ZEEMAN, Pieter
Fisico olandese, nato a Zonnemaire, in Zelanda, il 25 maggio 1865. Studiò matematica e fisica a Leida e vi conseguì la laurea nel 1893. Quell'anno stesso si recò a Strasburgo a perfezionarsi e nel 1894 fu nominato libero docente di fisica a Leida. Il 31 ottobre 1896 a Leida scoprì il fenomeno magnetoottico che da lui prese nome (v. appresso) e da allora in poi è stato per molti anni tra i più attivi e autorevoli sperimentatori in questo ramo della fisica, al quale ha portato fondamentali contributi che hanno avuto vaste e lontane ripercussioni in tutta la fisica atomica e anche in altri campi. Nel 1897 fu nominato lettore all'università di Amsterdam e successivamente professore nella stessa università (1900). Fu costruito per lui un laboratorio speciale (Laboratorio Physica), del quale rimase direttore fino al 1935, quando, per raggiunti limiti di età, fu collocato a riposo. In questa occasione fu pubblicato un volume in suo onore al quale contribuirono fisici di tutto il mondo.
Nel 1902 Z. ebbe insieme con H. A. Lorentz il premio Nobel per la fisica. Egli è socio di molte accademie tra cui quella dei Lincei e doctor honoris causa delle principali università del mondo. È stato onorato anche con le medaglie e i premi di fisica di molte istituzioni: per es., la medaglia Matteucci della Soc. italiana delle scienze, la medaglia Rumford della Royal Soc. di Londra, di cui è anche socio, il Prix Wilde de l'Ac. des Sciences di Parigi, ecc.
Oltre alle ricerche magnetoottiche sopra ricordate, il nome dello Z. è legato a notevolissimi esperimenti sull'ottica dei corpi in movimento e sugli isotopi.
Il fenomeno di Z. è il fenomeno magnetoottico più importante; fu scoperto dallo Z. il 31 ottobre 1896. Una sorgente luminosa che emetta uno spettro di righe, posta in un campo magnetico, cambia leggermente il proprio spettro e precisamente le righe spettrali vengono scisse in componenti di frequenza assai prossima a quella emessa in assenza di campo magnetico. Le componenti sono anche polarizzate; lo stato di polarizzazione che si osserva dipende dall'orientamento relativo della direzione del campo magnetico e della direzione di osservazione.
Già il Faraday aveva cercato di rivelare un'eventuale azione di un campo magnetico sull'emissione della luce, ma il suo tentativo eia rimasto infruttuoso. Lo Z. mise per primo in evidenza il fenomeno, operando con le righe gialle (D) del sodio. Subito dopo il Lorentz, che era professore a Leida nella stessa università in cui lo Z. era assistente, diede una spiegazione del fenomeno, che per quanto ora sia sorpassata sotto alcuni aspetti, pure si è dimostrata fecondissima e ne coglie i tratti essenziali. Il Lorentz considera l'emissione della luce da parte di un corpuscolo elettrico di carica e e di massa m legato elasticamente a una posizione di equilibrio (oscillatore), e la influenza sull'emissione di un campo magnetico costante H. Ora un celebre teorema dovuto a J. Larmor afferma che la perturbazione prodotta da un campo magnetico esterno sopra il moto di punti materiali aventi tutti la stessa carica specifica e/m e soggetti oltre che a forze interne, a una forza centrale, consiste semplicemente in una rotazione uniforme di tutto il sistema intorno alla direzione del campo magnetico con velocità angolare
e quindi con frequenza
Fissiamo un sistema di assi cartesiani ortogonali, con l'asse z nella direzione del campo magnetico e riferiamo a esso il moto dell'oscillatore che emette la luce. Questo moto in assenza del campo potrà decomporsi in 3 moti: un moto armonico parallelo all'asse z di frequenza ν caratteristica dell'oscillatore; due moti circolari uniformi paralleli al piano xy, di velocità angolare ± 2 πν. Il campo magnetico lascia evidentemente inalterato il primo moto, mentre cambia, per il teorema di Larmor, le frequenze caratteristiche del secondo e del terzo in −ν + o e + ν + o. Otticamente ciò si rivela attraverso la luce emessa. La teoria elettromagnetica della luce prevede che un osservatore che guardi nella direzione del campo magnetico (osservazione longitudinale) deve vedere due componenti di frequenza ν + o e ν − o polarizzate circolarmente in sensi opposti, mentre un osservatore che guardi perpendicolamnente al campo magnetico (osservazione trasversale) vedrà tre componenti di frequenza ν, ν + o e ν −o. Di queste tre la prima è polarizzata rettilineamente parallelamente (π) al campo magnetico, intendendosi con ciò che il vettore elettrico della luce è parallelo ad H; le altre 2 sono polarizzate perpendicolarmente al campo (σ). Questo tipo di scissione si dice tripletto normale. In direzione obliqua la componente π rimane sempre polarizzata rettilineamente, quelle σ acquistano polarizzazione ellittica (fig. 1).
La teoria del Lorentz rende conto qualitativamente dei fenomeni e una sua prima importante applicazione fu quella di mostrare come la particella vibrante nello schematico oscillatore avesse carica negativa e massa di circa 1/2000 di quella dell'atono d'idrogeno.
All'effetto Z. in emissione o diretto è poi naturalmente collegato un effetto Z. in assorbimento o inverso, per cui anche le righe di assorbimento di un gas o vapore, sono influenzate da un campo magnetico in modo perfettamente analogo a quello delle righe di emissione. In particolare si ha anche un tripletto normale in assorbimento.
La piccolezza già accennata dell'effetto Z. rende indispensabili mezzi di osservazione molto delicati e potenti. Occorrono campi magnetici molto intensi (almeno 20.000 oersted) e omogenei e apparecchi spettrali d'alto potere risolutivo. Si pensi, p. es., che per H = 20.000 oersted e una lunghezza d'onda di 5000 Å per la luce imperturbata, la separazione fra le componenti estreme del tripletto normale è di 0,235 Å. Affinché si possano misurare bene delle strutture spettrali così fini è anche necessario che la sorgente emetta righe molto sottili, il che si ottiene con speciali accorgimenti.
L'effetto Z. normale, ossia quello conforme allo schema di Lorentz accennato or ora, si presenta solo in taluni casi (linee di singoletti); nella maggioranza dei casi si hanno tipi di scissione molto più complicati. Per es., riportiamo nelle figure 2 e 3 alcuni casi interessanti.
Gli effetti Z. differenti da quello normale si chiamano effetti Z. anomali e il loro studio si è dimostrato importantissimo per lo sviluppo della spettroscopia. Essi poterono essere interpretati solo con la meccanica quantistica e anzi hanno costituito una specie di pietra di paragone per molte teorie successive. La regola fondamentale di Preston dice che righe di una stessa serie spettrale hanno lo stesso tipo di effetto Z. e Runge osservò che le separazioni osservate negli effetti Z. anomali stanno in rapporti semplici con quella che si avrebbe per lo stesso campo nell'effetto normale.
La prima teoria quantistica dell'effetto Z. sembrava condurre anch'essa all'effetto normale. Essa si può riassumere così: al moto orbitale dell'elettrone è associato un momento magnetico
ossia Mμ in cui μ è il magnetone di Bohr (v. magnetone) e M è un numero intero che misura in unità h/2 π la componente della quantità di moto areale secondo l'asse z. Se l'atomo viene posto in un campo magnetico H esso acquista l'energia magnetica HμM e in un salto quantico tra orbite con diversi M, poiché sarà emessa, secondo i postulati fondamentali della teoria quantistica, la frequenza
eguale alla differenza fra le energie degli stati iniziali e finali divisa per h, vi sarà anche la parte derivante dall'energia magnetica
e poiché le regole di selezione per M sono M′ − M″ = ± 1 oppure 0, si ritrovano i risultati della teoria del Lorentz.
A. Landé verso il 1920 riuscì a trovare una formula che permetteva di calcolare gli effetti Z. anomali; essa fu però correttamente interpretata solo più tardi, quando nel 1925 C. E. Uhlenbeck e S. A. Goudsmit introdussero l'ipotesi, ormai universalmente accettata, dell'elettrone rotante. L'elettrone ha secondo Uhlenbeck e Goudsmit oltre a un'eventuale quantità di moto areale orbitale e il relativo momento magnetico, anche una quantità di moto areale intrinseca di grandezza 1/2 h/2π e ad essa è connesso un momento magnetico μ. Il rapporto tra momento magnetico e quantità di moto areale intrinseci è pertanto doppio di quello tra le corrispondenti quantità orbitali. Ciò svincola il modello dal teorema di Larmor e permette l'esistenza di effetti Z. anomali. Anzi questa ipotesi permise di dimostrare la famosa formula di Landé che domina tutti gli effetti Z.
Finché il campo magnetico che produce l'effetto Z. è relativamente piccolo, ossia finché o è piccolo in confronto alla separazione dei multipletti, lo spostamento delle singole componenti è rigorosamente proporzionale ad H. Quando invece i campi sono molto forti le componenti si raggruppano in modo che finiscono per dare, qualsiasi fosse il tipo Z. di partenza, il tripletto normale (fig. 4). Questo fenomeno prende il nome di effetto Paschen-Back dal nome dei due fisici che lo scoprirono nel 1913. Così, p. es., l'effetto Z. nello spettro dell'idrogeno o del litio è normale solo perché si trova praticamente sempre nello stadio di Paschen e Back, mentre per campi deboli dovrebbe essere anomalo come quelli del sodio e degli altri alcalini. Anche l'effetto Paschen-Back e i casi intermedî sono spiegati dalla teoria dell'elettrone rotante sia rispetto alla posizione sia nei riguardi dell'intensità e della polarizzazione delle componenti.
Con l'effetto Z. sono connessi gli altri fenomeni magnetoottici, per es., l'effetto Macaluso Corbino, l'effetto Voigt, ecc., e una conoscenza delle leggi dell'effetto Z. permette di predirli e calcolarli ricorrendo ai soliti schemi di oscillatori come si fa per la dispersione anomala.
Le applicazioni dell'effetto Z. nella fisica sono numerose e importanti. Nella fisica atomica l'effetto Z. è lo strumento più potente e sicuro per la classificazione degli spettri (v. spettroscopia). Inoltre esso permette in alcuni casi di determinare il momento della quantità di moto intrinseca dei nuclei (v. nucleo).
Alcuni tipi Z. totalmente anomali, cioè tali che si staccano dal tripletto normale anche nel caso dei singoletti, hanno rivelato il meccanismo di emissione di alcune righe singolari che non obbediscono alle regole di selezione e corrispondono all'irradiamento di sistemi classici più complessi di un oscillatore (quadrupolo).
Il fenomeno di Z. ha anche avuto un'applicazione notevolissima nel campo dell'astrofisica. Nel 1908 l'astronomo americano G. E. Hale osservò che molte righe di Fraunhofer mostrano allargamenti o fenomeni di polarizzazione che devono essere attribuiti all'azione del campo magnetico solare. Nelle macchie solari si sono riscontrati campi notevoli, fino ad alcune migliaia di oersted e che sono dovuti probabilmente a grandi correnti di gas ionizzati che si hanno nell'atmosfera solare; inoltre vi è anche un campo magnetico di struttura abbastanza simile a quello terrestre e molto più debole del precedente, avendo un'intensità media di una cinquantina di oersted.
Il fenomeno di Z. si presenta anche negli spettri delle molecole (spettri di bande), ma è molto meno cospicuo che per gli spettri degli atomi e anche molto meno studiato.
Bibl.: Dello Z., accanto a molte memorie sparse nelle principali riviste e atti di accademie, ricordiamo il libro Magnetooptische Untersuchungen, Lipsia 1914, classico nel suo campo. Un numero della rivista Physica del 1921 è stato dedicato alla commemorazione dei 25 anni della scoperta del fenomeno; un volume è stato dedicato a Z. nel 1935 (M. Nijnhoff, L'Aia 1935). Sul fenomeno, oltre al citato Magnetooptische Untersuchungen di Zeeman, v. varî articoli di Back nel Handbuch der Experimentalphysik, Lipsia 1926-30, e di Landé nel Handbuch der Physik, Berlino 1929; E. U. Condon e G. H. Shortley, The theory of atomic spectra, Londra 1935.