ANGÈLI (Angelio, degli Angeli), Pietro (Piero, Petrus Angelius Bargacus)
Nacque in Barga il 22 apr. 1517, da ser Iacopo di ser Niccolao Angeli, di antica e prosperosa famiglia. Dallo zio Cristofano prete apprese con straordinaria facilità i rudimenti del greco e del latino; ma, dopo la morte dei genitori, avvenuta durante la pestilenza del 1528, fu dall'avo materno avviato alla carriera delle armi, e giovanissimo partecipò alla difesa di Firenze assediata dagli imperiali. Ritornò poi ai suoi studi, accompagnando lo zio Cristofano a Città di Castello, dove questi si recava ad insegnare. Nel 1533 passò a Bologna per seguire i corsi di legge; ma le lezioni che egli frequentò con maggior entusiasmo e profitto furono quelle dello umanista R. Amaseo, per il quale provò tanta ammirazione da abbandonare la giurisprudenza per le lettere. A questo periodo si possono far risalire i primi tentativi di composizione del Cynegeticon.Innamoratosi della nobildonna Fiammetta Soderini, diffuse versi infamanti sul marito di lei; per cui fu perseguitato e costretto a lasciare la città. Abbandonata Bologna, probabilmente nel 1539, si rifugiò a Venezia, dove restò fino al maggio 1542, entrando al servizio di Guglielmo Pellicier, ambasciatore di Francia presso la Serenissima, con il quale continuò ad occuparsi di studi umanistici. In questo periodo strinse viva amicizia con l'Aretino, che gli dimostrò sempre grande affetto.
Seguì poi a Costantinopoli l'inviato del re di Francia, Antonio Polin, che si recava a chiedere aiuto ai Turchi contro la Spagna. Ripartiva da Costantinopoli nen'apr. 1543 con la flotta comandata da Ariadeno Barbarossa. Durante il ritorno visitava le isole dell'arcipelago e varie località della terraferma, tra cui Atene. Assisteva poi al saccheggio di Reggio, Terracina e Nizza. L'A. abbellisce molto la sua partecipazione a questa impresa, ricordando anche episodi che starebbero a testimoniare la sua fiera dignità patriottica (come l'uccisione in duello di un ufficiale francese, colpevole di aver insultato il buon nome degli Italiani); ma c'è motivo di dubitare di queste affermazioni, che del resto trovano riscontro soltanto nella sua Autobiografia.Entrato in conflitto per questi o altri motivi con il Polin, che egli giudica "uomo ingiustissimo e ingratissimo", abbandonò la flotta turca, chiedendo protezione ad A. d'Avalos, marchese del Vasto, allora in Piemonte, presso Mondovì. La benigna accoglienza ricevuta fa dall'A. ripagata con compommenti encomiastici e celebrativi. Si congedò quindi anche da questo suo potente protettore per ritornare al suo paese. Nel 1545 ottenne la carica di difensore del Comune di Barga, confermatagli nel 1546. In questo stesso anno, dopo essergli giunta la notizia della morte del marchese del Vasto, morte che deludeva molte sue sperane, accettò l'invito del Comune di Reggio Emilia di tenere in qùesta città una cattedra di latino e greco.
In tale uffizio riscosse un successo unanime, che gli valse negli anni successivi la riconferma dell'incarico e il conferimento della cittadìnanza reggiana. Risalgono a questo periodo la stesura del primo libro del Cynegeticon, e l'intera versione degli Strattagemmi di Persio. Comincia intorno al nome dell'A. a formarsi quella fama, che diventerà più tardi grandissima e consacrerà il Bargeo uno dei più grandi umanisti dei secolo (in un momento storico e letterario, s'intende, in cui l'umanesimo, inteso non soltanto come esercizio delle humanae litterae, ma anche come affermazione della supremazia delle civiltà classiche e conseguentemente delle lingue antiche su quelle moderne e volgari,entrava in piena decadenza).
Una prova di questa fama crescente sta nel fatto che nel 1549 il duca di Firenze Cosimo lo reclamò come suo suddito perché insegnasse lettere umane nello Studio di Pisa. Dopo qualche contrasto sollevato dagli Anziani di Reggio, dolenti di perdere un così valente insegnante, l'A. accettò l'invito e si trasferì a Pisa, dove tenne l'orazione inaugurale il 10 novembre. Da questo momento s'inizia il periodo della sua maggiore operosità. Salvo l'interruzione degli studi dovuta alla guerra di Siena, durante la quale pare, a prestargli fede, che l'A. s'impegnasse in ogni modo per sostener la causa del duca Cosimo, egli si dedicò in un ambiente raccolto e favorevole e senza preoccupazioni economiche, per circa quindici anni, agli studi prediletti.
Risalgono a questo periodo, oltre il proseguimento indefesso del Cynegeticon,i commenti alle più difficili orazioni di Cicerone (restati inediti), la traduzione in volgare dell'Edipo Re di Sofocle e del De elocutione di Demetrio Falereo. Come esegeta e interprete dei testi, l'A. non rivela particolare acume e tanto meno rigore filologico: le sue analisi, fondate sul buon gusto nutrito di molte letture, rivelano in lui una mentalità più di poeta che di critico e filologo. Le traduzioni riescono mediocri, perché l'A. maneggia con difficoltà il verso volgare.
Attraverso questa produzione e l'insegnamento l'A. allargò la cerchia delle sue relazioni ed ebbe amici, tra gli altri, il Vettori, il Varchi, il Della Casa, il Torelli. Nello stesso tempo aumentava la considerazione che provavano per lui i Medici, i quali spesso gli affidavano incarichi di rappresentanza in occasioni di solennità pubbliche. Ad esempio, il 7 ag. 1559, l'A. tenne in S. Lorenzo la solenne orazione funerale di Enrico di Valois, re di Francia, alla presenza del duca Cosimo e della corte. Due anni più tardi appariva finalmente il tanto coltivato poema sulla caccia (Cynegetica item carminum libri II, Eclogae III, Lugduni 1561), che fu accolto molto favorevolmente; si tratta di un'opera nella quale, nonostante l'A. assicuri di aver compiuto viaggi in Grecia e in Asia allo scopo di rinfrescare direttamente le sue nozioni sui costumi di quei popoli cacciatori, l'atmosfera è tutta d'imitazione: le fonti tenute più presenti sono, oltre a Virgilio, Oppiano, Grazio Falisco, Nemesiano. L'originalità dello scrittore, dato il carattere puramente convenzionale ed erudito del tema, si rifugia nelle descrizioni naturali, alcune delle quali assai belle. Incoraggiato dalle molte autorevoli lodi (tra gli altri, si erano congratulati con lui il Vettori e il Varchi), l'A. diede mano a un altro poemetto sul modo di sorprendere e catturare gli uccelli, l'Aucupium. Cominciatolo nell'ottobre 1562, finiva nel gennaio 1564 il primo libro, che fu pubblicato dai Giunti nel 1566, insieme con un poemetto sulla sconfitta di Radagaso, re dei Geti, presso Firenze (De Aucupio Liber Primus... eiusdem Elegia de Radagasi et Getarum caede ad urbem Florentiam... Florentiae 1566). Ignoti sono i motivi per cui l'Aucupium non fu compiuto.
Nel 1565, morto Chirico Strozzi, professore d'etica e politica aristotelica nello Studio pisano, l'A. ne ottenne il posto, pur conservando contemporaneamente la cattedra di lettere umane. Nel 1568 pubblicò ancora presso i Giunti i suoi Poemata omnia (Poemata omnia... Item Marii Columnae quaedam carmina, Florentiae 1568). Nel 1571 gli fu concesso di far lezione soltanto la sera, pur conservando la provvisione solita. Accettò di diventare Capitano di Barga per la riforma degli Statuti.
Nel 1574 fu richiesto al granduca di Firenze dal cardinale Ferdinando de, Medici come guida ai suoi studi. Dopo qualche resistenza il permesso fu concesso, ma l'A. non abbandonò del tutto la cattedra, dedicando al servizio del cardinale una metà circa dell'anno (probabilmente il semestre ottobre-marzo). Questa situazione si prolungò fino al 1586, provocando non poche lagnanze da parte degli studenti e delle autorità accademiche pisane. L'A., da parte sua, si lagnava della vita cortigiana, cui non aveva saputo adattarsi.
Nel marzo 1575 l'A. cominciava con lo Speroni, Flaminio de, Nobili, il Gonzaga e S. Antoniano, la revisione della Gerusalemme Liberata. Non corrispose, tuttavia, direttamente col Tasso, ma per il tramite del cardinal Gonzaga, a cui poi il Tasso comunicava il suo parere sulle osservazioni dell'Angeli. Il Tasso sembra accogliere con simpatia le osservazioni del Bargeo; né è possibile ravvisare ironia, come invece vorrebbe un moderno commentatore, in una lettera da lui inviata a L. Scalabrino il 24 apr. 1576, in cui si parla dell'Angeli. Da quel che si può capire, l'A. sembrerebbe il meno pedante nel gruppo dei revisori; ma questa impressione può dipendere anche dal fatto che le sue opinioni giungevano al Tasso in una forma non diretta e quindi più blanda.
Nel 1582, verso la fine di settembre, uscivano dalla casa di Mamert Patisson i primi due libri della Siriade, dedicati a Enrico III di Francia, con gli argomenti in versi dell'intero poema (P.A.B. historici et poetae regii Syriados liber primus et secundus eiusdem argumenta in omnes, Lutetiae 1582); nel 1584 il terzo e il quarto libro, con la dedica a Caterina de Medici (P.A.B. historici et poetae regii Syriados liber tertius et quartus, Lutetiae 1584); fra il 1589 e il '90 l'A. finì di comporre l'opera, che apparve completa, in tutti i suoi undici libri, a Firenze per i tipi del Giunti nel 1591 (Syrias hoc est expeditio illa celeberrima Christianorum Principum qua Hierosolyma ductu Goffredi Bulionis Lottaringiae Ducis a Turcarum tyrannide liberata est. Eiusdem votivum: carmen in D. Catharinam, Florentiae 1591; Florentiae 1616).
L'identità, o quasi, del soggetto della Siriade con quello della Gerusalemme liberata, la prossimità cronologica della loro composizione, i rapporti intercorsi tra i due poeti, hanno fatto sorgere un problema di priorità, che peraltro si può considerare oggi persuasivamente risolto. La Siriade fu iniziata quando la composizione della Gerusalemme era già molto avanti: è escluso quindi che il Tasso abbia tratto ispirazione da essa; d'altra parte, quando l'A. pose mano al suo poema, la Gerusalemme non era stata ancora divulgata: è probabile quindi che l'idea dell'opera nascesse in maniera originale nella mente dei Bargeo. Le due opere sono dunque indipendenti: le affinità di argomento e d'únpegno morale e religioso nascono da un clima spirituale comune; le eventuali coincidenze si possono far risalire a fonti utilizzate da ambedue i poeti. Un'ipotesi suggestiva è quella avanzata dal Manacorda, secondo il quale l'A. concepì originalmente la Siriade,ma quando riprese e rifuse il proprio poema, dopo aver accettato di rivedere la Gerusalemme liberata,dovette trarre da questa non pochi spunti di episodi e figure; come viceversa il Tasso, completamente spontaneo e indipendente nella Liberata,non disdegnò forse, attendendo alla Gerusalemme conquistata, l'influsso della Siriade, moraleggiante, sentenziosa, e, molto più di quanto non fosse la Liberata, fedele allo storico svolgersi degli avvenimenti. La Siriade è opera fredda, retorica, priva di vita. Nuoce alla vivacità e drammaticità degli avvenimenti narrati anche il verso latino, elegante ma inadeguato, frutto di un esercizio puramente accademico.
Tra il 1584 e il 1585 l'A. rivide e corresse il Cynegeticon, l'Ixeuticon,e tutte le sue liriche, dando poi alle stampe la raccolta completa delle sue opere poetiche, esclusi quei versi, soprattutto giovanili, che potessero avere sospetto di lascivie amorose (Poemata Omnia diligenter ab ipso recognita, Romae 1585).
Nel 1586 lasciò l'insegnamento, avendogli il cardinale finalmente assegnata la provvisione intera di cui godeva come lettore. Nel 1588 Baccio Valori, nel cedere la carica di console dell'Accademia Fiorentina, propose che gli succedesse il Bargeo: la proposta fu unanimemente accettata, e l'A. tenne per qualche tempo quella carica. Si trasferì quindi a Pisa per le sue malferme condizioni di salute, riprendendo nel 1592 l'insegnamento per motivi che ignoriamo. Gli ultimi anni furono amareggiati non solo dagli acciacchi ma anche dalle chiacchiere malevole degli invidiosi. Morì a Pisa il 29 febbr. 1596.
Oltre alle opere già indicate, sono ancora da segnalare: le orazioni funebri per i granduchi Cosimo e Francesco: Laudatio ad funebrem concionem quae Pisis habita est in Exequiis Cosmi Medicis Magni Hetruriae Ducis Florentiae 1574, e Oratio Florentiae habita in funere Francisci Medicis Mag. Ducis Hetruriae XVIII Kal. Ianuarii, 1587; le operette di varietà storica, Quoordine scriptorum historiae Romanae monumenta legenda sint libellus, Rostochii 1576 (altre ediz.: Amstelodami 1645; Lugduni in Bataviis 1696) e De privatorum publicorumque Aedificiorum Urbis Romae Epistula ad Petrum Simbardum Ferdinandi Medicis Magni Ducis Etruriae a Secretis primum, Florentiae 1589; la vivace e appassionante cronaca delle imprese di Piero Strozzi e della disperata difesa di Siena contro i Medici, in De bello Senensi, Commentarius ad Cosmum Medicem Etruriae Ducem ex Codice Ms. Magliabechiano nunc primum in lucem editus notisque illustratus a Domenico Morenio, Florentiae 1809; le rime volgari e le traduzioni, di cui s'è già detto, in Poesie toscane dell'Illustriss. Signor Mario Colonna et di M. Pietro Angelio con l'Edipo tiranno Tragedia di Sofocle tradotta dal medesimo Angelio, Firenze 1589 (l'Edìpo tiranno di nuovo a Venezia, 1748). Una grossa sezione autografa delle opere edite e inedite dell'A. si trova presso la Bibl. Universitaria di Pisa, mss. 244-245. L'autobiografia latina si trova in S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 289-309.
Bibl.: Fondamentale è il preciso ed esauriente saggio di G. Manacorda, Petrus Angelius Bargaeus (Piero Angeli da Barga), in Ann. d. R. Scuola Norm. Sup. di Pisa, XVIII (1903), pp. 1-131, con elenco delle opere e ampia bibliografia precedente. Si veda anche: I. M. Toscano, Peplus Italiae, Lutetiae 1578, p. 113; F. Sanleolini, Delle lodi di Piero degli Angeli da Barga, Firenze 1597 (altra ediz. Venezia 1735); una lettera dell'Aretino all'A., in Delle lettere di P. Aretino, II, Parigi 1609, p. 273 v; una lettera dell'A. al Vettori in Clarorum Italorum et Germanorum Epistolae ad Petrum Victorium, I, Firenze 1758, p. 71; T. Tasso, Le Lettere, disposte per ordine di tempo ed illustrate da C. Guasti, I, Firenze 1852, pp. 62, 63, 69, 87-89, 120, 123-124, 150, 151, 153, 155, 165; J. Zeller, La diplomatie française vers le milieudu XV Ie siècled'après la correspondance de Guillaume Pellicier, Paris 1880, pp. 95, 130; p. Groppi, Della vita e delle opere di P. A. B., Barga 1888; V. Vivaldi, Sulle fonti della "Gerusalemme Liberata", I, Catanzaro 1893, p. 9; A. Belloni, Gli epigoni della "Gerusalemme Liberata", Padova 1893, pp. 1-22; V. Vivaldi, La più grande polemica del Cinquecento, Catanzaro 1895, pp. 101 ss.; A. BelIoni, Della "Siriade" di P. A. da Barga nei suoi rapporti cronologici colla "Gerusalemme Liberata". Padova 1895; A. Solerti, Vita di T. Tasso, I, Roma 1895, pp. 205, 211; V. Vivaldi, Se la "Siriade" di P. A. B. sia una delle fonti o uno degli epigoni della "Liberata", in Varia, Catanzaro 1896, pp. 153-171; G. Pascoli, Il Bargeo,Roma 1896; W. Rüdiger, P. A. B. Ein Dichter-und Gelehrtenleben, in Neue Jahrbücher für das classischen Altertum...I, 1898 (estr.); E. Proto, Questioni tassesche. I. La "Siriade" e la "Gerusalemme", in Rass. critica d. lett. ital., V (1900), pp. 1-18; A. Belloni, Di due pretesi ispiratori del Tasso, in Frammenti di critica letter., Milano 1903, pp. 133-151; E. Proto, recen. al vol. di G. Manacorda, in Rass. critica d. letter. ital., (1904), pp. 137-144; A. Belloni, recen. al vol. di G. Manacorda, in Giorn. stor. d. letter. ital., XLVI (1905), pp. 227-229; V. Vivaldi, La "Gerusalemme liberata" studiata nelle sue fonti, Trani 1907, pp. 32, 166, 182-184; G. Silli, Una corte alla fine del '500, Firenze 1928, p. 87; L. Pescetti, I versi di P. A. B. su Volterra, in Rass. volterrana, V,2, luglio-dic. 1931 pp. 33-36; R. Ridolfi, Giunte alla biografia e alla bibliografia del Bargeo, in La Bibliofilia, XXXIX (1937), pp. 381-404; R. Ridolfi, IlBargeo e i sonetti contro Fiammetta Soderini, Firenze 1939; G. Leopardi, Zibaldone, II, in Tutte le opere,Milano 1953, pp. 1065-66; E. Marelli, Bargaeus, in Aevum,XXXII(1958), pp. 537-548; T. Tasso, Apologia in difesa della "Gerusalemme Liberata", in Prose, a cura di E. Mazzali, Napoli 1959, p. 450 (v. anche n. 1), pp. 763, 787; G. Mazzatinti, Inventari, XXIV, p. 25.