pietà (pietade; pietate; pieta)
Sostantivo ad alta frequenza in tutte le opere di D., particolarmente nella Vita Nuova. Nella Commedia compare 19 volte. È usato per lo più nella forma tronca, ma non sono rare neppure le altre due forme, di cui l'una (‛ pietade ') si riscontra soprattutto nella prosa, l'altra (‛ pietate ') esclusivamente nella poesia e quasi sempre in rima (per ‛ pieta ', v. oltre). In Pg V 87 pïetate è quadrisillabo.
D. stesso, in Cv II X 6, dà una spiegazione colta del termine: E non è pietade quella che crede la volgar gente, cioè dolersi de l'altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia ed è passione: ma pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia e altre caritative passioni.
D. ha qui presente l'accezione vulgata del termine che in ambito cristiano veniva immediatamente connesso a quella di ‛ misericordia '. Già s. Agostino aveva dato una precisa valutazione del termine in Civ. X 1 " Pietas quoque proprie Dei cultus intellegi solet, quam Graeci εὐσέβειαν vocant. Haec tamen et erga parentes officiose haberi dicitur. More autem vulgi hoc nomen etiam in operibus misericordiae frequentatur; quod ideo arbitror evenisse, quia haec fieri praecipue mandat Deus eaque sibi vel pro sacrificis placere testatur. Ex qua loquendi consuetudine factum est ut Deus ipse dicatur pius; quem sane Graeci nullo suo sermonis usu εὐσεβῆν vocant, quamvis εὐσέβειαν pro misericordia illorum etiam vulgus usurpet ".
Ciò che D. avverte è una nozione di p. più vicina al valore di ‛ abito ' che predispone alla virtù (da ciò la dizione di ‛ disposizione d'animo ') derivata dall'etica aristotelica, al quale sono proprie delle ‛ affezioni ' o passioni entro l'ambito della carità, come l'amore e la misericordia (cfr. per questo Cv IV XIX 5 le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, e le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte, dov'è da rilevare la distinzione compiuta da D. tra p. propriamente detta e religione come culto di Dio). La p. quindi, più che una specifica virtù, denota una condizione dell'animo, una naturale disposizione alle inclinazioni caritative, ma precedente ad esse.
La p. come disposizione naturale è ricondotta da D., ‛ per via teologica ', alla sua origine divina, alla divina caritate cioè Amore, che è proprio dello Spirito Santo e da cui derivano i sette doni, cioè Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietade e Timore di Dio (Cv IV XXI 12; cfr. Tomm. Sum. theol. II II 121 1 " Respondeo dicendum quod... dona Spiritus Sancti sunt quaedam habituales animae dispositiones ").
Comunque la connessione tra p. e carità-amore-bontà è resa evidente in Cv II X 5 pietade, la quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo.
Per lo più è questo il significato in cui occorre il corrispondente termine latino (pietas) nella Monarchia e nelle epistole; diversamente, l'uso dantesco del volgare ‛ pietà ' non è univoco in tale accezione (cfr. le voci CARITÀ; Compassione; Misericordia; Passione).
Nel senso di " compassione ", " misericordia ", ma sempre con connotazione di bontà e amore (spesso con diverse sfumature semantiche, a seconda che l'autore più si avvicini al significato sopra precisato), ricorre infatti in Vn XV 8 mostra pietà di me... doverebbe avere pietà; VIII 8 1 Morte villana, di pietà nemica, / di dolor madre antica, e XXXV 2; Rime CXVI 79 nuda [" priva ", " incapace "] di pietate.
Si veda inoltre: If XIII 36 non hai tu spirto di pietade alcuno?; Pg VI 116 nulla di noi pietà ti move; e ancora: Vn XII 12 17 e 14 35, XIII 8 7, XXIII 27 76, XXXII 5 2, XXXV 3 e 5 1, XXXVI 4 1; Rime L 52, LVII 4, LVIII 3, LXVI 4, LXVII 34, LXVIII 44, LXXX 21, XC 51, Rime dubbie V 44, VIII 14, XV 3, XXVII 12; If V 72, 93 e 140, XIII 84, XX 28, XXIX 44 (per queste occorrenze dell'Inferno, v. oltre), Pg X 93, XI 37, XIII 64, XV 114, XXX 81, Fiore CIX 6, CLIII 5, CCXXVII 2, CCXXXII 2.
In Vn XVI 7 3 venmene pietà, come anche in Rime LXVII 3, vale " pietà verso sé stessi ". In Vn XXII 9 4 'l vostro colore / par divenuto de pietà simile, e in If IV 21 L'angoscia de le genti / che son qua giù, nel viso mi dipigne / quella pietà che tu per tema senti, il termine indica il turbamento che nasce dalla compassione e che si manifesta nel pallore del volto. Più specifica l'accezione del vocabolo in Pg V 87 con buona pïetate aiuta il mio [desiderio], " con vera pietà cristiana pregando e facendo pregare per me, compiendo opere cristiane in suffragio mio " (Scartazzini-Vandelli).
In Pd XXXIII 19 In te misericordia, in te pietate, i due sostantivi, attributi della Vergine, sono usati, secondo il Buti, in queste distinte accezioni: " perché [il poeta] aveva detto che [Maria] era benigna a soccorrere a chi dimandava, si dimostrava che in lei era misericordia; e perché avea detto che spesse volte soccorrea inanti che si dimandasse, si dimostrava la pietà "; opportunamente alcuni interpreti rimandano a Cv I I 9, ove misericordia è detta madre di beneficio, e II X 6, citato. Ed è soprattutto in questo luogo che il vocabolo appare usato nel suo significato più specificamente teologale, come virtù sovrannaturale, dono dello Spirito Santo attraverso il quale si matura e si fa perfetto il concetto della giustizia in relazione al culto di Dio e alla funzione mediatrice di Maria Vergine.
Molto dibattuto il problema relativo alla p. che D., usando questo termine o altre espressioni equivalenti, dichiara per alcuni dannati in diversi luoghi della prima cantica (If V 72, 93, 116-117 e 140, VI 58-59, XIII 84, XVI 9-18 e 46-51, XX 19 ss., XXIX 1-3, 36 e 44), in quanto tale sentimento può apparire in contrasto con il suo ufficio di severo giudice e spettatore del peccato altrui. I critici romantici, dal Foscolo al De Sanctis, particolarmente in relazione al canto V (senza dubbio il più significativo dell'atteggiamento del poeta a questo riguardo), vedevano nel D. pietoso delle pene dei dannati solo " l'uomo vivo nel regno de' morti, che porta colà un cuore d'uomo e rende profondamente umana la poesia del sopraumano " (De Sanctis). Insomma, anche in virtù della particolare frequenza con cui il termine p. occorre nel canto V (3 volte sulle 10 in cui esso si registra nell'Inferno e sulle 19 in cui è usato nell'intera Commedia; mentre ai vv. 116-117 il poeta si dice tristo e pio, cioè turbato e pietoso fino alle lagrime, nel considerare i martiri di Francesca), il Foscolo e il De Sanctis postulavano in D. una simpatia tout court nei confronti dell'" eroina ". Questa interpretazione della p. di D. per Francesca come partecipazione dolente che tutta si sottrae al dominio dell'ortodossia religiosa, ha avuto larghissima fortuna, anche in tempi più recenti. Tuttavia, da qualche tempo, sulle orme del D'Ovidio e, in parte, del Parodi e del Barbi, alcuni studiosi, quali il Pagliaro, il Caretti, il Contini, il Mattalia, il Marcazzan, il Sapegno, e il Russo, si sono curati di riconciliare in qualche modo, nella persona di D., il poeta e il " teologo ", ritrovando, anche attraverso un più attento rilevamento dei dati filosofici e lessicali, un più complesso, ma, al tempo stesso, meno contraddittorio atteggiamento dell'autore di fronte alla dannazione dei due cognati: qui p. è ricondotta al concetto, in parte espresso dal Boccaccio, di contrizione morale rispetto agli effetti sconvolgenti del peccato umano totalmente privo di qualsivoglia partecipazione etica allo stato d'animo del peccatore (ma per la specifica significazione della pietà verso Francesca, cfr. sub v., poiché è tema centrale per la complessiva valutazione del celebre episodio, e cfr. ivi i vari rimandi bibliografici, dalle Esposizioni boccacciane agli studiosi di oggi).
Ora, se la p. per Ciacco può apparire una semplice formula di cortesia adeguata alla circostanza (ma gl'interpreti, in genere, lo escludono), non c'è dubbio che questo sentimento sia effettivamente provato dal poeta-protagonista, quando egli si trova davanti a Francesca e Paolo, a Pier della Vigna, ai sodomiti, in particolare di fronte a Iacopo Rusticucci, e persino in Malebolge (v. oltre la discussione relativa a If XX 28). Sicché ci sembra si possa riconoscere in D. un senso di p., nel significato di " compassione ", verso alcuni dannati: beninteso, non come affermazione di solidarietà e d'indulgenza, ma come una manifestazione della complessa psicologia del poeta-protagonista, il quale, nella prima cantica, appare ancora " impastato di terrestre umanità ", sicché i suoi sentimenti si estrinsecano talvolta in forme e direzioni incontrollate, " non essendo ancora disciplinati dal governo della volontà e della ragione " (Mattalia). D'altra parte, si dice ‛ pietoso ' anche Virgilio (If IV 21, citato), sia pure nei confronti delle sole anime del Limbo, sue consorti, come intende la maggior parte degl'interpreti (ma cfr. il commento del Sapegno, che riferisce il sentimento del maestro a tutti gli abitatori della valle infernale). Quanto, poi, al tentativo del Sapegno di dimostrare, in contrasto con l'intera tradizione esegetica, che pietà (If V 72) e pietade (v. 140) non indicano " compassione ", ma, nel primo caso, " turbamento che nasce dalla considerazione delle terribili conseguenze del peccato ", nel secondo caso " tristezza che nasceva dal contemplare quell'infelicità senza scampo ", sebbene l'uso dantesco del termine comprenda anche quest'accezione (v. oltre), abbiamo ragione di ritenere che la " compassione " non possa escludersi dall'atteggiamento del poeta-protagonista. Infatti se s'interpretasse il sostantivo esclusivamente come " turbamento ", non si capirebbe perché, al v. 117, D. si dica tristo e pio fino alle lagrime. Se il poeta avesse voluto significare solo il turbamento, sarebbe bastato l'aggettivo tristo; mentre l'aggiunta di pio (nella palese accezione di " pietoso ": cfr. If XXIX 36) sta a indicare, inequivocabilmente, un altro sentimento che si mescola al primo. Così pure da rifiutare ci sembra l'interpretazione, anch'essa del Sapegno, di pietà di If XIII 84 come " angoscia ".
Insomma, in tutti questi passi, l'autore ha cercato di calare il protagonista dell'opera, cioè il personaggio D., in una dimensione psicologica estremamente complessa e problematica. E di questa ricerca crediamo si possa cogliere una conferma in uno dei versi più travagliati della Commedia: If XX 28 Qui vive la pietà quand'è ben morta. Quasi tutti i commentatori antichi e molti dei moderni intendono: " qui la vera pietà è di non averne "; altri, riprendendo la glossa del Buti (" Qui... vive la pietà; cioè la congratulazione della giustizia di Dio, che giustamente dà pena ai dannati, quand'è ben morta; la pietà, cioè la compassione della pena de' dannati "), scorgono nel sostantivo una doppia accezione, intendendo: " qui vive la pietà (verso Dio) quando è ben morta (verso i dannati) " (Chimenz): p. avrebbe, cioè, il duplice significato del latino pietas e di " compassione ". Interpretazione, questa, già confutata dal D'Ovidio (Studii sulla D.C., Milano-Palermo 1901, 77-80) con diverse argomentazioni, di cui le più rilevanti ci sembrano le seguenti: il sostantivo p., nel poema, non ha mai il senso di " pietà verso Dio " (pietas); tutta la nostra lingua antica è aliena dal dare al termine il senso strettamente religioso. Ci pare pertanto apprezzabile la soluzione della questione avanzata dal Pagliaro (Ulisse 614), il quale, appellandosi alla sopra citata distinzione di Cv II X 6 fra p. come " misericordia ", " dolersi de l'altrui male ", e p. come " nobile disposizione d'animo ", così intende " qui si osserva più alta pietà, quando non si ha pietà; cioè la pietà per la pena che punisce tale specie di peccatori è contraria a quella fondamentale pietà che è disposizione di amore verso l'umanità ". Nel problema interpretativo del termine intervengono anche il significato da attribuire al qui (se esso sia da riferire a tutto l'Inferno o alla sola bolgia degl'indovini, ovvero all'intero cerchio VIII) e l'esegesi dei vv. 29-30 (chi è più scellerato che colui / che al giudicio divin passion comporta?), per cui cfr. PASSIONE. Nonostante il rimprovero di Virgilio, D. prova p. per i dannati anche in successive occasioni: in If XXIX 1-3 egli piange considerando la pena dei seminatori di scandalo (e la seguente reprimenda di Virgilio non riguarda specificamente il pianto del poeta ma, più in generale, il suo indugio); al v. 36 dello stesso canto egli dichiara la sua p, per Geri del Bello; ancora, al v. 44, giunto sopra l'ultima bolgia, sarà profondamente colpito (saettaron me) da lamenti che di pietà ferrati avean li strali (ov'è anche da rilevare il carattere prezioso dell'immagine).
Quanto a If II 5 la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, anche qui, a giudizio della maggior parte dei commentatori, il termine vale " compassione "; il Sapegno, invece, intende " angoscia derivante dalla contemplazione di tanti dolori ".
Nel senso di " angoscia ", " tristezza ", " turbamento " (a volte con l'idea implicita di " compassione che l'angoscia desta in chi guarda ") ricorre in Vn XXXI 1 e 8 1 Li occhi dolenti per pietà del core, XXII 10 9 e 16 12; Rime CV 2 per novella pietà che 'l cor mi strugge; v. anche Vn XIV 9 e 10, XXII 3 e 14 6, XXXVII 6 4, Cv IV XXVII 11, Rime CXVI 15.
In Vn XV 6 12 per la pietà, che 'l vostro gabbo ancide, il primario valore semantico di " turbamento ", " angoscia ", di per sé palese nella struttura dell'intero periodo, contrariamente a quanto intendono alcuni (ad es., il Sapegno), i quali attribuiscono al sostantivo il significato di " compassione ", è anche chiaramente indicato nella relativa ‛ ragione ' (XV 8), in cui D. spiega il termine come vista pietosa, la quale è distrutta, cioè non pare altrui, per lo gabbare di questa donna, lo quale trae a sua simile operazione coloro che forse vederebbono questa pietà: in questo caso vista pietosa, come chiarisce ulteriormente la successiva espressione vederebbono questa pietà, vale, appunto, " aspetto angosciato, tale da destare compassione ". In questo stesso paragrafo (XV 8) il sostantivo p. compare 3 volte: 2 volte col significato di " compassione " (mostra pietà di me, doverebbe avere pietà, citati), e una con quello di " angoscia che desta compassione " (vederebbono questa pietà).
In If VI 2 dinanzi a la pietà d'i due cognati, il termine è inteso per lo più nel senso di " dolore ", " angoscia "; ma il Barbi (Problemi I 264) spiega " pianto: pianto doloroso da indurre a pietà (cfr. Inf. V 126 e 140) ". Vale " pianto " (Pazzaglia) in Vn XXIII 17 4 li occhi miei pien di pietate, com'è anche detto al § 11 dello stesso capitolo; più sfumata l'interpretazione di Barbi-Maggini: " [occhi] così dolenti e smarriti da far compassione, pieni di angoscia ", con rinvio a If I I 21.
Incerto il valore semantico del sostantivo in Vn XXXIII 7 15 E' si raccoglie ne li miei sospiri / un sono di pietate, / che va chiamando Morte tuttavia, ove p. può significare sia " angoscia " (un sono di pietate, cioè " una voce d'angoscia ") sia " compassione ", " misericordia " (" un'invocazione di misericordia " rivolta alla morte).
Il senso di " devozione filiale " è documentato in Cv IV XIII 13 molte volte contra la debita pietade lo figlio a la morte del padre intende, e in Pd IV 105 per non perder pietà sifé spietato: Almeone, per non venir meno alla " devozione filiale " verso il padre Anfiarao, si fece empio, uccidendo la madre Erifile (cfr. Ovidio Met. IX 408). In Fiore CLXI 13 pietà carnale ha il significato di " amore viscerale della madre verso i figli ".
Personificato in Vn XIII 9 14 madonna la Pietà; quindi anche in VIII 5 3, XIII 6 e 10, XIV 12 5, XIX 8 22, Fiore VII 4, XIII 4, XIV 1, LXXIX 3, LXXXIV 7, CCVIII 7, CCIX 1, CCXXVI 5. V. la voce seguente.
La forma nominativale ‛ pieta ' è usata per lo più in rima (4 delle 5 occorrenze), modellata sul latino ma di più diretta derivazione dal francese (v. Parodi, Lingua 247), e sembra avere significato distinto da ‛ pietà ' in quanto vale più spesso " tormento ", " angoscia ", " affanno ": If I 21 con tanta pieta (" con tanta angoscia "; ma il Buti intende " con tanto lamento "); II 106, VII 97 e XVIII 22; la distinzione, già intesa dal Blanc (Vocabolario dantesco, Firenze 1859, 315), è stata ulteriormente ribadita dal Pagliaro (Ulisse 130 nota). In If XXVI 94 la pieta / del vecchio padre ha il significato di " devozione filiale ".