CAPPELLO, Pietro Andrea
Nacque a Venezia il 30 marzo 1700 da Pietro Girolamo e da Isabella Grimani. Il prestigio del padre, che aveva ricoperto importanti cariche nello Stato, lo aiutò nella sua brillante carriera politica; il 30 dic. 1730 fu incluso per la prima volta nella lista dei cinque savi di Terraferma e poi confermato per altri tre anni; savio cassiere nel 1732 e 1733, all'età di trentacinque anni fu eletto ambasciatore a Madrid, che raggiunse il 2 luglio 1735 mentre era in pieno svolgimento la guerra di successione polacca. Cercò di evitare qualunque compromissione della Serenissima con le parti in conflitto premendo sul governo spagnolo per tenere lontane le operazioni militari dagli Stati della Terraferma veneta.
Energica ed abile fu la sua azione per indurre la Spagna a riconoscere e pagare i risarcimenti per i danni subiti dai sudditi veneziani ad opera delle truppe spagnole operanti in Italia: condusse trattative lunghe ed estenuanti, a causa della tattica dilatoria attuata dai ministri spagnoli, pressati dalla mancanza di denaro e convinti che il passare del tempo avrebbe finito per stancare la Repubblica veneta. In questa vertenza, come anche in occasione di una controversia per alcune prede effettuate da fregate spagnole a danno di legni veneziani naviganti in acque napoletane, il C. ebbe occasione di verificare l'intrinseca debolezza del suo governo, incapace di ottenere con le sole sue forze un'equa soddisfazione dei suoi diritti.
Nell'agosto del 1738, alla scadenza del mandato, lasciò la capitale spagnola; al rientro in patria assunse, il 16 maggio 1739, la carica di savio alla Scrittura; infine il 22ag. 1739 gli giunse la nomina ad ambasciatore a Vienna dove arrivò il 10 dic. 1740. L'importanza della sede era accresciuta dalle circostanze; infatti, proprio quando egli raggiungeva l'Austria, la morte improvvisa di Carlo VI scatenava la guerra di successione austriaca, mettendolo di fronte a responsabilità molto gravi. Come confessò al termine del mandato, egli era molto preoccupato di trovarsi a Vienna nel momento in cui divampavano le polemiche e si intrecciavano le pretese per l'eredità del defunto sovrano e tutti i principi confinanti, e quindi anche Venezia, avevano da temere per i loro interessi. Il C. non sbagliò nelle sue previsioni; infatti i quattro anni della sua permanenza a Vienna lo videro impegnato in una lunga e difficile schermaglia diplomatica per tenere Venezia fuori dal conflitto e limitare i danni che anche una politica di rigorosa neutralità non poteva del tutto impedire. Venezia era oggetto di contrastanti pressioni: da un lato Francia e Spagna la allettavano con la promessa della cessione di Mantova, dall'altro Maria Teresa prospettava il pericolo per l'Italia e per Venezia di una preponderanza francese in Italia e sbandierava le velleità di Elisabetta Farnese di cercare nella penisola un regno per il secondogenito don Filippo. Il C. fu abile nel respingere le promesse di ampliamenti territoriali in cambio di un intervento veneziano; ciò nonostante il suo governo, come ha osservato il Romanin, non manco di far intuire una sia pur moderata simpatia per l'Austria. Ad un benevolo atteggiamento verso Maria Teresa non fu certo estraneo il modo con cui il C. presentò al suo governo la giovane sovrana: i suoi dispacci sono pieni di entusiasmo per la nuova regina e la relazione finale è documento interessante di questa ammirazione.
Scritta a Londra il 30 sett. 1744, è senza dubbio una delle testimonianze più analitiche e puntuali tra quelle scritte da contemporanei sulle grandi capacità di governo di Maria Teresa; il C. vi mette in luce quella straordinaria capacità di descrizione di uomini politici che ha giustamente reso famose molte relazioni degli ambasciatori veneti. L'opera si apre con una cronistoria degli antecedenti della guerra di successione austriaca, in cui l'autore esalta la figura di soldato e di abile ministro di Eugenio di Savoia che dà saggi ma inascoltati consigli di Realpolitik a Carlo VI, esortandolo a non illudersi che la prammatica sanzione garantisca la successione alla figlia perché "la sola sicurezza delle convenzioni e delle garantie devesi stabilire sopra la base degl'interessi de' Principati". Sottolinea l'assurda intransigenza, la miopia, l'incapacità dei ministri austriaci che governano nei primi mesi dopo la morte di Carlo VI proprio per far maggiormente risaltare la svolta fondamentale impressa agli avvenimenti dalla prepotente personalità di Maria Teresa, regina in cui "sono raccolti tutti i talenti, che rendono illustri i Principi, e li Ministri più celebrati dall'Europa, e dalla storia medesima". Unanime, osserva, è il riconoscimento che "le di lei sole virtù gli abbiano preservato il trono, o captivandosi il cuore de' sudditi, o supplendo alle mancanze de' proprj ministri"; superata l'iniziale inesperienza la nuova sovrana sa nel giro di pochi mesi rendersi abile a conoscere e dirigere tutti i più intricati affari di governo. Assidua e diligente, partecipa a tutte le conferenze dei ministri, legge i dispacci e le deliberazioni, ascolta le istanze di tutti i sudditi, mostrando una singolare abilità nel riconoscere le capacità dei suoi dipendenti; "non s'ingombra dalla mole degli affari, non si stanca, non si trattiene dalla difficoltà de' medesimi", di pronta memoria e intelligenza vivace mostra grande "facilità di comprendere qualunque materia legale, politica, economica, e militare ancora".
Nel gennaio del 1744 il C. partì per l'Inghilterra cui era stato destinato sin dal 25 maggio dell'anno 1743.
Negli anni precedenti Londra non era tra le sedi più ambite della diplomazia veneziana; anzi il Senato era solito designarvi come suo rappresentante solo un residente, ufficio ricoperto da cittadini originari. Ma il 4 luglio 1737 un grave incidente aveva turbato i tradizionali buoni rapporti tra Venezia e l'Inghilterra: in seguito agli onori ufficiali tributati dal governo veneziano al figlio del pretendente al trono inglese Carlo Edoardo Stuart, il governo di Londra aveva interrotto i rapporti diplomatici. La Repubblica aveva fatto molti sforzi per chiudere la controversia e finalmente il 1º sett. 1742 furono ristabilite le usuali relazioni; nell'inviare a Londra non un residente ma un ambasciatore di rango nobiliare e nel designare alla carica un patrizio ormai largamente noto nel mondo diplomatico europeo come il C., Venezia volle dar prova della sua stima e considerazione per la nazione britannica. In effetti l'ambasceria a Londra fu priva di fatti di rilievo: il C. si limitò a riferire sugli sviluppi della guerra di successione austriaca, operò efficacemente per prevenire l'ingresso di navi inglesi nel mare Adriatico e mostrò abile cautela nel respingere le pressioni del governo inglese perché Venezia accedesse al trattato di Worms o per lo meno aiutasse con truppe ausiliarie o in altro modo l'Inghilterra o i suoi alleati continentali (15 genn. 1745). Acuto osservatore delle vicende parlamentari e ministeriali inglesi, il C. occupò la maggior parte del suo tempo nella tutela degli interessi privati dei mercanti veneziani e soprattutto in una estenuante schermaglia diplomatica col governo inglese sul problema dell'invio di un ambasciatore a Venezia, che il governo veneto voleva stabile e di pari grado e che invece Londra propendeva ad inviare solo a titolo temporaneo. Problemi di precedenza e di etichetta sono del resto materia di gran parte dei suoi dispacci a conferma del particolare momento dei rapporti tra Venezia e l'Inghilterra che peraltro, grazie anche alla sua prudente ed accorta opera, finirono per ristabilirsi sul piano della tradizionale cordialità.
Terminata nell'agosto del 1748 la missione, il C. rientrò a Venezia e sin dal 5 ottobre dello stesso anno fu destinato a ricoprire la sede di Roma. Fu questa per lui l'esperienza diplomatica più difficile e più infelice; nei primi quattro anni i suoi compiti non andarono oltre l'ordinaria amministrazione e, al di fuori delle consuete vertenze confinarie, l'unica questione importante che lo impegnò fu quella relativa all'istituzione del vicariato di Gorizia.
Nel 1754 Venezia e il pontefice Benedetto XIV si fronteggiarono a lungo in una controversia per la giurisdizione ecclesiastica e il C. si trovò al centro di delicati e complicati maneggi: il 7 settembre il Senato veneto aveva emanato un decreto con cui, per limitare i ricorsi che si facevano in larga misura a Roma in tema di indulgenze, grazie, dispense e privilegi, stabiliva che per l'avvenire nessuna scrittura proveniente da Roma avrebbe potuto essere eseguita se non era ottenuta per le vie ordinarie volute dal governo, da cui doveva essere approvata e quindi licenziata. La reazione del papa fu dura ed energica ed il Senato diede più volte mandato al C., che poteva contare molte aderenze negli ambienti della Curia ed in particolare godeva della fiducia personale del pontefice, di effettuare discreti sondaggi prima di prendere ulteriori decisioni. Il C. trattò con abilità la spinosa questione senza però riuscire a sbloccare la situazione; così nell'aprile del 1757, quando il Senato inviò a Roma l'ambasciatore straordinario Marco Foscarini nella speranza di por fine al contrasto, una denuncia anonima accusò il C. di aver provocato il fallimento della missione. Gli si imputava di aver agito con doppiezza, facendo pressioni sul papa perché mantenesse ferma la richiesta della revoca del decreto come condizione preliminare ad ogni trattativa, mentre invece papa Benedetto XIV e i cardinali sarebbero stati felici della venuta a Roma del Foscarini. Il Bettanini (pp. 186-188) avanza due ipotesi su questa denuncia: che si trattasse o di una manovra del governo veneto per prender tempo, oppure di un complotto di nemici personali del C. per rovinarlo. In effetti l'unico addebito concreto che gli inquisitori di Stato gli poterono rivolgere fu quello di aver trattato in alcune lettere private, dirette a persone non facenti parte del Senato, di affari politici riservati. Il 30 apr. 1757 al C. fu ingiunto di rientrare subito in patria; egli obbedì prontamente dichiarandosi disposto a giustificare il suo comportamento. Il 31 maggio giunse a Polesella; gli inquisitori di Stato gli intimarono di ritirarsi nella sua villa di campagna, di non uscirne, non scrivere o ricevere visite se non di parenti stretti. Ormai la sua carriera politica era finita anche se la vicenda non ebbe ulteriori sviluppi; qualche anno più tardi fu richiamato dall'esilio, nominato podestà e vicecapitano di Brescia e poi il 14 marzo 1761 provveditore generale a Palma, dove morì il 3 genn. 1763.
Fonti e Bibl.: Sul C. e sulla sua attività vedi Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 271; Ibid., Segretario alle voci,Elezioni del Senato, regg. 22, 24; Ibid., Senato,Dispacci ambasciatori,Spagna, filze 152-156; Ibid., Germania, filze 240-247; Ibid., Inghilterra, filze 103-107; Ibid., Roma, filze 271-277; Ibid., Expulsis papalistis, filze 31-40; Ibid., Inquisitori di Stato,Dispacci ambasciatori a Roma, bb. 168, 481; Ibid., Annotazioni Inquisitori di Stato, b. 535; Ibid., Riferte confidenti,confidente Zaniboni, b. 637. Manoscritti contenenti commissioni e lettere del doge, dispacci, inserti vari e altri documenti relativi alle ambasciate a Roma, in Spagna e Inghilterra si trovano alla Bibl. civica di Bassano del Grappa (mss. 260-A-I-1-2, 260-A e B-2-1-16, 260-D-2-1-6, 260-C e D-1-12, 36-B-I-1-2, 261-B-5-1-2). La relazione di Spagna (in originale all'Arch. di Stato di Venezia, Senato,Relazioni,Spagna, b. 29) è edita in A. Gadaleta, Relaz. di Spagna del cav. P. A. C. ambasciatorre a Filippo V dall'anno 1735 al 1738, Firenze 1896; quella di Germania (originale all'Arch. di Stato di Venezia, Senato,Relaz., Germania, b. 16), in Die Relat. der Botschafter Venedigs über Osterreich im achtzehnten Jahrhundert, a cura di A. v. Arneth, in Fontes rerum Austriacarum, XXII, Wien 1863, pp. 221-289. Vedi, inoltre, A. Brognoli, La lode a Sua Eccellenza il sig. cav. P. A. C. podestà e vice-capitanio di Brescia, Brescia 1760; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, p. 379; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VIII, Venezia 1859, pp. 97 s.; A. M. Bettanini, Benedetto XIV e la Repubblica di Venezia, Milano 1931, passim; L. v.Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1953, pp. 69, 431; G.Tabacco, Andrea Tron (1712-1785) e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Trieste1957, pp. 65, 67, 72-74.