Vedi PIETRABBONDANTE dell'anno: 1965 - 1996
PIETRABBONDANTE (v. vol. VI, p. 160)
La ricerca dell'ultimo ventennio, che ha visto un singolare incremento degli studi sul mondo italico, ha portato anche a una comprensione migliore del santuario di P.: non solo si è ampliata la conoscenza del complesso archeologico grazie alla realizzazione di nuovi scavi, ma soprattutto si è conseguita una più esatta valutazione del suo ruolo storico. Si ritiene ora, infatti, che questo santuario sia il luogo nel quale venivano consacrate le decime dei bottini di guerra dei Sanniti, funzione che spiega il ruolo del tutto singolare avuto da P. nel territorio dei Pentri e che giustifica anche il fatto che magistrati statali abbiano operato costantemente nell'ambito del santuario.
Le armi rinvenute a P. (armi che, ritrovate qui in grande quantità, sono significativamente quasi del tutto assenti negli altri santuarî dei Pentri) dovrebbero quindi essere spolia hostium, offerte al santuario in seguito a fatti bellici diversi; i frammenti più antichi appartengono alla produzione tarantina compresa tra la fine del V e la prima metà del IV sec. a.C. e sono da riferire a scontri tra i Sanniti e qualcuna delle popolazioni circostanti, scontri non individuabili, ma evidentemente precedenti le guerre sannitiche. Con episodi delle guerre contro Roma va invece messa in relazione la maggior parte delle armi ritrovate, sia quelle già rinvenute nel secolo scorso, sia le altre, venute alla luce nel corso dei nuovi scavi; si tratta di materiale non perfettamente omogeneo da un punto di vista cronologico, dedicato in occasione delle vittorie che i Sanniti riportarono sui Romani e i loro alleati nel corso di mezzo secolo di guerra.
L'insediamento antico di P. acquista connotazioni ancora più precise in seguito al suo riconoscimento, da più parti proposto, con il sito antico di Cominium (Liv., X, 43, 5-7)· Tale toponimo (variamente attestato in ambiente italico) deriva dal nome che indica il comitium: la tipologia del teatro-tempio si collega appunto a quella dei comitia. Il questo caso in P. si potrebbe riconoscere proprio il luogo nel quale i Pentri convocavano i propri comitia.
La più antica sistemazione monumentale riconosciuta del santuario occupa un'area delimitata da muraglioni di blocchi irregolari e doveva essere di forma quadrata con una larghezza accertata di 55 m (corrispondente a 200 piedi oschi); tale impianto generale, che corrisponde chiaramente a un'area inaugurata, appartiene certamente alla fase di IV sec. del santuario. La pianta e le misure, coincidenti con quelle attribuite al luogo ove Livio (X, 38, 5 ss.) ambienta il giuramento che precedette la battaglia di; Aquilonia, hanno fatto ritenere che qui sia stato il sito reale al quale si è ispirata la descrizione liviana. Tali considerazioni completano l'immagine che viene oggi proposta per P.: forse la Cominium dei Pentri, luogo posto sotto il diretto controllo dello stato, nel quale venivano offerte le decime dei bottini di guerra e celebrati i riti connessi con le azioni belliche dei Sanniti e in cui, per tali caratteristiche, potevano a giusto titolo essere convocati i comitia.
Il santuario era orientato a E/SE, in asse con il punto da cui sorge il sole nel solstizio d'inverno e tale orientamento rimase immutato in tutte le fasi edilizie successive. La fronte dell'intero complesso si attesta su un tracciato stradale ancora esistente e certamente in uso già nell'antichità, il cui percorso fu probabilmente condizionato dalla costruzione del santuario.
Conosciamo molto imperfettamente la successiva fase edilizia di III sec., quella del c.d. tempio ionico, quando il santuario viene ristrutturato in forme monumentali. Non rimane in situ nulla di questo momento a eccezione, forse, dei due porticati di cui restano tracce nello spazio compreso tra la cavea del teatro e il tempio grande (ma è possibile che si tratti di strutture già esistenti nella fase precedente), tuttavia molti frammenti a esso pertinenti sono stati reimpiegati nel podio del tempio Β (sia come materiale da costruzione sia nel riempimento) ed è stato possibile recuperarli e riconoscerne l'origine: tra questi, uno dei capitelli ionici a quattro facce. Insieme ai frammenti del tempio (costruito con un calcare tenero, utilizzato pure negli edifici più recenti), si sono trovati anche elementi attribuibili a edifici minori della medesima fase, costruiti in tufo (probabilmente campano) rivestito di stucco bianco e frammenti di terrecotte architettoniche. I materiali recuperati si possono datare poco dopo la metà del III secolo. In questo momento, dunque, , si edificarono monumenti ispirati ai nuovi canoni ellenistici, in sostituzione delle strutture più semplici relative al primo impianto del santuario: non si ha però neanche la certezza che tali opere siano state ultimate, a motivo di una radicale distruzione che i dati di scavo permettono di porre verso la fine del III sec. e che, coerentemente con le vicende storiche vissute dal territorio, viene messa in rapporto con i saccheggi che l'esercito di Annibale compì nel Sannio nel 217 a.C.
Nel II sec. ha inizio la ricostruzione del santuario nelle forme in cui si è conservato: non sappiamo come si sia organizzato il culto nello spazio di tempo intercorso tra la populatio annibalica e l'inizio dei nuovi lavori, tuttavia la costruzione ex novo di un tempio, in un luogo diverso dell'area sacra, ha fatto ritenere che il santuario abbia subito una distruzione radicale, tale da escludere la possibilità di sanare i danni con un semplice intervento di restauro.
Si data infatti nella prima metà del secolo, probabilmente intorno al 180 a.C., la costruzione del tempio piccolo (A), già riportato alla luce dagli scavi borbonici; esso riprende lo schema comune dei templi italici, costruiti su podio con cornici superiore e inferiore modanate e planimetria caratterizzata da pronao e unica cella. È questo il periodo in cui si assiste nel Sannio a un particolare sviluppo dei santuarî extraurbani: ora vengono costruiti i santuarî minori (si ricordano quelli scavati o anche solo individuati a Vastogirardi, S. Giovanni in Galdo, Gildone, S. Pietro Avellana, Macchia Valfortore, Schiavi d'Abruzzo, Quadri) e si ristrutturano quelli maggiori (la stessa P. e Campochiaro). Le iscrizioni provenienti dallo scavo del tempio A (oggi nel Museo Nazionale di Napoli), documentano ampiamente lo specifico interesse che pose lo stato dei Pentri nella ricostruzione del santuario, interesse del quale si fece soprattutto carico la gens Staia; furono infatti meddices appartenenti a questa famiglia i magistrati che operarono in questo settore del santuario.
Ma il maggiore sforzo realizzato a P. riguarda la costruzione del complesso del teatro e tempio grande (B), che venne edificato sul pendìo dove era stato costruito il tempio ionico: l'area venne interessata da un pesante sbancamento, necessario alla realizzazione dei nuovi monumenti, cosicché il tempio preesistente (o, comunque, quanto ne rimaneva) venne completamente distrutto mentre i resti degli antichi porticati laterali rimasero interrati. La realizzazione degli edifici, che occupò più di mezzo secolo, avvenne secondo un progetto unitario sulla base del quale il complesso, utilizzando la medesima larghezza del santuario precedente, si sviluppava in lunghezza per c.a 90 m su un piano inclinato i cui dislivelli vennero opportunamente calcolati ai fini dell'effetto scenografico complessivo.
Venne costruito per primo il teatro, verso la fine del II sec., che riprende, nello schema architettonico e nelle sculture decorative, modelli ellenistici mediati dalla Campania, dove si ritrovano impiegati nel teatro piccolo di Pompei e in quello di Sarno. Riportato alla luce nel secolo scorso, in occasione degli scavi borbonici già ricordati, ha la cavea costituita da un riempimento artificiale di terreno contenuto da strutture in bella opera poligonale. Solo l'ima cavea è costruita in pietra, con tre ordini di sedili, notevoli per la fine lavorazione delle spalliere e dei braccioli terminali, mentre la summa cavea non dovette avere mai gradinate fisse. L'edificio scenico, affiancato da due passaggi per il pubblico, pur conservato per un'altezza minima, è tuttavia chiaramente comprensibile grazie ai molti elementi dell'elevato ancora esistenti: si può ricostruire un alto proscenio con semicolonne e cornici ioniche, nel quale si aprivano cinque porte; il soprastante tavolato del palcoscenico era chiuso posteriormente dalla parete della scaenae frons, nella quale si aprivano tre porte, e a ridosso della cui fondazione si riconoscono gli alloggiamenti delle travi che sostenevano le scene mobili. Dietro la scaenae frons trovano posto ambienti di servizio mentre all'esterno un porticato completava l'edificio scenico.
Nel 1959 ha avuto inizio lo scavo del tempio B, seguito da un restauro che ha permesso di integrare le parti mancanti del podio e della gradinata e di rialzare la parete settentrionale, i cui elementi erano stati individuati esattamente in fase di crollo. Il podio del tempio (c.a 22 X 35 m) ha, su un dado di base, una parete liscia inquadrata da una cornice inferiore e un cornicione di coronamento che ripropongono le medesime modanature del capuano podio Patturelli. Il tempio, la cui gradinata di accesso è inserita nel lato frontale, è prostilo, tetrastilo, con ante e tre celle; il pronao, allungato (con un rapporto di 2:3 tra la fronte e i lati) ha due allineamenti di colonne dinanzi alle ante, di cui quello più interno è privo delle due colonne centrali. I capitelli sono di ordine corinzio, mentre sopra le ante e le pareti correva un fregio dorico con metope lisce; le trabeazioni lignee erano rivestite da un apparato decorativo fittile, riconosciuto, insieme al materiale di copertura, come prodotto delle officine di Venafro. È stato possibile ricostruire esattamente la pianta del tempio grazie alla presenza, all'interno del podio, di un complesso di strutture, destinate in parte (quelle in pietre legate da malta) a ripartire la spinta del materiale di riempimento, in parte (quelle in opera quadrata di calcare tenero) a fondazioni delle varie parti del tempio. I tre altari si trovavano, in corrispondenza delle tre celle, su una piccola terrazza tra la fronte del tempio e la cavea del teatro: restano quello centrale e uno dei due laterali.
Tutt'intorno al podio si sviluppa un corridoio basolato, limitato da muri in opera poligonale; quelli laterali hanno anche la funzione di sostegno delle terrazze dove sorgono due porticati tuscanici che, con l'edificio a due piani al quale si appoggiavano, fornivano un ampio spazio di servizio per il santuario.
Sulla parete meridionale del podio del tempio Β si legge un'iscrizione osca, incompleta, che ricorda come la costruzione dello stesso podio, per una lunghezza di 60 piedi (ossia quasi la metà), sia stata curata da un Gaio Stazio Claro, personaggio di cui Appiano (Bell, civ., IV, 25, 102) ricorda le vicende: sostenitore della rivolta degli Italici, dovette ben presto passare dalla parte di Siila, poiché dopo la conclusione della guerra sociale venne ammesso a far parte del senato di Roma. Morì ottantenne, nel 42 a.C., ucciso dai triumviri. I dati biografici di questo personaggio permettono di datare il suo intervento a P. negli anni tra il 95 e il 91 a.C., immediatamente prima della guerra sociale. Il tempio Β venne dunque frequentato per uno spazio di tempo brevissimo e di fatto la sua costruzione non fu mai portata a totale compimento (come indica l'incompletezza del basolato nel corridoio posteriore, o la lavorazione interrotta di una delle vasche di fontana collocate presso la fronte del tempio). Il santuario non subì devastazioni o distruzioni dopo la disfatta degli Italici; il culto venne soppresso e l'area monumentale con tutte le sue pertinenze venne concessa a privati di parte sillana. Con la cessazione della frequentazione legata al culto, gli edifici subirono un rapido, progressivo degrado; già in epoca augustea si cominciò a recuperare quanto poteva ancora essere altrimenti utilizzabile: p.es. il materiale di copertura venne smontato e accatastato in alcuni ambienti del porticato destro, dove è stato ritrovato nel corso degli scavi. Nel III sec. l'area del tempio B, già notevolmente interrato, venne utilizzata per sepolture di personaggi probabilmente di rango servile.
È tuttora ignota la divinità alla quale il santuario era dedicato. La fase del tempio B, con le tre celle dell'edificio templare, presuppone l'esistenza, in questo momento, di un culto triadico, proposto certamente a imitazione e in contrapposizione con la triade capitolina; una lastrina di bronzo con dedica alla Vittoria si ricollega a sua volta al ruolo pubblico da sempre svolto dal santuario. Tuttavia non esistono elementi che permettano di proporre ipotesi che abbiano qualche probabilità di certezza.
Il territorio. - Alcuni scavi, insieme a una serie di rilevamenti e ricognizioni, hanno migliorato la conoscenza del territorio di P. nei diversi momenti storici e soprattutto relativamente al periodo precedente l'inserimento del Sannio nel sistema municipale romano. Allora infatti, con la creazione dei municipî e l'abbandono del sistema di insediamento paganico-vicano, che aveva permesso ai Sanniti di occupare estensivamente l'intero territorio dello stato, si ebbe una contrazione netta e definitiva delle aree occupate, che lasciò per secoli quasi completamente in abbandono i territori più elevati, come quello di Pietrabbondante.
In località Troccola, sulle pendici meridionali del monte Saraceno, in seguito a un ritrovamento fortuito, venne individuata e parzialmente esplorata una necropoli sannitica; alle tombe a fossa che si sono potute scavare, si aggiungono due circoli che, per il pessimo stato di conservazione, non hanno permesso particolari osservazioni. La sepoltura più antica, appartenente a un guerriero sepolto con kardiophỳlax, cinturone e lancia, si può datare al V sec. a.C., mentre per le altre la cronologia oscilla tra il IV e il III sec.; questo arco di tempo corrisponde probabilmente all'ambito cronologico dell'intera necropoli, per la quale si è proposta l'appartenenza a un'unica comunità gentilizia che ne avrebbe interrotto l'uso dopo le guerre contro Roma.
Il monte Saraceno (m 1.212 s.l.m.) è, a sua volta, occupato da una fortificazione in opera poligonale che appartiene a quel sistema difensivo territoriale che dovette funzionare soprattutto nel IV sec., nel periodo delle guerre contro Roma. In questo caso, alla funzione di avvistamento e difesa della vetta, si aggiunge il controllo dell'itinerario stradale che scavalca il valico sottostante, a quota 1.025 m.
Sulla base dei ritrovamenti occasionali e di superficie, sembra che tutto il territorio di P. sia stato occupato abbastanza densamente nel periodo tra le guerre sannitiche e la guerra sociale: tra gli altri appaiono maggiormente significativi l'insediamento di Arco, dal quale proviene una vasca di pietra con iscrizione osca, fatta costruire da un magistrato e simile a quelle del santuario, e quello di Colle Vernone. Qui si trovava un piccolo luogo di culto, nell'ambito del quale il senato dedicò alcuni altari ai Dioscuri.
A poca distanza dal santuario sono i resti di un monumento funerario risalente agli ultimi decenni del I sec. a.C.; le parti conservate permettono di ricostruire un edificio costituito da un dado quadrangolare decorato da paraste con capitelli corinzi, sormontate da un architrave. Superiormente si appoggiava un corpo cilindrico, la cui superficie era alleggerita da una serie di arcatelle rette da paraste sottili. Sul dado di base, tra una parasta e l'altra, si trovavano le iscrizioni dei proprietari del sepolcro, membri della gens Socellia: è conservata integralmente quella relativa a Caius e Quintus, due fratelli del C. Socellius Celer che aveva fatto costruire il monumento. L'appartenenza della famiglia alla tribù Voltinia conferma l'attribuzione del territorio di P. al municipî o di Treventum, dove in età imperiale è documentata la presenza di altri membri della stessa gens·, questi furono i primi proprietari dell'area e delle pertinenze del santuario, dopo che ne fu abolito il culto in seguito alla guerra sociale.
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