Charron, Pierre
Filosofo e teologo francese (Parigi 1541 - ivi 1603). Laureatosi in giurisprudenza a Bourges, rinunciò presto a una brillante carriera di avvocato, per diventare sacerdote (1576). Predicatore famoso, fu invitato ad Agen, Cahors, Condom, alla corte della regina Margherita e, a partire dal 1589, a Bordeaux, dove divenne amico di Montaigne, stringendo un legame che influenzò profondamente la sua riflessione. Prese viva parte per qualche tempo alle lotte civili e religiose; godette del favore anche di Enrico IV, e fu una delle personalità più complesse e singolari del Cinquecento francese. Pubblicò scritti di argomento religioso, quali Les trois vérités contre les athées, idolâtres, juifs (1593), trattato di apologetica cattolica contro i protestanti, e i Discours chrétiens (1589 e 1601). Ma l’opera a cui soprattutto è legata la sua fama è il Traité de la Sagesse (1601; cui fece seguito il Petit traité de la sagesse, post., 1606, trad. it. Piccolo trattato sulla saggezza); in esso Ch. cerca di determinare quale sia il miglior modo di vivere e, riconosciuta l’incapacità della ragione a scoprire il vero, intende provare la necessità di seguire una religione rivelata, in partic. quella cattolica. Il trattato, volendo mettere la fede al riparo dalle pretese della ragione, se da un lato si colora di accenti fideistici (limitando il ruolo della religione al rapporto diretto tra Dio e l’uomo), dall’altro si pone in polemica contro la teologia razionale della scolastica, intesa come valutazione positiva dell’atteggiamento scettico e come messaggio di tolleranza. La proposta dell’autore è quella di distinguere nettamente tra religione e morale: la ragione deve rinunciare alle sue pretese metafisiche (accettando per fede le verità religiose) e ritagliarsi un ambito mondano in cui è sovrana e libera; Ch. afferma quindi il valore di una morale naturale, permeata di stoicismo, profondamente umana e razionale, indipendente da premi o punizioni ultraterreni, rivolta essenzialmente a pochi ‘spiriti forti’ capaci di esercitare il dubbio scettico per difendersi dal dogmatismo e dalla cieca obbedienza al ‘costume’, contro la massa degli ‘spiriti deboli’, facile preda di fanatismo e superstizione. Tale ideale di vita non è però alla portata di tutti, e deve essere realizzato nell’intimità della propria coscienza unitamente al pieno rispetto esteriore dell’ordine costituito, la cui conservazione resta sempre per Ch. una priorità assoluta. Di qui la fortuna dell’opera (condannata dall’autorità religiosa e civile e poi ristampata, emendata, in una seconda edizione nel 1604) nell’ambiente dei libertini eruditi della prima metà del sec. 17°, che ne mettevano in luce gli aspetti scettici (in partic. riguardo all’immortalità dell’anima) e la critica dei pregiudizi.