TREVES, Piero
– Nacque a Milano il 27 novembre 1911 da Claudio, deputato socialista, allora direttore dell’Avanti!, e da Olga Levi, di cospicua famiglia veneziana, figlio secondogenito, dopo Paolo, nato il 27 luglio 1908.
La madre era sorella del filosofo del diritto Alessandro Levi e di Igina, sposata con Edmo Gerbi, appartenente all’alta borghesia ebraica di Livorno. Piero si formò, dunque, in un ambiente di ebraismo secolarizzato, all’interno di un’élite coesa in cui strinse rapporti duraturi con i cugini Antonello Gerbi, Carlo Levi, figlio di una sorella di Claudio Treves, e con Nello Rosselli, nipote di Alessandro Levi. Il mondo della sua prima formazione fu quello del socialismo ‘riformista’ milanese fra guerra e dopoguerra, in cui campeggiavano le figure di Filippo Turati e Anna Kuliscioff. A iniziarlo alla politica (e all’opposizione) contribuì – come per altri della sua generazione – il trauma del delitto Matteotti (1924), ma la prima esperienza nuova fu, due anni dopo, quella del gruppo del Quarto Stato, che si raccolse a Milano attorno alla rivista diretta da Carlo Rosselli e Pietro Nenni, uscita fra il marzo e l’ottobre del 1926.
Parallelo all’apprendistato politico si svolgeva quello culturale. Al liceo Manzoni, cui fu ammesso nel 1925 per esserne poi allontanato l’anno seguente per motivi politici, incontrò due docenti che, per vie diverse, incisero sulla sua formazione: l’emiliano Stefano Fermi, insegnante di italiano, socialista e antifascista, il maggiore studioso, allora, di Pietro Giordani, e il docente di latino e greco Antonio Maria Cervi, un trentenne inquieto e tormentato, che lo avviò a un rapporto non strettamente filologico con l’Antico, introducendolo alla conoscenza di Friedrich Nietzsche e di Jacob Burckhardt, di Gabriele D’Annunzio e del suo ‘ellenismo’ estetizzante, della classicità modernizzata di Giovanni Pascoli. Il giovane si inoltrò in una cultura variamente spiritualistica e negli anni seguenti conobbe momentanee aperture religiose, anche in senso cristiano.
Nell’autunno del 1927 Treves entrò alla facoltà di lettere dell’Università di Torino, dove trovò il maestro della sua vita di studioso: Gaetano De Sanctis, che vi insegnava storia antica. Lo seguì a Roma, dove si laureò nel novembre del 1931, un mese prima del suo allontanamento dalla cattedra per il mancato giuramento al regime.
Nei primi anni Trenta, la scuola desanctisiana fu travagliata da un intenso dibattito, dalle evidenti implicazioni etico-politiche, intorno alla libertà nell’antica Grecia e ai suoi rapporti con quella cristiana e quella dei moderni; e alla ‘positività’ (o meno) dell’unificazione macedone e delle conquiste di Alessandro Magno, con la conseguente ellenizzazione dell’Oriente. Aldo Ferrabino, docente a Padova, aveva espresso un giudizio sprezzante sulla libertà delle città greche, vedendovi un elemento di debolezza e di frammentazione (La dissoluzione della libertà nella Grecia antica, Padova 1929). Arnaldo Momigliano, sulla scia di Benjamin Constant e di Benedetto Croce, sottolineò la differenza fra la libertà degli antichi e quella dei moderni e, rifacendosi a Johann Gustav Droysen, l’elemento ‘provvidenziale’ insito nella conquista macedone dell’Oriente, destinata a superare il particolarismo greco in senso cosmopolitico e a preparare così il campo alla diffusione del cristianesimo (Filippo il Macedone. Saggio sulla storia greca del IV sec. a.C., Firenze 1934). Il giovane Treves, in linea con una tradizione antitirannica di matrice anglo-francese, reagì contro entrambi, istituendo un legame diretto fra la libertà greca e quella liberale moderna e sottolineando, quindi, nell’opera di Filippo, prevalentemente l’elemento tirannico e prevaricatore (Demostene e la libertà greca, Bari 1933): ne derivarono polemiche ripetute fra Treves e Momigliano e una rivalità culturale che attraversò tutta la loro vita.
Per le origini familiari e la sua posizione politica, a Treves era allora inibita ogni carriera accademica; negli anni successivi, pertanto, la sua attività culturale si svolse all’interno di ambienti e riviste che – con tutte le cautele necessarie – cercavano di svolgere un discorso culturale alternativo a quello prevalente nella varia cultura fascista.
Fra queste si ricordino almeno: La Cultura fondata da Cesare De Lollis, passata poi all’editore Einaudi fra il 1934 e il 1935 (soppressa nel 1935), Religio di Ernesto Buonaiuti (soppressa nel 1939), La Nuova Italia di Luigi Russo e poi di Ernesto Codignola, la Civiltà moderna ancora di Codignola, la Nuova Rivista storica di Gino Luzzatto, il quotidiano genovese Il Lavoro diretto dal socialista riformista Giuseppe Canepa.
Piero, con il fratello, riuscì a collaborare dal 1933 perfino con la Zeitschrift für Sozialforschung, fondata l’anno avanti e diretta da Max Horkheimer per incarico dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte, con brevi recensioni di libri italiani. I suoi numerosi articoli non furono, quindi, di sola storia antica, ma variarono fra storia, filosofia e letteratura, anche moderna e contemporanea, sintomo di una larghezza di orizzonti e di interessi che gli rimase peculiare.
Tuttavia il rapporto più significativo fu quello con Croce e il suo ambiente. Nell’inverno del 1932 fu proprio Croce a metterlo in contatto con Alessandro Casati: mentre Paolo Treves divenne suo segretario, Piero fu scelto come insegnante di suo figlio Alfonso, che aveva lasciato il liceo Manzoni per non iscriversi alle organizzazioni giovanili fasciste. Così il giovane poté pubblicare qualche recensione anche sulla quasi inaccessibile Critica di Croce.
Con il tragico affermarsi del clima razziale anche in Italia, Piero, insieme con il fratello e la madre, lasciò Milano alla fine di settembre del 1938 per l’Inghilterra, e nel novembre si stabilì a Cambridge, dove gli era stata concessa una research-exhibition presso il St. John’s College. Negli anni di guerra venne intensificando il suo impegno politico-giornalistico, con una scelta che caratterizzò tutto il periodo inglese: nel 1941 entrò a far parte – come announcer-translator – dello staff dell’Italian service della British Broadcasting Corporation (BBC), che dal gennaio di quell’anno mandava in onda un vero e proprio programma radiofonico per l’Italia. Divenne, così, collaboratore assiduo, fino al gennaio del 1945, di radio Londra, di cui il fratello Paolo era fra i massimi animatori.
In questo ambiente conobbe Janet Munro Thomson, che sposò a Londra il 27 luglio 1953 e con la quale percorse (come scrisse, poi, nella dedica del suo ultimo volume) «un lungo cammino in comune».
All’indomani della vittoria laburista alle elezioni del luglio del 1945, Treves iniziò un’attività di giornalista e di analista politico dell’Inghilterra postbellica, che portò avanti, con fasi diverse, per circa un decennio, fino al suo ritorno in Italia nel 1955.
Fu corrispondente inglese del Corriere della sera, dal febbraio del 1946 al maggio del 1950; collaboratore abituale con articoli di politica estera di Relazioni internazionali e, dal 1952 al 1954, del Mondo di Mario Pannunzio. Di particolare interesse risultano gli articoli biografici e di storia inglese che comparvero nel 1948-49 nell’Appendice postbellica dell’Enciclopedia italiana.
Intanto puntava a una sistemazione accademica in Italia: la sua domanda al concorso a cattedra di storia greca e romana, bandito nel 1948 dall’Università di Catania, ottenne esito negativo, nonostante la commissione fosse presieduta dal maestro De Sanctis. Tale insuccesso contribuì a ritardare il suo ritorno, che avvenne solo a metà degli anni Cinquanta, quando ottenne un incarico di epigrafia greca alla Statale di Milano. Vincitore di concorso nel 1962, insegnò storia greca per un breve periodo a Messina, poi presso le Università di Trieste (1963-65), Firenze (1965-69) e infine a Venezia (1969-81).
Decisiva per il successo accademico del 1962 era stata la produzione scientifica dell’ultimo decennio: il volume su Il mito di Alessandro e la Roma di Augusto (Milano-Napoli 1953), che partiva da un esame del celebre excursus liviano su Alessandro, per seguirne il mito in alcuni momenti topici dei secoli successivi fino all’età bismarckiana, e una ricerca di raffinata erudizione sul poeta e bibliotecario ellenistico Euforione di Calcide (Euforione e la storia ellenistica, Milano-Napoli 1955); ma soprattutto le ricerche di storia degli studi classici di cui un primo frutto cospicuo fu il lungo saggio su Ciceronianismo e anticiceronianismo nella cultura italiana del sec. XIX (in Istituto lombardo di scienze e lettere, Rendiconti, classe di lettere, 1958, vol. 92, pp. 403-464), poi il volume L’idea di Roma e la cultura italiana del sec. XIX (Milano-Napoli 1962), e infine il grande volume antologico Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento (Milano-Napoli 1962), per la Letteratura italiana Ricciardi. Nell’anno della sua morte riunì i saggi usciti nell’ultimo trentennio in Tradizione classica e rinnovamento della storiografia (Milano-Napoli 1992) e in Ottocento italiano fra il nuovo e l’antico (I-III, Modena 1992).
Treves non concepiva (e praticava) la storia degli studi classici in senso meramente tecnico. Non ignorava quest’aspetto, ma lo fondeva in ricerche più ampie e interdisciplinari fra letteratura, filosofia, politica e storiografia: come il confronto con l’Antico avesse impegnato, nell’Ottocento e nel primo Novecento, protagonisti piccoli e grandi della vita italiana e con quali ricadute culturali e politiche, questo il suo problema. Nell’immediato questi suoi lavori ebbero difficoltà a trovare un pubblico. In quegli anni, la cultura neoilluministica (Norberto Bobbio) aveva privilegiato il filone cattaneano della cultura ottocentesca, quella marxista ufficiale ancora Francesco De Sanctis, gli Spaventa e la loro scuola fino ad Antonio Labriola, quella marxista intransigente (Sebastiano Timpanaro), il materialismo di Giordani e Giacomo Leopardi, uno studioso come Eugenio Garin e poi una parte dei suoi discepoli il positivismo universitario di fine Ottocento (Pasquale Villari in primis). Treves invece poneva al centro del quadro gli storici che chiamava «neoguelfi», cioè sostanzialmente i cattolici liberali: per quella punta di moralismo che era in loro (ampiamente sottolineata anche da Croce), essi non avevano idealizzato la storia romana, le virtù guerresche ed eroiche che certo classicismo variamente esaltava.
Piuttosto «decoturnizzavano» – diceva – le vicende di Roma e, liberandole da ogni esemplarità, in qualche modo le «storicizzavano». Certo, erano privi di una preparazione filologico-critica adeguata, specialmente rispetto alla generazione che dopo l’Unità si nutrì di germanesimo culturale, ma le erano superiori nel senso storico. E Treves, forse con qualche forzatura, avrebbe sottolineato il legame che con questa antichistica di metà Ottocento avevano serbato i suoi grandi di fine secolo: Carducci, Pascoli, D’Annunzio, soprattutto nel rapporto diretto e creativo con l’Antico, non mediato da eccessivi appesantimenti filologici e ipercritici. E, naturalmente, il maestro De Sanctis.
Morì a Nizza il 7 luglio 1992.
Fonti e Bibl.: Data l’ampiezza delle relazioni personali (intellettuali e politiche) di Treves, le sue lettere vanno rintracciate in numerosi epistolari e fondi documentari. Lo scambio con G. De Sanctis è pubblicato in A. Amico, «Piero mio» - «Mio caro, caro Maestro». Uno sguardo al carteggio fra Gaetano De Sanctis e Piero Treves (in Rationes Rerum, 2018, n. 11, pp. 31-59); una sua significativa lettera ad Alcide De Gasperi (Londra, 11 marzo 1951) è in R. Pertici, La lettera inedita che Piero Treves indirizzò a De Gasperi nel 1951. «Le scrivo con vergogna e orgoglio», in L’Osservatore romano, 14 agosto 2014, p. 5. Molti stralci di lettere (non solo) familiari sono in A. Ricciardi, Paolo Treves. Biografia di un socialista diffidente, Milano 2018, ricco di notizie minute sulla vita dei fratelli Treves fra le due guerre. La ricca biblioteca di Piero è stata donata dagli eredi alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia e all’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli (v. I libri di Piero Treves, a cura di A. Trama - M. Tarantino, con una presentazione di M. Gigante, Napoli 1998). La bibliografia trevesiana è raccolta in C. Franco, Piero Treves dal 1930 al 1996, Napoli 1998. Negli anni successivi è stata pubblicata una raccolta di Scritti novecenteschi, a cura di A. Cavaglion - S. Gerbi, Bologna 2006, e Le piace Tacito? Ritratti di storici antichi, a cura di C. Franco, Torino 2011.
R. Pertici, P. T. storico di tradizione (1994), in Id., Storici italiani del Novecento, Pisa-Roma 2000, pp. 199-257, seguito da un’appendice su P. T. in Inghilterra 1938-1955. Un osservatore politico (pp. 259-264). Un approccio più attento al Treves antichista è quello di G. Clemente, P. T., in Nuova Antologia, 2016, vol. 616, n. 2277 (gennaio-marzo), pp. 146-164, cui si rinvia anche per la bibliografia più recente. In corso di pubblicazione, a cura di A. Magnetto, sono gli atti del Convegno su P. T. e la storia ellenistica. Da Demostene e la libertà greca a Euforione e la storia ellenistica (1933-1955), tenutosi presso la Scuola normale superiore di Pisa il 5-6 giugno 2018.