Vedi PIETRABBONDANTE dell'anno: 1965 - 1996
PIETRABBONDANTE
Località del Molise a S di Agnone. Presso il paese moderno esistono cospicui resti di un centro sannitico, identificato dal Mominsen con la città di Bovianum Vetus (v.), di cui abbiamo notizia solo in Plinio (Nat. hist., iii, 107). Questa ipotesi si è però rivelata erronea alla luce delle nuove ricerche, che hanno dato conferma alla proposta di Ph. H. Huschke di riconoscere qui un grande complesso cultuale; d'altra parte non sussiste alcun motivo per ritenere il territorio di P. sede dei Sanniti Carecini anziché di quelli Pentri. Mentre resta quindi da accertare se si possa sostenere la duplicità di Bovianum, è ormai chiaro che P. non ha ospitato la colonia ricordata da Plinio e dal Liber Coloniarum (Lach., 231, 259). Il carattere sannitico dei monumenti principali è sufficientemente attestato dalle numerose iscrizioni osche.
La sommità del Monte Saraceno (m 1215 s. l. m.), denominato Caraceno in epoca moderna, è fortificata con una rozza cinta poligonale di cui ignoriamo la vera funzione: se cioè sia stata innalzata a difesa di un insediamento a carattere stabile ovvero temporaneo. Non ne conosciamo inoltre la cronologia né la natura dei rapporti che la unirono con il santuario inferiore. Il grande numero di cinte murarie simili esistenti nel Sannio ci induce a ritenerle connesse con il dinamismo dell'economia pastorale, prevalente in queste zone interne sino alla definitiva penetrazione romana, a cui si deve un nuovo assetto uniforme con sviluppo dell'urbanesimo solo nel I sec. a. C.
Nel quadro di una tale struttura economica si giustifica la comparsa di santuarî isolati in zone montane, come quellii di Agnone, di Schiavi di Abruzzo, di S. Giovanni in Galdo e di P. nella sua fase più antica.
Quest'ultimo, in un primo tempo modesto e del tutto simile agli altri, negli anni anteriori alla guerra sociale è stato valorizzato con la costruzione di un grande complesso monumentale (teatro e tempio retrostante). Che questo improvviso potenziamento sia stato il frutto di una volontà politica è dimostrato dalla documentazione epigrafica e dalle evidenti tracce di abbandono che testimoniano una precoce decadenza. Insignificanti sono i resti di età imperiale, i quali mostrano come ogni forma di vita si sia progressivamente immiserita fino ad abbandonare completamente la zona agli inizî del IV secolo. Il culto della Vittoria, la quale compare qui per la prima volta nella sua forma osca vikturrai (dativo singolare), è l'unico per ora attestato.
La zona monumentale si estende sopra un pendio (m 966 s. l. m.) del Monte Saraceno sistemato a terrazze con muraglioni in opera poligonale e dominante la valle del Trigno. L'allineamento degli edifici non è casuale ma regolarmente predisposto, con gli assi mediani paralleli e con orientamento ad E-S-E. Le costruzioni sannitiche per il momento visibili appartengono a due distinte fasi edilizie, lontane tra loro per concezione e monumentalità. Alla prima, probabilmente del Il sec. a. C., dobbiamo ascrivere il piccolo tempio settentrionale, incassato nel pendio, con i relativi terrazzamenti che ne delimitano l'area. Esso ha un podio di m 12,20 × 17,70, alto m 1,65, munito di modanature di tipo lesbico. L'edificio era prostilo, con una cella occupante tutta la metà postica, estesa quindi maggiormente in larghezza (m 11,50 × 9). Sull'epistilio correva un fregio dorico con finte metope lisce, sostenuto da architravi lignei con rivestimento fittile e coronato da una sima con grosse protomi leonine. Il tempio, dedicato dal meddix tuticus Gn. Staíís Stafidins (Vetter, 151), subì alcune modifiche in epoca successiva.
Le botteghe ed il porticato con colonnine laterizie, che si estendono immediatamente a S fino al teatro, sono di età imperiale, ma sorgono sui resti di una sistemazione precedente. Sulla terrazza sovrastante si notano tracce di edifici con orientamento diverso, che forse possiamo mettere in relazione con il materiale arcaico rinvenuto.
Con il grande ampliamento meridionale del santuario, databile tra la fine del Il ed il primo decennio del I sec. a. C., è stato innalzato un nuovo nucleo di edifici raccolti entro un'area delimitata, cercando però di fondere il più possibile tale complesso con la parte preesistente; si è mantenuto cioè il medesimo orientamento e si sono create strutture di raccordo frontale, in modo da inserire il vecchio luogo di culto in una organica sistemazione topografica e monumentale.
Entro uno spazio rettangolare, lungo m 86 e largo m 6o, sono stati costruiti un teatro, che occupa la metà dell'area, ed un grande tempio retrostante, a livello più alto, allineato sullo stesso asse centrale e fiancheggiato da due grossi basamenti simmetrici.
Il teatro, costruito in bella opera poligonale, è di tipo ellenistico, con la curvatura dell'ima cavea che supera l'emiciclo, in senso rettilineo con l'edificio scenico simile a quello del "teatro grande" di Pompei prima dei rifacimenti sillani, ma presenta già elementi di transizione al tipo di teatro romano come le due brevi arcate sopra le pàrodoi. Gli elementi scultorei rimasti, ossia i bracciuoli dei sedili di testata dell'ima cavea, i due Atlanti con cui terminano i parapetti degli analèmmata, ed alcune modanature derivano da un modello da cui dipendono anche gli elementi decorativi analoghi dell'odeon di Pompei. L'esistenza di sculture architettoniche iconograficamente uguali a Benevento (Atlanti, museo) testimonia infatti la diffusione di tale schema decorativo in ambiente sannitico. L'esecuzione è a P. sensibilmente più rozza e meno plastica che a Pompei; ciò è solo in parte attribuibile alla diversa natura del materiale (calcare invece di tufo).
Il tempio retrostante, separato dal teatro per mezzo di un basso muro di terrazzamento, ha un alto podio (m 3,60) lungo m 37 circa e largo m 24, con complesse modanature di base e di coronamento che trovano stringenti raffronti nell'altare del fondo Patturelli di Capua. L'edificio, a cui si accedeva per mezzo di un'ampia gradinata rientrante nel podio, era prostilo di ordine corinzio. Nello spazio tra il teatro ed il tempio restano due altari rettangolari. Dall'area dell'edificio provengono numerose terrecotte architettoniche: antefisse rappresentanti la πόντια ϑηρῶν, lastre di rivestimento con maschere di menadi e sileni o con figure femminili terminanti in motivi vegetali.
Il teatro ed il tempio sono dunque due diversi corpi edilizi, fusi però in uno schema che rispetta i caratteri dell'assialità e della visuale frontale con effetti scenografici di sovrapposizione. Tale ordine compositivo si inserisce in una tipologia monumentale di cui abbiamo altri esempî nei santuari di Gabli, Cagliari, Tivoli, e quindi Palestrina, e che troverà la sua ultima evoluzione nello schema del teatro di Pompeo.
I motivi stilistici ed i caratteri architettonici hanno la loro origine nelle città osche della Campania ove elementi ormai tradizionali vengono fusi con altri nuovi dell'ellenismo.
Il materiale più antico rinvenuto a P. è costituito da una rozza testa in pietra calcarea che possiamo avvicinare alle piccole sculture inedite di Agnone e di Trivento, ora al Museo Nazionale di Chieti, databile probabilmente al V sec. a. C., e da un frammento bronzeo sbalzato, con rappresentazione di amazzonomachia, della fine del IV sec. a. C. Al 250 a. C; circa risale il nascondimento di un tesoretto di monete bronzee della Campania.
Altri resti sannitici e romani esistono a S-E di P., in località Arco, presso il colle di S. Scolastica.
Bibl.: Per gli scavi ed i ritrovamenti: F. S. Cremonese, in Bull. Inst., 1848, p. 3; G. Minervini, in Bull. Archeol. Nap., VI, 1848, p. 90; n. s., VI, 1858, pp. 185-190; E. Mester van Ravestein, in Bull. Inst., 1858, p. 51; A. Caraba, Poliorama Pittoresco, XVIII, 1858-59, p. 249 ss.; G. Minervini, in Bull. Archeol. Nap., n. s., VII, 1859, pp. 1-6; 14-15, 20-21; R. Garrucci, in Bull. Inst., 1860, pp. 8-9; G. Minervini, in Bull. Archeol. Nap., n. s., IX, 1861, pp. 76-77; H. Nissen, in Arch. Anz., 1866, c. 205-206; G. Fiorelli, Catalogo del Mus. Naz. di Napoli, Armi Antiche, Napoli 1869, n. 63 ss.; G. De Petra, Giorn. Sc. Pompei, 1870, coll. 117-128; A. Caraba, Giorn. Sc. Pompei, 1873, c. 395-402; M. Ruggiero, Scavi di antichità nelle province di terraferma dell'antico regno di Napoli dal 1743 al 1876, Napoli 1888, p. 614 ss.; C. Mancini, in Atti della R. Acc. di Napoli, XX, 1899, I, pp. 1-13; III, pp. 1-44; E. Gabrici, in Not. Sc., 1900, pp. 645-656; R. Delbrück, in Röm. Mitt., XVIII, 1903, pp. 154-158; A. Maiuri, in Not. Sc., 1913, p. 456; A. Andren, Architectural Terracottas from Etrusco-italic Temples, Lund-Lipsia 1940, p. CCXVI; G. Q. Giglioli,in Arch. Class., IV, 1952, pp. 177-182; E. Vetter, Handbuch der italischen Dialekte, Heidelberg 1953, I, nn. 150-155; G. Colonna, in St. Etr., XXV, 157, pp. 567-69; XXVI, 1958, p. 303. Per la questione dell'identificazione: A. Caraba, in Bull. Archeol. Nap., III, 1845, pp. 11-12; Th. Mommsen, ibid., IV, 1946, p. 113 ss.; id., Die unteritalischen Dialekte, Lipsia 1850, pp. 171-174; Ph. H. Huschke, Die oskischen und sabellischen Sprachdenkmäler, Elberfeld 1856, p. 27 ss.; Th. Mommsen, in Hermes, XVIII, 1883, pp. 176, 193; C. I. L., IX, 1883, p. 257; B. Kaiser, Untersuchungen zur Geschichte der Samniten, Naumburg . S. 1907, p. 8.