VESPUCCI, Piero
– Nacque a Firenze nel 1432 da Giuliano di Lapo e da Bice Salviati.
Il padre, filomediceo, si arricchì grazie alla mercatura e rivestì vari uffici sia a Firenze (fu priore nel 1443, 1448 e 1454, e gonfaloniere di giustizia nel 1462) sia nel territorio (fu podestà a Pistoia nel 1459-60 e nel 1466).
Primo figlio maschio, Piero fu avviato all’attività mercantile in giovane età, e nel febbraio del 1463 ottenne per la prima volta l’incarico di capitano di una delle galere fiorentine dirette in Oriente. Rispetto alla tradizione familiare, egli mostrò presto spiccate ambizioni di ascesa politica e sociale, anche sulla spinta del suo prestigioso matrimonio, nei primi anni Cinquanta, con la giovanissima Caterina Benci (figlia di Giovanni, uno dei principali collaboratori di Cosimo de’ Medici). Dall’unione nacquero tre figlie – Bice, Ginevra e Marietta – e un figlio, Marco.
Nel 1466 prese posizione contro i congiurati antimedicei, ma questo non gli valse l’agognato accesso al più stretto entourage di Piero e poi di Lorenzo il Magnifico. A partire dallo stesso anno ebbe comunque numerosi incarichi nel territorio: nel 1466 fu vicario di Vicopisano, l’anno seguente patrono della galera Ferrandina e tra il 1468 e il 1469 podestà a San Gimignano, prima di rientrare a Firenze per l’elezione, nel giugno di quell’anno, tra i Dodici buonuomini. Terminato il trimestre previsto dall’ufficio, fu inviato a Napoli per affiancare l’ambasciatore Otto Niccolini nella missione finalizzata a convincere Ferrante all’alleanza con Milano e Firenze. Grazie anche alla familiarità del padre con il sovrano, Vespucci portò a buon fine la trattativa, e nel giugno del 1470 fu insignito da Ferrante d’Aragona del titolo di cavaliere; la circostanza colpì i suoi concittadini e Vespucci, tornato in patria, non mancò di farne vanto. Il compiacimento, tuttavia, fu presto sopravanzato dalla delusione di non essere incluso da Lorenzo tra i quaranta membri della sua Balìa.
Il 7 luglio 1471 egli scriveva al Magnifico una lettera dai toni risentiti, sottolineando l’ingratitudine con cui era stata ripagata la sua fedeltà e il suo impegno economico per la causa medicea (Tripodi, 2018, pp. 90-92).
Nonostante l’amarezza, Vespucci continuò a intrattenere con Lorenzo un fitto scambio epistolare. I rapporti di forza tra i due erano sbilanciati, ma nel suo ruolo di mediatore per compravendite (soprattutto di cavalli) o per raccomandazioni di ogni tipo Vespucci tentava costantemente di ritagliarsi il proprio margine di profitto, e parallelamente di mantenere autonomia di giudizio: un atteggiamento che, pur non arrivando alla disobbedienza, gli impedì di guadagnare la piena fiducia del Magnifico. Nel 1472 fu comunque inviato a Piombino come intermediario, per convincere Iacopo III Appiani (con cui aveva ottimi rapporti) a non interferire nella guerra lampo con cui Lorenzo costrinse Volterra alla resa.
Nel marzo del 1474 prese servizio come podestà di Milano, incarico che interruppe nel novembre dello stesso anno per recarsi a Bologna, dove tenne la podesteria fino al 1476. Nel biennio trascorso lontano da Firenze continuò a scrivere al Magnifico, con cui i rapporti, al ritorno in patria, si fecero sempre più frequenti a motivo della malattia della giovane nuora Simonetta.
Simonetta Cattaneo aveva sposato Marco Vespucci nel 1468, a Piombino, ma la sua bellezza aveva presto conquistato Giuliano de’ Medici, e forse anche suo fratello Lorenzo. Immortalata da artisti e poeti come Sandro Botticelli e Agnolo Poliziano, la giovane morì di tisi, appena ventitreenne, nell’aprile del 1476. Nelle settimane precedenti il suo decesso, il Magnifico inviò uno dei suoi medici personali per assicurarle le cure migliori, e Vespucci colse l’occasione per scrivere varie lettere in cui informava Lorenzo della situazione (che volgeva al peggio), esprimeva la propria riconoscenza per l’interessamento, ma si preoccupava anche che le spese mediche ulteriori non ricadessero sulle sue dissestate finanze.
Non sappiamo se Vespucci sperasse ancora di entrare a far parte della più stretta cerchia di collaboratori di Lorenzo. Certo è che tale possibilità, già minata dalle perenni recriminazioni e dall’insistente ricerca di un proprio margine di manovra, si infranse del tutto alla fine di aprile del 1478, in seguito alla congiura dei Pazzi, nella quale Giuliano de’ Medici trovò la morte.
Vespucci, allora a Pisa, non partecipò alla cospirazione in prima persona, ma, incautamente, aiutò a fuggire uno dei congiurati, Napoleone Franzesi. Di ritorno a Firenze, il 1° maggio, fu imprigionato, sottoposto a tortura e condannato al carcere perpetuo.
Non è facile comprendere le ragioni dell’azione di Vespucci, che è forse da ascrivere al misto di superficialità e avventatezza di cui diede spesso prova (e di cui gli amici, primo fra tutti Luigi Pulci, erano consapevoli). Suggestiva ma improbabile l’ipotesi di Passerini (ripetuta talvolta dalla storiografia: v. Arciniegas, 1955, trad. it. 1960, pp. 60 s.), che egli avesse favorito la congiura per odio nei confronti di Giuliano, amante della nuora. Pur tenendo presente la natura faziosa e letteraria del giudizio molto negativo di Poliziano, che ritrae Vespucci come un novello Catilina, dilapidatore dei beni paterni, avido, infido e «rerum novarum cupiens» (A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi..., a cura di A. Perosa, 1958, p. 56), va sottolineato che tra i contemporanei circolò effettivamente la voce, riportata da Belfradello Strinati e ser Giusto d’Anghiari, che egli avesse agito sotto la spinta di interessi economici.
In ogni caso, nonostante il suo coinvolgimento fosse solo indiretto, Vespucci si trovò a far le spese del difficile rapporto tra Lorenzo e Ferrante d’Aragona, che si ruppe definitivamente con la congiura. La familiarità con il re di Napoli, che inizialmente aveva giocato a suo favore, confermò a quel punto i dubbi del Magnifico rispetto alla fedeltà e affidabilità di Vespucci. Le accorate lettere che Piero indirizzò a Lorenzo dalle Stinche («piacciavi chavarmi di qui e metetemi sotto una pancha e mai uscirò di vostri comandamenti, e, se mai io potrò, ristorerò questo errore ò fatto»: Tripodi, 2018, p. 121) non ricevettero risposta, e a nulla valse l’intercessione della figlia Ginevra e del figlio Marco – mentre i parenti più vicini ai Medici, come Guidantonio Vespucci, si guardarono bene dall’aiutarlo.
Fu solo per l’intervento del duca di Calabria, in seguito alla pace da questi conclusa con Lorenzo, che Vespucci, il 30 aprile 1480, fu liberato. Dopo quasi due anni di carcere, la condanna fu prima commutata in esilio perpetuo e poi, il 2 giugno, gli fu condonata del tutto. Ma Vespucci scelse comunque di cambiare aria, e tra la fine del 1480 e l’inizio del 1481 prese servizio come capitano a Lugano.
Nella città ticinese, allora soggetta a Milano, riuscì a scontentare tutti, tanto che le fazioni nemiche dei guelfi e dei ghibellini si associarono nell’accusarlo di fronte al governo ducale di corruzione e abuso di potere. Grazie al ricco carteggio di Benedetto Dei, sappiamo che in quei mesi si incrinò anche l’amicizia con Pulci, che avrebbe voluto succedergli nell’incarico luganese, se Vespucci avesse rinunciato davvero a un secondo mandato, come a parole sembrava propenso a fare.
A indispettire Pulci, oltre al solito opportunismo dell’amico, era stato soprattutto l’atteggiamento inframettente di sua moglie Caterina (ricordata invece positivamente da Giovanni Sabadino degli Arienti proprio per il suo prodigarsi a favore del marito).
Dopo un passaggio a Firenze, e un viaggio che lo condusse a Ferrara, Bologna, Verona e forse Venezia, alla fine del 1484 Vespucci fu nominato commissario di Alessandria e di Tortona. Ad Alessandria, come scriveva a Ludovico il Moro il 7 gennaio 1485, trovò «homeni dissoluti et malcorreti quanto dir si possa» (Gasparolo, 1892, p. 13), e tentò di reprimere con la forza i disordini endemici tra guelfi e ghibellini. Nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1485, per colpire la fazione ghibellina, fece irruzione nella casa del facinoroso Carrante Villavecchia. L’esecuzione sommaria di quest’ultimo, che Vespucci impiccò con le proprie mani, provocò l’immediata ritorsione dei familiari e amici della vittima, che la mattina seguente assalirono il palazzo del podestà e impiccarono Vespucci a una ringhiera, infierendo poi sul suo cadavere (Gentile, 2007).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Coll. Passerini, f. 176, p. 6. L. Fanfani, Ricordo di una giostra fatta a Firenze a dì 7 di febbrajo 1468 sulla piazza di Santa Croce, Firenze 1864, pp. 9 s., 25; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516 continuato da un anonimo fino al 1542, a cura di J. Del Badia, Firenze 1883, pp. 20, 22, 29, 34 s.; Lettere di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico e ad altri, a cura di S. Bongi, Lucca 1886, pp. 69, 80, 122, 159 s. e passim; G. Sabadino degli Arienti, Gynevera de le clare donne, a cura di C. Ricci - A. Bacchi della Lega, Bologna 1887, p. 395; Ricordi di Firenze dell’anno 1459 di autore anonimo, a cura di G. Volpi, in RIS, XXVII, 1, Città di Castello 1907, p. 22; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis Commentarium), a cura di A. Perosa, Padova 1958, pp. 53, 55 s., 87; L. Pulci, Opere minori, a cura di P. Orvieto, Milano 1986, pp. 80 s., 100; I Giornali di Ser Giusto Giusti d’Anghiari (1437-1482), a cura di N. Newbigin, in Letteratura italiana antica, III (2002), pp. 41-245 (in partic. pp. 161, 199); B. Strinati, Racconto della congiura dei Pazzi, in S. Diacciati, Memorie di un magnate impenitente: Neri degli Strinati e la sua Cronichetta, in Archivio storico italiano, CLXVIII (2010), pp. 89-144 (in partic. p. 136).
F. Gasparolo, Pietro Vespucci, podestà di Alessandria e commissario cispadano (1485), in Rivista di storia, arte e archeologia della provincia di Alessandria, I (1892), pp. 1-46; G. Arciniegas, Amerigo y el nuevo mundo, México 1955 (trad. it. Amerigo Vespucci, Milano 1960, pp. 58-63, 81 s.); P. Salvadori, Dominio e patronato. Lorenzo dei Medici e la Toscana nel Quattrocento, Roma 2000, pp. 29 s.; R. Farina, Simonetta. Una donna alla corte dei Medici, Torino 2001, pp. 29-41, 100-104; L. Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia. Ricerche sull’aristocrazia padana nel Rinascimento, Milano 2003, pp. 414-418; M. Gentile, La vendetta di sangue come rituale. Qualche osservazione sulla Lombardia fra Quattro e Cinquecento, in La morte e i suoi riti in Italia tra Medioevo e prima Età moderna, a cura di F. Salvestrini - G.M. Varanini - A. Zangarini, Firenze 2007, pp. 209-241 (in partic. pp. 230-232); C. Tripodi, Prima di Amerigo. I Vespucci da Peretola a Firenze alle Americhe, Roma 2018, pp. 81-146.