MENDÈS-FRANCE, Pierre
Uomo politico francese, nato. a Parigi l'11 gennaio 1907. Diplomato alla Scuola di scienze politiche ed avvocato, entrò prestissimo nella politica e nel 1936 fu eletto deputato radical-socialista; esperto di economia e finanza, divenne sottosegretario al Tesoro nel gabinetto Blum (1938). Nel 1940 raggiunse l'Africa settentrionale, ma qui fu arrestato come disertore e condannato dal Tribunale militare di Vichy; evaso, raggiunse l'Inghilterra, dove combatté nelle forze aeree francesi libere. Membro del Comitato francese di liberazione, in qualità di commissario alle Finanze, partecipò alla conferenza monetaria internazionale di Bretton Woods, e preparò un piano di riassestamento finanziario ed economico della Francia, da attuarsi dopo la liberazione. Liberata Parigi, fu nominato commissario dell'Economia nazionale, e come tale presentò il suo piano, audace tentativo di ricostruire e modernizzare l'economia francese, contemperando dirigismo e liberismo. Respinto il suo piano, nell'aprile 1945 si dimise. Formatosi il governo socialista-cattolico-comunista di F. Gouin, fu invitato a farne parte come ministro dell'Economia e Finanze, e presentò un nuovo piano di austerità, riduzione drastica delle spese militari, lotta contro la speculazione, incremento delle imposte; ma il suo partito, il radicale, gli impedì di entrare nel governo. Nel 1946-47 fu direttore per la Francia della Banca internazionale per la ricostruzione a Washington, e dal febbraio 1947 rappresentante permanente francese al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.
Tornato ai dibattiti parlamentari, come uno dei più vigorosi e preparati rappresentanti dell'opposizione, divenne aspro critico della politica economico-finanziaria, nordafricana e indocinese dei governi che si succedettero, fino a quello Laniel, contro il quale pronunziò una larga requisitoria (giugno 1954), sostenendo la necessità d'inquadrare il problema dell'Indocina in una nuova visione complessiva della realtà politico-economica della Francia. Provocò così il voto di fiducia sul quale cadde Laniel. Incaricato di formare il nuovo governo, vi riuscì rapidamente, cercando consensi in varie direzioni e tentando una mobilitazione delle forze democratiche francesi. Accolto dal favore dell'opinione pubblica, dette subito inizio alla sua opera, affrontando il problema della guerra d'Indocina, che risolse rapidamente alla Conferenza di Ginevra. Subito dopo si recò in Tunisia, aprendo il dialogo per risolvere la questione dell'indipendenza di quel paese. Nel frattempo dava corso ad un'energica attività nel settore economico e finanziario. Ma sia il programma economico, sia la politica coloniale ed estera di Mendès-France urtavano contro troppi interessi costituiti, né l'abile (e anche eccessivo) trasformismo da lui adottato per sostenersi poteva salvare alla lunga il suo governo. Il rifiuto dell'Assemblea di ratificare la CED (verso la quale peraltro Mendès-France non aveva nascosto la sua freddezza) non bastò a placare l'irritazione della destra nazionalista; e scoppiava l'insurrezione algerina. Perciò Mendès-France cadde (febbraio 1955) senza aver potuto condurre in porto la sua politica economica e dare completa prova di sé nella politica coloniale ed estera (v. francia: Storia). Divenuto vice presidente del Partito Radicale, fu ostile al nuovo premier, E. Faure, anch'egli radicale, e quando questi sciolse le Camere, lo fece espellere dal partito. Passato ad una decisa opposizione, Mendès-France continuò a proporre una politica di conciliazione con i ribelli algerini. Dopo l'avvento di de Gaulle accentuò la sua intransigenza repubblicana e antifascista; dopo aver aderito all'Union des forces démocratiques, è uscito dal Partito Radicale; è poi entrato nel Parti Socialiste Autonome e nel settembre 1960 nel nuovo Parti Socialiste Unifié. Nelle elezioni del settembre 1959 non era stato rieletto deputato.