BERNARDONI, Pietro Andrea
Nacque a Vignola il 30 giugno 1672 da Francesco e Lodovica Monsi. Sin dalla più giovane età dimostrò notevole attitudine agli studi letterari, che coltivò - sembra - da solo e senza conseguire una laurea. La sua precoce fama poetica, tuttavia, lo fece accogliere fra i letterati modenesi che solevano radunarsi in casa del marchese G. Rangoni, dove conobbe L. A. Muratori, con il quale strinse profonda amicizia per tutta la vita.
A questo periodo appartiene forse una sua cantata inedita, Pentimento amoroso, inserita nella raccolta manoscritta del compositore D. Leporati, Cantate diverse… consacrate… a Francesco II duca di Modena (Biblioteca Estense di Modena, Mus., F. 631).
I contatti con la cerchia degli studiosi modenesi stimolarono nel B. il desiderio di esperienze e orizzonti nuovi. Trasferitosi a Bologna, gli venne qui offerta più concreta protezione dal marchese G. G. Orsi. La partecipazione alle riunioni di casa Orsi, i premurosi consigli del marchese e l'amicizia con E. Manfredi e soprattutto con P. J. Martello influirono notevolmente sulla personalità e sulla produzione del B., procurandogli inoltre la nomina a membro dell'Accademia dell'Arcadia (con il nome di Cromiro Dianio) a soli diciannove anni (1691), e poi a quelle degli Accesi e dei Gelati di Bologna e degli Scomposti di Fano.
Al dramma pastorale Il geloso di se medesimo (esemplato sui maggiori modelli cinquecenteschi) il B. fece seguire una raccolta di poesie, I fiori, primizie poetiche divise in rime amorose, eroiche, sacre, morali e funebri, in Bologna, per gli Eredi del Sarti, 1694, che denuncia l'eredità barocca nello stile lussureggiante, artificioso anche in quei componimenti ispirati ai concetti arcadici, così che la poesia del B. può giustamente definirsi una "pastorella troppo adorna" (Nava). Determinate dall'ambiente bolognese (dove egli aveva nel frattempo introdotto il Muratori) furono le sue tragedie Irene (Milano 1695, C. A. Malatesta; poi ristampata con il titolo Costantino nel primo volume delle sue opere edito a Bologna nel 1706 da C. Pisarri) e Aspasia (Bologna 1697, per gli Eredi del Sarti, e poi ibid. 1706, per il Pisarri), composte secondo il gusto del tempo e prive di novità, ove s'eccettui il tenace impegno di nobilitare l'azione scenica seguendo i maggiori modelli d'Oltralpe.
Il successo riportato e l'irrequietezza del suo carattere avevano spinto il B. a viaggi frequenti da Bologna a Vignola, da Modena a Cremona e a Milano, dove nel 1696 si era alquanto trattenuto con l'intento di trovare un impiego più propizio alla sua attività; ma dal soggiorno milanese egli non aveva tratto che relazioni d'amicizia con C. M. Maggi, F. Puricelli e G. Gatti. Ritornato a Bologna e costretto a provvedere ai fratelli minori (essendo morti i genitori), accettò nel febbraio 1697 il posto di segretario del duca Sforza a Castell'Arquato di Piacenza, da cui presto si dimise per l'esiguità dello stipendio, inadeguato al lavoro, e per l'innata insofferenza. Trascorso un breve tempo con il Muratori a Milano, il B. tornò a Bologna, ospite ancora del marchese Orsi, riponendo tuttavia la sua speranza nell'interessamento del Muratori per un impiego sicuro e vantaggioso. Nell'inverno del 1698 questi gli procurò il posto di segretario del duca F. Ferrero, che il B. accompagnò in un viaggio a Loreto e a Venezia per poi tornarsene solo a Milano. Di qui passò al servizio del conte C. E. Balbo di Vernone a Torino, dove il suo primo melodramma, Giulio Cesare in Torino, scritto per la nascita del principe di Piemonte Vittorio Filippo Amedeo ed eseguito al Teatro Regio (con musica d'ignoto autore) nel maggio 1699, ebbe meritato successo. L'11 apr. 1699 anche A. Zeno lo aggregava, in compagnia del Muratori, all'Accademia degli Animosi di Venezia. Nel maggio, inviato il conte di Vernone come ambasciatore del duca di Savoia a Parigi, il B. si decise a seguirlo, sebbene a malincuore.
Nonostante la vita brillante e fastosa e le amicizie interessanti, come quella iniziata con N. Boileau, il B. fu scontento anche a Parigi e alla fine del settembre 1699 preferì ritornare in Italia. Visitò gli amici di Milano, di Cremona e di Piacenza, meditando nel frattempo, per lo scoraggiamento e la povertà, di farsi religioso, ma giunto a Bologna trovò che gli si offriva la possibilità di una soluzione diversa, quella di essere, cioè, nominato secondo poeta di corte a Vienna, accanto a D. Cupeda.
Il Muratori e il marchese Orsi si adoperarono per ottenergli l'incarico. L'intervento del Muratori e quello degli Arcadi evitarono inoltre al B. (qualificato come segretario del marchese F. Pepoli) il rimpatrio a Modena, ordinato dal duca Rinaldo II.
Nel luglio 1701 giungeva finalmente al B. la nomina a secondo poeta cesareo; egli si preparò a partire per Vienna nel settembre, con uno stipendio iniziale di 2.000 fiorini annui. I nove anni trascorsi a Vienna segnarono il periodo migliore della sua vita e della sua più intensa produzione letteraria, cui la sua fama di poeta-librettista doveva restare affidata.
La previsione dello Zeno relativa all'elezione del B. come poeta cesareo (lettera al Muratori, da Venezia, 23 luglio 1701: "Egli è giovane, ha del talento, della prontezza e dell'esercizio; e vi riuscirà fuor di dubbio. Rallegratevene per mia parte…") si realizzò pienamente. L'entusiasmo del B. per la nuova esperienza e per la corte viennese si rifletteva nelle lettere inviate agli amici bolognesi e modenesi, con i quali continuava uno scambio fruttuoso d'idee e di lavori.
Nell'ottobre 1703, dopo aver scritto varie opere per nascite, compleanni, onomastici della famiglia imperiale, corrispondenti al gusto della corte e musicate dai più significativi compositori coevi (C. A. Badia, J. J. Fux, A. M. Ariosti, G. B. Bononcini, M. A. Ziani), gli fu concessa una licenza. Il B. si recò subito a Bologna dal marchese Orsi (che aveva chiamato presso di sé anche il Muratori), dove rimase fino al febbraio 1704, prendendo parte alla più nota delle querelles del tempo, originata dal libro del padre D. Bouhour, Lamanière de bien penser dans les ouvrages de l'ésprit, pubblicato a Lione nel 1687, contro il quale il marchese Orsi aveva levato le sue proteste.
Invitato dall'Orsi, che aveva respinto le critiche del Bouhour con alcune Considerazioni sopra un famoso libro francese… divise in sette dialoghi…, pubblicate a Bologna nel 1703 dal Pisarri, il B. scrisse una Lettera, stampata poi insieme con altre dieci di amici scrittori (fra i quali il Muratori, lo Zeno, A. M. Salvini) nel 1707 a Bologna e più tardi nel primo volume della raccolta di tutti gli scritti editi in occasione di questa contesa letteraria (Modena 1735, pp. 451-457). Un accenno di questa Lettera, in cui il B. intendeva dimostrare con sottile erudizione l'entimema (o sillogismo rettorico) definito da Aristotele appartenere alla terza (raziocinio) e non alla seconda facoltà dell'intelletto (giudizio), si trova nel Giornale de' letterati d'Italia, III(1710), pp. 110 s., con altri scritti inerenti alla polemica.
Nel 1705, di ritorno a Vienna, il B. fece pubblicare un altro volume di Rime varie per i tipi di G. van Ghelen, dedicato a Giuseppe I, di scarso valore poetico, ad eccezione di qualche canzonetta, che sembra anticipare per melodiosità e spigliatezza di ritmo le perfette "ariette" del melodramma metastasiano. Gli anni seguenti, fervidi di opere e di pubblicazioni, furono per il B. amareggiati dalla nomina di un nuovo poeta cesareo, Silvio Stampiglía; provvedimento reso necessario, alla fine del 1706, dalla morte del Cupeda. Considerato di pari grado con lo Stampiglia, ma sempre particolarmente stimato (era stato eletto anche procustode arcadico delle Campagne germaniche), il B. ebbe comunque lo stipendio aumentato di 1.000 fiorini annui.
Negli anni 1706-1707 il B. aveva pure raccolto e affidato alla stampa del Pisarri a Bologna i primi due volumi dei Poemi drammatici (dedicati al principe di Toscana Ferdinando e al duca di Modena Rinaldo II d'Este), la maggior parte dei quali era stata composta ed eseguita a Vienna, dove uscì poi nel 1709 il terzo volume per i tipi del van Ghelen.
Nella raccolta figurano, oltre al giovanile dramma pastorale Il geloso di se medesimo e le tragedia Costantino (Irene) e Aspasia, tutti quei piccoli melodramini composti solo di un atto e tredici scene, dal B. chiamati "poemetti drammatici". Di questi, otto furono musicati da C. A. Badia (L'amore vuol somiglianza, 7 genn. 1702; L'Arianna, 21 febbr. 1702; La concordia della virtù e della fortuna, 21 apr. 1702; Enea negli Elisi, 26 luglio 1702, con l'ouverture composta da J. J. Fux; La Psiche, 21 febbr. 1703; La Sepoltura di Christo, oratorio, 1706; S. Teresa, oratorio, 1706; Ercole vincitor di Gerione, 4 nov. 1708); tre da J. J. Fux (La clemenza di Augusto, 15 nov. 1702; Iulo Ascanio, re d'Alba,19 marzo 1708; Pulcheria,10 luglio 1708); due da G. B. Bononcini (Proteo sul Reno, 19 marzo 1703; La nuova gara di Giunone e di Pallade, terminata da Giove, 26 luglio 1705); due dal fratello Antonio (Arminio, 26 luglio 1706; La fortuna, il valore e la giustizia, 1° ott. 1706); quattro da A. M. Ariosti (La più gloriosa fatica d'Ercole, 15 nov. 1703; Marte placato, 19 marzo 1707; La Placidia,15 luglio 1709; Amor tra nemici, 26 luglio 1708, ripetuto il 3 sett. 1708; con musica di G. M. Schiassi, ancora a Bologna, Teatro Marsigli Rossi, 1732); nove da M. A. Ziani (Le due passioni una di Cristo nel corpo, l'altra della Vergine Madre nell'anima,10 apr. 1705; La morte vinta sul Calvario, 2 apr. 1706; La Flora, serenata con arie di Giuseppe I, 21 apr. 1706; Il Meleagro,16 ag. 1706, con ouverture di Fux; rappresentato ancora a Brescia nel Teatro dell'Accademia nel 1710 e nel carnevale 1718 a Venezia, Teatro S. Angelo, con musica di T. Albinoni; Introduzione per musica al problema della prima Accademia, nella quale si esamina "se si possa trovare un amore senza speranza", 1706 e, ripetuto, 1707; Introduzione per musica al problema della seconda Accademia, nella quale si esamina se più innamori bella donna che pianga overo bella donna, che canti, 1706 e, forse, 1707; Il sacrificio d'Isacco, oratorio, 22 apr. 1707; La Passione nell'orto, oratorio, 6 apr. 1708, e Gesù fiagellato, oratorio, 29 marzo 1709); una decina ancora furono posti in musica da compositori rimasti ignoti. Stampati separatamente dagli Eredi Cosmeroviani apparvero a Vienna Il Meleagro (1706), Amor tra nemici (1708), Gesù fiagellato (1709) e Tigrane, re d'Armenia (1710), melodramma musicato da A. M. Bononcini, rappresentato il 26 luglio dello stesso anno. Non a tutti questi libretti si può riconoscere un certo pregio letterario (fra i migliori ricorderemo La clemenza d'Augusto, Arminio, Iulo Ascanio, Amor tra nemici, Zenobia, Gesù flagellato); nondimeno essi contribuirono ad influire sullo spirito e sullo stile dell'opera tardo-barocca viennese con la semplicità, pur nell'adattamento alle aristocratiche esigenze di corte, con il decoro e la scorrevolezza strutturale peculiari del Bernardoni.
Ragioni non conosciute, ma immaginabili (forse i difficili rapporti con lo Stampiglia o la nostalgia della prediletta Bologna), indussero il B. a chiedere nel 1710 definitivo congedo dalla corte viennese: il congedo gli venne accordato nel settembre e gli fu pure concesso di mantenere il titolo e lo stipendio di poeta cesareo. Ristabilitosi a Bologna, dopo un breve viaggio a Roma, il B. si sposò nel 1711. Nello stesso anno furono pubblicati altri dieci suoi sonetti nella terza parte della Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni scuola di A.Gobbi (Bologna, C. Pisarri, pp. 322-326). L'anno seguente egli fece rappresentare a Roma il suo ultimo melodramma, l'Eraclio, in tre atti (musicati il primo da ignoto autore, il secondo da F. Gasparini e il terzo da C. F. Pollarolo; libretto stampato a Roma 1712, "a spese di A. de' Rossi"), che riassume le esperienze teatrali del B. in spirito e forme ormai prettamente settecenteschi. Il 19 genn. 1714 il B. morì improvvisamente a Bologna.
Sebbene il suo mondo poetico sia scarsamente espressivo e alimentato in parte ancora da concetti e stilemi del secentismo insieme congiunti con quelli di un'Arcadia artificiosamente sentita, e sebbene le sue tragedie "impregnate d'essenze francesi" (Bertana) valgano solo come modesto contributo alla rinascita dei gusto della tragedia classica in Italia, pure entro questi limiti il B. riuscì ad affermare la sua personalità di librettista storicamente rilevante. Consapevole della funzione egemonica della musica nel melodramma del suo tempo (contro la quale proprio in quei primi anni del Settecento la critica letteraria avrebbe cominciato a lanciare i suoi strali), il B. sa adattarsi alle esigenze musicali con dignità e decoro inusitati ai librettisti precedenti e contemporanei e sembra anticipare concretamente quei propositi di riforma melodrammatica sostenuti teoricamente qualche anno più tardi dal Muratori e dallo Zeno. E' infatti, tra i primi, insieme con G. Gigli, con G. A. Moniglia e con lo stesso Stampiglia, a dare una forma più regolare, più semplice e un tono più leggero, più fresco al testo da musicare, attraverso una maggiore consistenza dell'azione e un più coerente collegamento delle scene. Ma soprattutto caratteristiche del B. appaiono - già dal 1702 con Amore vuol somiglianza - l'eliminazione totale delle parti buffe (personaggi e scene), introdotte nell'opera seria veneziana dai vari A. Aureli, D. Sbarra e N. Minato nella seconda metà del Seicento, e la mancanza dell'elemento "meraviglioso", sviluppatosi dal gusto scenografico secentesco delle macchine. Anche gli "avvenimenti intrigatissimi" e l'esagerato sentimentalismo galante, che appesantivano i già romanzeschi soggetti eroico-storici dei libretti veneziani, rispecchianti la società e la vita del tempo, sono negletti dal B., che continua, si, a svolgere per i suoi melodrammi argomenti tratti dalla mitologia e dalla storia antica, greca e romana, ma basandoli, per influsso dei tragici francesi, nel tipico contrasto fra passione e dovere. Come struttura, i libretti del B. sono interessanti per la misura e la proporzione equilibrata sia nel singolo momento (cioè, tra situazione e personaggio), sia da momento a momento (cioè tra zone di recitativo e zone di melodia, o "arie").
Con questi accorgimenti di equilibrio il B. sembra aver intuito e attuato quella distinzione fra dramma "letto"(recitato) e dramma "musicato" (che per primo l'amico Martello farà nella sua opera Della tragedia antica e moderna. Dialogo…, Bologna 1715), le cui finalità diverse esigevano, appunto, nei libretti carattere e forma completamente diversi. La sceneggiatura è trattata così con estrema leggerezza, con facilità scorrevole e piana: i recitativi (che hanno il compito di svolgere l'azione in versi sciolti) sono sempre meno lunghi che nei libretti dello Zeno e di P. Pariati, e costituiti raramente di endecasillabi, le "arie" sono poste naturalmente a conclusione o a incitamento dei recitativi (come farà il Metastasio) e sono sempre di natura lirica. Il numero dei personaggi oscilla tra cinque e otto (La Clemenza di Augusto, Tigrane re d'Armenia, L'Eraclio). Rari gli "insieme" (che sono sempre arie) e limitato l'impiego del coro (che spesso manca dei tutto) alla fine dell'opera, inteso come un "insieme" radunato di solisti. Questi elementi nei libretti del B. confermano anche esteriormente l'impressione di uno stile teatrale "concertistico" precipuo del gusto della corte viennese, dove l'impronta del B. sarà notevole, ma che, pur vicino ancora alla concezione dell'opera-solistica veneziana imperante, contiene quelle premesse feconde che immetteranno in pieno Settecento alle innovazioni ed evoluzioni del teatro d'opera.
Fonti e Bibl.: L. A. Muratori, Della perfetta Poesia italiana, Venezia 1724, I, p. 69; II, pp. 330-334, 358 s.; L. A. Muratori, Epistolario, a c. di M. Campori, Modena 1901-1911, ad Indicem, XIII, p.5982; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 977 s.; A. Zeno, Lettere, I, Venezia 1785, pp. 61, 114, 412, 438; M. Landau, Die italienische Literatur am Oesterreichischen Hofe, Wien 1879, pp. 20-23; E. Bertana, Ilteatro tragico ital. del sec. XVIII prima dell'Alfieri, in Giornale storico d. letteratura ital., suppl. n. 4, Torino 1901, pp. 15 s.; M. L. Nava, P. A. B. e il melodramma, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, s. 7, V(1928), pp. 88-138; J. H. van der Meer, Yohann Yosef Fux als Opernkomponist, I-III, Bilthoven 1961, passim, ad Indicem (III,p. 265); L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, passim, ad Indicem (p.960); J. Mantuani. Tabulae codicum manuscriptorum… in Bibliotheca Palatina Vindobonensi asservatorum, IX, Vindobonae 1897, passim, ad Indicem (p.320); X, ibid. 1899, passim, ad Indicem (p. 411).