ANTONELLI, Pietro
Nato a Roma il 29 apr. 1853 dal conte Luigi e nipote dei cardinale Giacomo, segretario di stato di Pio IX, trascorse una giovinezza frivola, che lo tenne lontano da regolari e ordinati studi. Stanco della vita condotta fino allora e, soprattutto, deluso da una infelice passione per l'artista russa Maria Baèkirceva (1860-1884), a 26 anni abbandonò l'Italia, trascinato anch'egli dalla risonanza della "grande spedizione" africana della Società geografica italiana, per raggiungere allo Scioa il marchese O. Antinori, al quale la madre lo aveva raccomandato caldamente. Aggregatosi alla carovana del capitano S. Martini Bernardi, che era ritornato in patria per rifornirsi di armi e di mezzi, nel marzo 1879 s'imbarcò a Livorno sul regio avviso "Rapido" insieme con G. M. Giulietti, e il 20 aprile sbarcava a Zeila, dove la spedizione fu costretta a fermarsi a lungo per il sorgere di sempre nuove difficoltà. Stanco d'attendere, e anche urtato dal carattere autoritario e angoloso del Martini, l'8 luglio abbandonò Zeila e col Giulietti tentò di raggiungere lo Scioa con una piccola carovana; ma, nella località di Gialelo, assalito dagli indigeni, si salvò a stento dalla morte e fu costretto a fare ritomo alla costa, mentre il compagno abbandonava la spedizione per tentare da solo la via del Haràr. Soltanto il 6 ottobre la carovana Martini-Antonelli, superati finalmente gli ostacoli, poteva partire per l'interno. Il 22 novembre era a Farré e il 14 dicembre ad Ancober; ma l'arrivo dell'A. allo Scioa era amareggiato da un doloroso incidente accaduto in pieno deserto, per un colpo di rivoltella sfuggitogli dalla fondina, che gli lasciò a lungo il braccio destro semi-paralizzato, e dal quale non riuscì mai a rimettersi del tutto.
Dal novembre 1879 al novembre 1881, quando ritornò alla costa con A. Cecchi attraverso il Haràr, l'A. soggiornò allo Scioa e sotto la guida dell'Antinori si diede a studiare l'ambiente che lo circondava, percorrendo i territori limitrofi e facendo le prime raccolte scientifiche; e nei dolorosi dissidi, che funestarono la spedizione ai laghi equatoriali e divisero l'Antinori dal Martini, egli fu accanto al primo e lo difese, anche dopo la morte, in una lunga vertenza trascinatasi fino al 1889 e oltre. Nella quiete di Lèt Marefià (la stazione geografica donata da Menelik all'Antinori come "luogo di riposo"), a quotidiano contatto col marchese Antinori e in una realtà irta d'incognite per lo Scioa e ogni giorno sempre più difficile e sfavorevole alle prospettive di penetrazione commerciale italiana, l'A. incominciò a gettare le basi di un ardito e ambizioso piano d'espansione africana, basato sull'assistenza armata a Menelik e sull'appoggio a oltranza alle sue aspirazioni indipendentistiche contro l'imperatore Giovanni IV, allo scopo di legare indissolubilmente il sovrano scioano all'Italia e di costituire a questa una posizione di preminenza in Etiopia e nell'Africa Orientale.
Elaborato dal conte con giovanile baldanza e condotto avanti con rabbioso accanimento, senza che mai un dubbio lo sfiorasse, senza garanzie, nonostante la condotta equivoca e contradittoria di Menelik, senza mai chiedersi se l'Italia potesse sopportare il peso d'una politica di conquista in regioni lontane e impervie, senza ascoltare consigli e critiche, il piano presupponeva un illusorio fondamento: un Menelik docile strumento della volontà dell'A. e un abbandono cieco di lui nelle mani dell'Italia, cosa che non solo non era nel carattere del re, temperamento subdolo e temporeggiatore per eccellenza, ma neppure nell'interesse suo e del paese, oltre a essere in contrasto con la tradizione e la millenaria storia dell'Abissinia stessa. Ma ancora più grave era la mancanza assoluta d'una qualsiasi alternativa politica in caso di fallimento; il sacrificio, sull'altare dell'amicizia "scioana", di preziose occasioni d'estendersi in Africa Orientale senza colpo ferire (come la conquista del Haràr, dopo il massacro della spedizione Porro) e dei vantaggi, più modesti, è vero, ma più sicuri e a portata di mano, offerti al paese dalla politica "tigrina" del comando di Massaua; e la battaglia, senza esclusioni di colpi, condotta dall'A. per scalzare influenze e posizioni economiche di compatrioti e di viaggiatori stranieri (in primo luogo l'ing. Alfred Ilg, che più tardi doveva sostituirlo nell'animo di Menelik), i quali al momento del bisogno gli furono tutti irriducibilmente avversari.
Prime manifestazioni concrete di codesta politica furono un contratto stipulato con Menelik il 27 marzo 1881, e approvato e raccomandato dall'Antinori al governo, per l'acquisto in Italia di duemila fucili Remington, e l'apertura d'una nuova via commerciale attraverso la Dancalia, l'Assab-Aússa-Scioa, al di fuori di qualsiasi controllo di terze potenze, attraverso la quale il re dello Scioa poteva ricevere tutte le armi di cui aveva bisogno. Rientrato in Italia ai primi dell'82, il 27 agosto dello stesso anno, presi a Roma gli opportuni accordi, l'A. salpava nuovamente per l'Afrita. Il 10 genn. 1883 con una grossa carovana s'inoltrava nella Dancalia seguendo una strada fino allora inesplorata; il 15 marzo firmava una convenzione con l'anfàri d'Aússa - agli italiani erano concessi libertà di spostamento in tutto il paese e l'uso della terra di Ablis per una stazione commerciale, e le loro carovane da e per il mare avevano garantita la sicurezza della via tra Assab e lo Scioa ed erano esentate da dazi e tributi - e il 29 aprile, dopo 107 giorni di viaggio, entrava ad Ancober, festosamente accolto da Menelik. Il 21 maggio il successo dell'impresa veniva sanzionato ufficialmente dalla firma di un trattato d'amicizia e di commercio tra l'Italia e lo Scioa, della durata di 10 anni (rimasto praticamente inoperante, come tutti gli accordi firmati con Menelik), e dalla promessa d'inviare a Roma una speciale missione scioana per la ratifica del trattato. Sistemata la stazione di Lèt Marefià, nel dicembre l'A. rientrò in Italia, percorrendo la strada dell'Aússa in soli 27 giorni. Ai primi di febbraio del 1884 ripartiva per la terza volta con un carico d'armi e lettere e doni di re Umberto, insieme con il dottor V. Ragazzi, incaricato di raccogliere l'eredità dell'Antinori, e raggiungeva il re a Borumiedà, insistendo per il sollecito invio in Italia dell'annunciata missione scioana; ma non riuscì ad ottenere che promesse. È chiaro che Menelik non voleva inasprire i suoi rapporti con il negus Giovanni (il quale vedeva con sempre maggior sospetto i suoi stretti legami con l'Italia) e, preoccupato di conservare i proficui vantaggi dell'amicizia italiana, cercava di non compromettersi apertamente, tergiversando con mille pretesti. L'occupazione italiana di Massaua, considerata dall'imperatore un'offesa e un sopruso, aggravò ancora di più la situazione, tanto che l'A., avendo accompagnato il re al campo imperiale di Ciaffa, ricevette l'ordine di prendere la via del Tigré; ma rifiutò e, rientrato allo Scioa, riempì il vuoto della forzata inazione con lunghe escursioni geografiche al vulcano Dofane, nel gruppo dell'Assabot, nella regione del Meccià e del Uollo Galla, nel paese degli Arussi e dei Guraghe e sulle rive del lago Zuai, con L. Traversi.
Dopo Dogali, con l'avvento di Crispi al potere, il programma d'espansione africano dell'A. diventò il programma del governo, e il conte finì per diventare il rappresentante ufficiale e personale del nuovo ministro degli Esteri, del quale godeva piena fiducia e col quale entrò ben presto in grande dimestichezza. Nel conflitto, ormai in atto, tra l'Italia e l'Abissinia, l'atteggiamento dello Scioa aveva per Roma un peso determinante: di qui gli sforzi dell'A. per fare di Menelik un alleato contro il comune nemico, o, in caso disperato, per assicurarsi la sua benevola neutralità, in modo da costringere il negus a dividere le sue forze tra il fronte del sud e quello del nord; di qui nuovi invii di armi e promesse al re di più concreti soccorsi. A conclusione dei negoziati, il 30 ott. 1887 Menelik s'impegnava formalmente, contro la promessa di cinquemila fucili a serbare la neutralità assoluta in caso di guerra tra l'Italia e l'Abissinia; senonché l'impegno perdeva parte del suo valore di fronte alla pretesa del sovrano di mantenere segreta la convenzione, ciò che lasciava capire a chiare note, nonostante le illusioni dell'A., quanto fosse difficile credere alle sue promesse, ogni giorno sempre più vaghe e sfuggenti. La tensione con Menelik giunse a un punto tale che il Crispi, allarmato, diede ordine di trattenere ad Assab il carico d'armi promesso al re e il 16 maggio 1888 l'A. approvò senza riserve la decisione. Ma quando il 2 luglio Menelik, ormai disgustato del negus ritornò allo Scioa e chiese all'Italia diecimila fucili e quattrocentomila cartucce per ribellarsi, tutte le esitazioni caddero e il conte accettò di perorare a Roma la firma dell'accordo concluso con Menelik. Partito da Filoe il 13 luglio, il 6 agosto era ad Aden e pochi giorni dopo a Roma, dove elaborava con Crispi un trattato da sottoporre a Menelik, che riconoscesse all'Italia una posizione privilegiata in Etiopia. Alla fine di settembre l'A. era di nuovo sulla via dell'Africa, con l'intesa che quando Menelik si fosse trovato impegnato col negus le truppe italiane si sarebbero spinte sull'altopiano, occupando Asmara e Gura. Il 9 dic. 1888 all'Aússa firmava un nuovo trattato d'amicizia e di commercio con l'anfàri e il 26 genn. 1889 arrivava ad Addis Abeba con una carovana di circa 600 cammelli, accolto trionfalmente dal re e dalla corte. Il 20 febbraio lo schema di trattato, tradotto dall'alecà Josiéf Negasí, fu discusso e approvato dal sovrano; e, dopo la morte del negus in battaglia e l'assunzione di Menelik al trono di re dei re d'Etiopia, riesaminato di nuovo e modificato in più parti, ebbe il 2 maggio la sanzione imperiale nella pianura di Uccialli, nel Uollo Galla. Subito dopo la firma l'A. lasciava Entotto insieme con la missione scioana di deggiàc Maconnèn, che a Roma doveva procedere alla ratifica del trattato che, con l'art. 17, assicurava all'Italia il protettorato sull'Etiopia. Incaricato, dopo la firma della convenzione addizionale di Napoli del 1 ott. 1889, di discutere la delimitazione del confine tra l'Eritrea e il Tigré e di ottenere dal negus la linea strategica del Mareb (in dispregio di quella fissata a Napoli sulla base dell'uti possidetis), ai primi di dicembre l'A. salpava per la quinta volta dall'Italia con una missione ingrata e difficile, la quale doveva metterlo in urto col governatore della colonia, generale B. Orero, con Menelik, irremovibile sulle sue posizioni, e col Crispi stesso, quando, ebbe a respingere il confine di Sciket e la convenzione di Denghellèt del 20 marzo 1890, accettati dall'A. per evitare una rottura clamorosa con l'imperatore.
Ma ormai le nubi s'addensavano sul trattato di Uccialli e sull'avvenire della politica scioana del conte. Quando a metà del '90 l'imperatore, ormai saldo sul trono e ansioso di scrollarsi di dosso la tutela italiana, impugnò clamorosamente la validità giuridica del protettorato italiano, denunziando la discordanza tra i due testi dell'art. 17 (consente, secondo il testo italiano; può secondo quello amarico) e accusò pubblicamente l'Italia di averlo ingannato, l'A. fu nuovamente inviato in Etiopia, in missione straordinaria, nel disperato tentativo di ricondurre Menelik alla fede italiana. Giunto ad Addis Abeba il 17 dic. 1890, l'A. iniziò subito una serie di contatti, mostrando, però, insieme con la volontà di concludere le trattative con soddisfazione delle due parti, anche incertezza di propositi e una così superficiale considerazione degli impegni che via via andava prendendo, da rendere ancor più confusa la situazione. Le trattative, infine, per un tentativo di frode del negus nel documento d'accordo sull'articolo 17, e per la reazione dell'A. (il distacco del sigillo dal documento firmato, violando la rigida regolamentazione dell'emblema del potere), furono rotte dannosamente: il 12 febbr. 1891 l'A. ripartiva per la costa col Salimbeni, il Traversi e il Nerazzini. Così, nella sconfitta, si chiudeva l'avventura africana dell'A. Eletto deputato di Roma il 10 ag. 1891, battendo di pochi voti S. Barzilai, alla Camera sedé tra i fedelissimi di Crispi. Tornato il Crispi alla presidenza (15 dic. 1893), l'A. fu sottosegretario agli Affari Esteri fino al 21 giugno 1894 e riprese, di contro alla politica "tigrina" (ricerca di stabili accordi con ras Mangascià) e "sudanese" del Baratieri, la sua precedente politica "scioana", tentando senza successo di riaprire i negoziati interrotti con Menelik. Il risultato fu fallimentare: un contrasto operativo nell'ambito del governo (tra la politica degli Esteri, cioè l'A., e quella del ministro della Guerra), e il riavvicinamento tra ras Mangascià e Menelik.
Nominato ministro plenipotenziario a Buenos Aires (24nov. 1894), fu successivamente trasferito a Rio de Janeiro (21 nov. 1897), dove contrasse la febbre gialla, dalla quale non si riebbe interamente. Morì l'11 genn. 1901 a bordo del piroscafo che lo conduceva in patria.
Suoi scritti sono: Il mio ritorno dallo Scioa, in Nuova Antologia, s. 2, XVII (1882), pp. 741-752; Osservazioni meteorologiche raccolte tra Zeila e Denka, in Bollett. d. soc. geografica italiana, XVI (1882), pp. 425-433; Il mio viaggio da Assab allo Scioa, ibid., XVII (1883), pp. 857-880; Da Assab allo Scioa, in Nuova Antologia, s. 2, XVIII (1883), pp. 546-555; I territori dei Guraghé e le regioni vicine, in Bollett. d. soc. geografica italiana, XX (1886), pp. 804-806; Il primo viaggio di un europeo attraverso l'Aussa: diario (20 gennaio-27 aprile 1883), ibid., XXIII (1889), pp. 331-348, 526-549; Nell'Africa Italiana, in Nuova Antologia, s. 2, XXVI (1891), pp. 53-77; Menelik, imperatore d'Etiopia, Roma 1891; Taitù, imperatrice d'Etiopia, Roma 1891.
Fonti e Bibl.: Carte personali dell'A. (tra cui diari; lettere ai genitori; copia non autografa delle memorie, inedite) presso gli eredi in Roma; i carteggi ufficiali dell'A. relativi alle varie missioni diplomatiche in Etiopia si conservano nell'Arch. dell'ex ministero dell'Africa, Italiana, presso il Ministero degli Esteri (cfr. particolarmente le Pos. 2/2;5/1; 8/1; ecc.). Si vedano anche le carte di F. Crispi esistenti parte presso l'Arch. Centrale dello Stato, parte presso la Deputazione Siciliana di Storia Patria in Palermo; le carte Pisani Dossi presso l'Arch. Centrale dello Stato; le carte del conte A. Salimbeni nell'Arch. dell'ex ministero dell'Africa Italiana; le carte Traversi presso gli eredi in Roma; le carte Il9, presso il figlio dott. Felice, in Zurigo. Fondamentali le tre raccolte segrete di documenti diplomatici relativi alla politica africana dal 1888 al 1891 pubblicate (in soli 20 esemplari, a uso interno) dalla tipografia del ministero degli Affari Esteri: Etiopia, Roma 1890, pp. 386; Zanzibar, I, Roma 1890, pp. 340; Zanzibar, II, e Sudan, Roma 1891, pp. 279. Molti documenti diplomatici furono inoltre pubblicati, nel corso dei dibattiti parlamentari sulla politica africana, nella serie di volumi di Documenti diplomatici che va sotto in nome di Libri Verdi. Soprattutto importanti i volumi: Massaua (n. XVIII, Doc.), presentato alla Camera il 24 apr. 1888 (in particolare pp. 173 ss.); Etiopia, s. 1(n. XVI, Doc.), presentato alla Camera il 17 dic. 1889 (pp. 74 ss.); Etiopia, s. 2(n. XV bis, Doc.), presentato alla Camera il 6 maggio 1890; L'occupazione di Keren e dell'Asmara (n. XIV, Doc.), presentato alla Camera il 17 dic. 1889 (pp.3 ss.); La missione A. in Etiopia (n. XVII, Doc.), presentato alla Camera il 14 apr. 1891. Sull'A. cfr.: S. Martini Bernardi, Ricordo di escursioni in Africa dal 1878 al 1881; Firenze 1886, pp. 19 ss.; Id., Vertenza Martini-Antonelli, Firenze 1889; Eritreo [P. Toselli], Pro Africa Italica, Roma 1891 (risponde all'art. Nell'Africa Italiana dell'A.); [Gen. G. Gandolfi], La nostra politica africana, Imola 1895, pp. 21 ss.; A. Bizzoni, L'Eritrea nel passato e nel presente, Milano 1897, pp. 111-114, 160-168 e passim; [E. Cagnassi], I nostri errori. Tredici anni in Eritrea, Torino 1898, pp. 48-62, 95-104 e passim; F. Cardon, P. A., in Bollett. d. soc. geografica italiana, XXXV(1901), pp. 185-187; B. Orero, Ricordi d'Africa, in Nuova Antologia, CLXXV (1901), p. 201, 501-510, 669, 682; L. Traversi, Il conte P. A. e la politica scioana, in Riv. politica e letteraria, V(1901), pp. 82-97; L'Africa Italiana al Parlamento Nazionale, 1882-1905, Roma 1907, pp. 208 s., 305 s., 309, 317-321, e passim; C.Rossetti, Storia diplomatica dell'Etiopia durante il regno di Menelik II, Torino 1910, passim; Fr. Crispi, La prima guerra d'Africa, Milano 1914, pp. 54-111 e passim; C.Keller, Alfred llg, Frauenfeld 1918, pp. 53-74 e passim; A. Cahuet, Moussia, ou la vie et la mort de Marie Bashkirtseff, Paris 1926, pp. 49 ss. (nonché i Cahiers intimes inédites de M. Bashkirtseff, a cura di Pierre Borel, Paris 1925; trad. it., M. Baskirceva, La mia vita e la mia morte, I, Milano 1945, passim; G. Mondaini, Manuale di storia e legislazione coloniale del regno d'Italia, Roma 1927, pp. 51-56 e passim; T. Palamenghi-Crispi, L'Italia Coloniale e Francesco Crispi, Roma 1928, pp. 107, 116-125, passim; L. Traversi, Politica scioana, in Atti del I Congresso di Studi Coloniali, II, Firenze 1931, pp. 338-344; E. Bellavita, Adua, Genova 1931, pp. 66-68, 82-85 e passim; C. Zaghi, P. A esploratore, in Riv. delle Colonie, VI (1932), pp. 617-630; 707-716, 789-798; Id., A. e la nostra politica coloniale, in Rass. Italiana, XVI(1933), pp. 649-656; Id., Le origini della Colonia Eritrea, Bologna 1934, pp. 14-33 e passim; Id., La missione Maconnen in Italia, in Riv. delle Colonie, IX (1935), pp. 366-376; Id., P. A. e l'ambiente scioano nel diario inedito di Luigi Cicognani, in Nuovi Problemi, VI (1935), pp. 214-298; Id., Il diario inedito della spedizione Capucci e Cicognani in Abissinia attraverso l'Aussa nel 1885, in Bollett. d. soc. geografica italiana, LXIX(1935), pp. 571-573; L. Traversi, Il conte P. A., in Riv. delle Colonie, IX (1935), pp. 3-12; C. Conti Rossini, Italia ed Etiopia dal trattato di Uccialli alla battaglia d'Adua, Roma 1935, passim; E. Work, Ethiopia, a Pawn in European Diplomacy, New York 1936, pp. 51-141; C. Zaghi, La missione A. in Etiopia e il fallimento della politica scioana, in Rass. di politica internazionale, III(1936), pp. 473-485; Id., La marcia su Adua del generale Orero, in Rass. di politica internazionale, IV (1937), pp. 208-219; Id., Politica scioana e politica tigrina, in Rass. Italiana, XXI(1938), pp. 313-321; R. Ciasca, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano 1938, pp. 109 s.; L. Traversi, Let Marefià, Roma 1941, pp. 150-152, 231-233 e passim; C. Zaghi, Zeila e la mancata occupazione dell'Haràr, in Storia e Politica Internazionale, I(1941), pp. 71, 84; Il Ministero degli Affari Esteri..., Roma 1949, v. Indice; E. De Leone, Le prime ricerche di una Colonia e la esplorazione geografica politica ed economica, L'Italia in Africa, II, Roma 1955, p. 88 ss., 171 ss.; C. Zaghi, Crispi e Menelich nel diario inedito del conte Augusto Salimbeni, Torino 1956, passim; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, pp. 372-380, 447-456, 567-569, 5711-573 e passim; C. Giglio, L'Italia in Africa, Serie Storica, I: Etiopia-Mar Rosso, t. I (1857-1885), Roma 1958, p. 143 ss.; II, Documenti, ibid. 1959, pp. 82 ss.