PARENTI, Piero.
– Di famiglia fiorentina, nacque a Ronta di Mugello (nel Comune di Borgo San Lorenzo), in una casa di campagna dove la famiglia si era trasferita per sfuggire a un’epidemia di peste, il 18 gennaio 1450. Era figlio di Marco di Parente e di Caterina di Matteo Strozzi; sua ava materna fu Alessandra Macinghi, famosa per le lettere inviate ai figli esuli a Napoli.
La famiglia Parenti era originaria del Mugello e si era trasferita a Firenze nei primi decenni del secolo XIV, iscrivendosi all’arte dei corazzai, una delle arti minori; verso la fine del secolo spostò la propria attività verso l’arte della seta, settore che proprio in quel periodo conobbe una potente espansione. In questo modo crebbe la sua ricchezza, tanto da essere annoverata nei primi decenni del secolo XV tra le famiglie più ricche del quartiere di S. Giovanni. Non molto pronunciata fu la loro presenza nelle cariche pubbliche: tranne un breve periodo a ridosso del tumulto dei Ciompi (giugno-agosto 1378), che vide il momentaneo prevalere delle arti minori, nelle quali erano tuttora inquadrati, per il resto gli incarichi pubblici da loro rivestiti furono sporadici e di non grande peso politico. Tanto il nonno, Parente, quanto il padre fecero una sola volta parte della Signoria; anzi Marco, senza dubbio a causa del matrimonio con una Strozzi, figlia e sorella di esiliati politici, perse per un certo periodo la possibilità di essere eletto al priorato: nel giugno 1455 gli Accoppiatori, incaricati di riformare le liste elettorali, ne espunsero 19 nomi di cittadini, tra i quali Marco Parenti, giustificando il provvedimento con motivi di ordine pubblico (cfr. N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici, Firenze 1971, pp. 54 s.). Il provvedimento rientrò nel 1466, quando gli Strozzi poterono far ritorno a Firenze dall’esilio.
Parenti, essendo il figlio primogenito e l’unico maschio di una famiglia facoltosa, provvista anche di molte relazioni con il mondo dell’arte e della cultura, dovette ricevere un’istruzione adeguata al suo rango; in realtà mancano su di essa notizie dirette, benché il padre annotasse in modo minuzioso tutte le spese e i fatti salienti per la gestione familiare nel suo Libro di ricordi, più tardi continuato dallo stesso Piero e poi dal figlio primogenito di quest’ultimo (si conserva in Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, II serie, 17bis). Come già il padre, dovette frequentare regolari lezioni di filosofia e di lingue classiche: Marsilio Ficino in una famosa lettera a Martin Prenninger, detto Martino Uranio, comprende Parenti fra i suoi migliori seguaci, assegnandolo al gruppo dei «civitatum gubernatores», in quanto occasionalmente detentore di cariche pubbliche (Della Torre, 1902, p. 723), ma la sua istruzione di base dovette ricalcare quella tipica del ceto mercantile, incentrata sulla scuola di abbaco.
Fu in relazione con diversi umanisti: Bartolomeo Fonzio gli dedicò una elegia nel 1479, mentre Angelo Poliziano fu padrino al battesimo del suo primogenito. Ebbe fama di buon traduttore dal latino, attività di cui sono pervenute diverse testimonianze: Il Cane di Leon Battista Alberti, con dedica a Leonardo di Benedetto Strozzi (I ed., Ancona 1847); l’Orazione di Donato Acciaiuoli «habita coram summo pontifici Sixto IIII die tertia octobris M.CCCC.LXXI, Rome» (Albanese - Bessi, 2000, pp. 300 s.); la Lettera inviata dalla Signoria fiorentina ad Alfonso d'Aragona, duca di Calabria, in occasione di una malattia del re di Napoli, di cui si dice «fatta volgare a contemplazione degli amici da Pietro Parenti» (Matucci, 1994, p. X); infine alcune «Pistole di Tullio tradocte in volgare da Piero di Marco Parenti, a Lionardo di Benedecto Strozi » (Kristeller, II, 1967, p.124). Unica opera originale da lui composta è invece in lingua volgare: il «Sermone di Piero di Marco Parenti dell' umiltà e carità, da’llui composto e recitato nella Compagnia di San Vincenzo l' anno 1477» (Matucci, 1994, p. X).
A Parenti fu attribuita anche la redazione di un rapporto sui festeggiamenti per le nozze di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini nel 1469, stampato a suo nome da Gaetano Milanesi (Per nozze De Larderel, Firenze 1870), ma già nel 1874 l'attribuzione fu contestata da Alfred von Reumont (1874, pp. 176 s.), che invece ne identificò l’autore nel padre Marco, opinione condivisa anche dagli studi più recenti.
Ebbe relazioni personali con i membri della famiglia Medici, dato che al battesimo di uno dei suoi figli, Giovanni, fu padrino Piero di Lorenzo de’ Medici, mentre lo stesso Lorenzo presenziò nel 1472 al matrimonio di sua sorella Costanza con Filippo Buondelmonti.
Oltre a coltivare interessi letterari, Parenti continuò l’attività familiare nell’ambito dell’arte della seta, cui in seguito aggiunse anche altre attività minori, come l’apertura nel 1493 di un sito d’osteria a Borgo S. Lorenzo. Per fare pratica in questo settore era stato inviato dal padre a Napoli nel 1473 come contabile presso una delle case commerciali degli Strozzi (M. Parenti, 1996, p. 243).
Parallelamente, fu curato anche il suo apprendistato politico: nel 1470 seguì il padre a Colle Valdelsa quando Marco vi aveva esercitato per un semestre la carica di podestà. Sempre in questa direzione si colloca la decisione, nel 1477, di accompagnare come membro del seguito gli ambasciatori fiorentini Bongianni Gianfigliazzi e Pier Filippo Pandolfini a Napoli: lo scopo della missione era quello di portare i doni e le congratulazioni della Signoria per il matrimonio del re Ferdinando d’Aragona con la figlia di Giovanni II del Portogallo. Nell’occasione fu donata al re di Napoli la famosa Raccolta aragonese, antologia di rime toscane composta per volontà di Lorenzo de' Medici, con lo scopo di dimostrare la nobiltà e la continuità della tradizione poetica toscana.
Nel 1476 intraprese la scrittura di una storia dei suoi tempi, iniziando dalla morte di Galeazzo Maria Sforza, signore di Milano, il cui incipit dice: «Nota semplice et brieve di chose degne di memoria, le quali acadranno in Firenze, apresso in Italia, et di poi fuori di Italia, che mi verranno a notitia, piglando il principio dalla morte del s(ignor). Galeazzo Maria duca di Milano anno MCCCCLXXVI», ma che interruppe dopo la congiura dei Pazzi, nel 1478, e riprese soltanto a distanza di molti anni.
Sembra che questa narrazione storica facesse parte di un progetto più ampio, ponendosi come continuazione dei Ricordi storici del padre, che vanno dal 1464 al 1467. Le due cronache avrebbero avuto origine nell’ambiente degli Strozzi, al quale era legato anche Vespasiano da Bisticci, che in quello stesso periodo intraprese la stesura delle Vite, opera pure larvatamente antimedicea. In realtà, la polemica antimedicea tanto nei Ricordi di Marco quanto in questo primo abbozzo della Storia di Parenti è rintracciabile soltanto nella scelta delle date di inizio e di interruzione: la morte di Cosimo il Vecchio e la congiura fallita contro Piero de’ Medici (1466), nei primi; la morte dello Sforza, grande alleato dei Medici e la congiura dei Pazzi nella seconda. Per trovare la prima esternazione di sentimenti antimedicei nella Storia di Piero occorre aspettare più tardi, quando, dopo una lunga interruzione, riprese in mano la sua opera per narrare la morte di Lorenzo il Magnifico.
Nel frattempo aveva avuto inizio la carriera politica di Parenti: nel bimestre luglio-agosto 1482 ebbe per la prima volta il priorato; dal 16 febbraio 1483 fu per sei mesi podestà di San Casciano; per quattro mesi dal 1° gennaio 1485 fu console dell’arte della seta; dal 1° febbraio 1487 fu per sei mesi podestà di Lari; nel 1486 camarlingo dei sobborghi per un anno, a partire dal 1° novembre; dal 1° marzo 1490 provveditore degli Otto di guardia per quattro mesi; fece parte dei Cinque conservatori del contado per sei mesi dal 1° ottobre 1492. Benché la carriera politica di Parenti sotto il regime mediceo non fosse stata trascurabile, fu forse al di sotto delle sue aspettative, tanto che dovette acuirsi la sua critica ai sistemi di governo di Lorenzo il Magnifico, specialmente nei suoi ultimi anni di vita, contrassegnati da una più marcata diffidenza, che lo spingeva ad affidare gli incarichi importanti solo a un ristretto gruppo di collaboratori. Si spiega in questo modo il fatto che, riprendendo la sua opera storiografica dopo il 1492, per annotarvi la morte di Lorenzo de’ Medici, Parenti chiosò con un certo compiacimento che essa riuscì «nascostamente grata all’universale» (in Pampaloni, 1959, p. 150). La critica ai Medici e al loro sistema di potere dovette crescere nel periodo successivo, tanto che nel novembre 1494, quando si preparava l’arrivo a Firenze di Carlo VIII di Francia, Parenti scrisse un sonetto in cui salutava il re come un liberatore, avendo tolto i Fiorentini «da tirannico furore» (in Matucci, 1994, pp. XXIII-XXVIII).
Dopo il rivolgimento istituzionale del novembre 1494, la costituzione di un governo 'largo', che aveva a fondamento il Consiglio maggiore, suscitò grandi speranze in Parenti. Presto però sopravvenne la delusione, soprattutto per le aspre rivalità che si produssero fra le varie fazioni, non più tenute a freno dal ferreo controllo mediceo.
Di queste controversie Parenti dà ampio e dettagliato resoconto nella sua Storia, ma per rendere comprensibile il suo racconto ricorre a un certo schematismo; tende cioè a ridurre l’inestricabile intreccio fra le fazioni e i gruppi contrastanti a un’unica grande contrapposizione fra quelli che chiama i Primati e il resto dei cittadini, cioè il popolo. Col primo termine egli designa le famiglie più ricche e più intrinseche al governo, disposte a finanziare la Repubblica a patto di ottenere un controllo il più stretto e completo possibile sul governo e quindi a favore di un 'governo di pochi'; dall’altro lato è il popolo, cioè la borghesia mercantile e artigianale, favorevole a una distribuzione capillare delle imposte e di una partecipazione allargata alla conduzione dello Stato, il cosiddetto 'governo largo', di cui era espressione il Consiglio maggiore. Parenti per tradizione familiare e storia personale apparteneva a quest’ultimo gruppo, di cui assunse quasi inconsapevolmente il punto di vista. L’esatto contraltare della Storia del Parenti è quella di Francesco Guicciardini che, narrando gli avvenimenti di quegli stessi anni, assume invece il punto di vista di quelli che Parenti definisce primati.
La carriera politica di Parenti sotto il nuovo regime non subì cambiamenti significativi: fece parte degli Ufficiali dello Studio per un anno dal 1° novembre 1496, carica ricoperta di nuovo dal 25 novembre 1500. Fu uno degli Otto di guardia, la magistratura principale nell’ambito della giustizia penale, per quattro mesi da maggio ad agosto 1498, arco temporale in cui giunse alla sua tragica conclusione la vicenda di Girolamo Savonarola, con la condanna a morte pronunciata all’unanimità proprio dai membri di questa magistratura, fatto che ha accreditato la fama di Parenti come antisavonaroliano (cfr. soprattutto Schnitzer, 1931, pp. 506-508).
In realtà, l’atteggiamento di Parenti nei confronti di Savonarola non fu univoco, ma subì oscillazioni a seconda degli avvenimenti esterni, atteggiamento del resto condiviso da gran parte degli appartenenti al suo ceto. Egli sembra molto apprezzare dal punto di vista religioso l’opera del frate, che definisce «bonissimo servo di Dio», mentre dal punto di vista politico sembra adombrare il sospetto che Savonarola si prestasse a strumentalizzazioni da parte degli oligarchici. Scrive infatti che Savonarola era diventato sospetto al popolo fiorentino fino dai primi di aprile 1497 «non tanto per il potere suo nella città mediante il credito della religione, quanto perché manifesto si vedea alcuni principali cittadini per instrumento a loro proposito usarlo et in tal modo governare a loro volta la città» (in Cadoni, 1999, p. 73). In ogni modo, Parenti rimase profondamente influenzato da taluni motivi ricorrenti nella predicazione savonaroliana, che ogni tanto affiorano nella sua narrazione come, ad esempio, il destino mistico della città di Firenze e il fondamento divino del governo popolare.
Nel 1499 fu membro degli Ufficiali della condotta, per sei mesi a partire dall’8 febbraio; nel 1500 fu uno dei Sedici gonfalonieri di compagnia, per quattro mesi dall’8 settembre; nel 1502, nel bimestre gennaio-febbraio fu per la seconda volta priore. Alla morte del padre (9 giugno 1496) assunse l’incombenza di continuare la stesura del Libro di ricordi di famiglia e così i suoi ricordi privati scorrono paralleli a quelli pubblici, annotati nella Storia. Questi ultimi vertono soprattutto sullo scontro politico in atto a Firenze, che finì per paralizzare l’esecutivo, aprendo la strada, nel 1502, all’istituzione del Gonfalonierato di giustizia a vita, nella persona di Pier Soderini. Anche quest’ultima riforma, prima fieramente avversata e poi accettata anche dalla fazione popolare, è giustificata da Parenti con un certo fatalismo e con motivi tratti dalla predicazione savonaroliana: «dare a questa città capo pubblico, sendo assueta a vivere con capo privato» (in Bertelli, 1980, p. 470).
Anche nel decennio soderiniano la carriera di Parenti non subì scosse: nel 1503 fu di nuovo console dell’arte della seta per quattro mesi, dal 15 dicembre, carica che ricoprì per la terza volta nel 1512, sempre per quattro mesi, dal 1° gennaio 1512; nel 1504 fece parte dei Capitani di parte guelfa per sei mesi dal 3 marzo; sempre nel 1504 fu membro dei Maestri di dogana per un anno dal 1° luglio; nel 1508 fu scrivano del Sale per un anno dal 1° giugno e nello stesso periodo anche scrivano al riscontro del pesatore, nell’ambito dell’arte della seta; nel 1510 fece parte dei Dodici Buonuomini per tre mesi dal 15 dicembre e nel 1511 dei Cinque Conservatori del contado per sei mesi, finiti il 27 settembre. Dopo la restaurazione medicea del 1512 fu vicario della Valdinievole per sei mesi dal 9 maggio 1517 e membro dei Conservatori di legge per sei mesi dall’11 dicembre 1518. Prese inoltre la parola in alcune Consulte e pratiche, consigli riuniti per dare pareri alla Signoria, sulle questioni di volta in volta più importanti (Consulte e pratiche, I, 2002, pp. 301-304).
I verbali di questi consigli erano segreti, ma Parenti si mostra ben informato anche su quelli di cui non aveva fatto parte, tanto che essi costituiscono una delle fonti più utilizzate nella sua narrazione storica. Questa si snoda fino al 7 di settembre 1518, poco prima della sua morte.
Parenti morì a Firenze il 5 maggio 1519 e fu sepolto in S. Maria del Fiore, nella tomba di famiglia. Un dettagliato resoconto del suo funerale, a opera del figlio Marco è riportato nel Libro di ricordi di famiglia.
Il 27 novembre 1480 aveva sposato Onesta di Antonio di Alessandro degli Alessandri e di Ginevra di Guglielmo Tanagli, da cui ebbe diversi figli: oltre a Marco, il primogenito; Caterina, che sposò Niccolò di Andrea Agli; Ginevra, morta di peste nel 1498; Francesco; Antonio, che prese gli ordini religiosi; Filippo, che prese a sua volta gli ordini e ebbe un futuro di esule antimediceo; Giovanni, che nel 1518 fece parte del corteo nuziale di Lorenzo di Piero de’ Medici; Benedetto, che cercò senza successo di impiantare un’attività commerciale a Lisbona; Vincenzo, morto infante nel 1502; Ginevra, monaca nel monastero di S. Agata a Firenze; un altro Vincenzo e infine Maria, detta Marietta, che sposò Lorenzo Dazzi.
L’opera storica di Parenti, nota con il titolo di Storia fiorentina, è una fonte di straordinaria importanza per l’arco cronologico interessato, che rappresenta uno dei periodi più complessi nella storia della città. Essa si pone nella tradizione della storiografia fiorentina di ambiente mercantile, di cui fa proprie le caratteristiche fondamentali: è in volgare, scritta a breve distanza dagli avvenimenti narrati e persegue un’ottica cittadina, in cui gli avvenimenti esterni vengono accennati solo quando hanno immediato riflesso sulla vita politica fiorentina. Dalla stessa tradizione riprende anche l’andamento cronologico, tuttavia Parenti non rimane prigioniero di questo impianto e spesso, per dare una spiegazione razionale degli avvenimenti e per evidenziarne i nessi causali, introduce brevi sintesi riepilogative, che lo portano talvolta a superare il ristretto ambito cittadino e ad ampliare il raggio delle sue osservazioni. Mostra di essere bene informato sugli avvenimenti che descrive e di conoscere perfettamente anche gli aspetti più riposti del funzionamento del complesso assetto istituzionale fiorentino; non rinuncia a presentare la sua personale lettura dei fatti, pur nello sforzo costante di mantenersi il più possibile equilibrato. La Storia fiorentina è stata conosciuta e utilizzata fino dai tempi più antichi; vi hanno attinto gli studiosi di Savonarola, da Pasquale Villari a Joseph Schnitzer, a Roberto Ridolfi (edizioni parziali in J. Schnitzer, Savonarola nach der Aufzeichnungen des Florenttners P. P., in Quellen und Forschungen zur Geschichte Savonarolas, IV, Leipzig 1910; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Pactianae Coniurationis Commentarium), a cura di A. Perosa, Padova 1958, pp. 69-76; Scrittori e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi, Milano-Napoli 1994, pp. 365-433). Soltanto di recente è stata avviata la pubblicazione integrale: sono usciti finora due volumi, che coprono il periodo dal 1476 al 1502, a cura di Andrea Matucci (I, 1476-78, Firenze 1994; II, 1496-1502, Firenze 2005).
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