recitata dall'autore stesso nelle vesti del protagonista. Delle altre, conosciute dai letterati napoletani del Settecento (Galiani, Napoli-Signorelli) attraverso un manoscritto ora perduto ma allora in possesso di un abate (che il Napoli-Signorelli dice essere G. Cestari), ne dette conto nella lettera VIII della Raccolta di lettere scient. ed erudite dirette dall'Ab.** a diversi suoi amici (Napoli 1780), ci sono restati solo i titoli e alcuni frammenti della Cita (nonché dell'Imagico) riportati dal geloso possessore del manoscritto nella sua lettera. Di lì furono ristampati dal Torraca (pp. 70-75) che era stato però preceduto di molto da un periodico napoletano, Il Dottor Manchella (31 luglio 1841), - sfuggito alle sue indagini - dove erano apparsi i frammenti senza indicazione di provenienza; tuttavia le discrepanze tra il testo del Torraca e quello del periodico, indicate da M. Scherillo che per primo lo segnalò (Per le "Farse" di P. A. C., al ch. prof. C. M. Tallarigo, in Giorn. napoletano di filos. e lettere,scienze morali e politiche, n.s., II [1879], pp. 347 s.), non sembrano tali da far pensare che l'anonimo trascrittore attingesse a una fonte diversa da quella del Torraca. Il C. recitò personalmente alcune delle sue farse alla presenza di alti personaggi della corte napoletana; oltre all'Imagico, sappiamo dai titoli che la farsa in cui egli appariva "sotto vestigio di Garaldo" fu recitata davanti al duca di Calabria (forse Alfonso), mentre per il futuro Ferrante II quando era ancora duca di Calabria, e cioè tra il 1494 e il '95, recitò quella del Malato,con tre medici,un garzone e una magara affattocchiara e infine per la Sanseverino, principessa di Bisignano Insenise scrisse e interpretò la "farsa in persona di uno turcomanno"; per l'affinità del tema il Croce opinò (I teatri..., p. 16 n.) che anche la farsa del Sannazaro giunta fino a noi col titolo Ambasciaria del Soldano esplicata per lo interpetre fosse dedicata alla medesima gentildonna. Della Farsa di una cita, lo cito, una vecchia, uno notaro, lo preite con lo yacono et uno terzo ci sono restati, come si è detto, alcuni brani, tra i quali merita ricordare il contratto di nozze, per la data che vi compare, 7 febbr. 1514 (Torraca, p. 73); questa farsa parve al Croce di genere affine a quella, anonima, del padre che si presenta a Messer baglivo, da lui edita dal ms. 2752 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (I teatri di Napoli, pp. 19 s., 667-672). I titoli delle altre sue favole sono: Farsa del mercatante che vende due schiavi,uno masculo et una femina; Farsa del malato,la matre e due famigli con un medico e un prattico; Dialogo di due pezzenti; Colloquio di un villano,due cavaiuoli e uno spagnuolo; Un medico,un villano e la mogliere del villano; Quattro villani che acconciano le loro mogli con altri.
Bibl.: F. Torraca, P. A. C., in Studi di storialetter. napoletana, Livorno 1884, pp. 65-81; E. Malato, La poesia dialettale napoletana, I, Napoli 1959, pp. 37-42; F. Galiani, Del dialetto napoletano, Roma 1970, pp. 113-115; Farse cavaiole, a cura di A. Mango, I, Roma 1973, pp. 2-6, 20-22, 24, 27 s.