MARONCELLI, Piero
Patriota e scrittore, nato a Forlì il 21 settembre 1795, morto a New York il 1° agosto 1846. Fece gli studî classici nel seminario di Forlì. Fu quindi inviato verso la fine del 1809 a Napoli, perché frequentasse il corso di musica nel collegio di scienze, lettere ed arti di San Sebastiano, dov'ebbe a maestri il Paisiello e lo Zingarelli e come condiscepolo il Bellini. Colà rimase fino all'ottobre del 1814, affiliandosi alla società segreta "Colonna armonica", quindi si trasferì a Bologna per seguire gli studî universitarî, senza interrompere quelli di musica. Nel luglio del 1817 fece ritorno a Forlì, dove scrisse e stampò alcune terzine per la festa di San Giacomo, che gli fruttarono un processo politico in Roma e parecchi mesi di prigione. Quando alla morte del padre (30 aprile 1819), la famiglia venne a trovarsi in grandi strettezze, il M. fu accolto a Pavia dal fratello Francesco, che esercitava la medicina; e di là andò a Milano, acconciandosi presso lo stabilimento musicale Ricordi. Entrato quindi presso l'editore tipografo Nicolò Bettoni, vi ebbe incarico di traduttore dal 15 novembre 1819 al 15 marzo 1820; e fu poi addetto alla tipografia Battelli per la correzione delle stampe delle opere del Marchisio. Diede pure lezioni di musica, per cui ebbe occasione di conoscere l'attrice Elisabetta Marchionni, che si valse dell'opera di lui per mettere in scena le farse in musica che essa rappresentava nel teatro Re. E conobbe inoltre la figlia Carlotta, ch'egli amò non riamato. A Milano strinse amicizia con Silvio Pellico, che ascrisse alla carboneria, alla quale il M. già apparteneva. Arrestato il 6 ottobre 1820, in una perquisizione gli furono trovate lettere compromettenti, che condussero sette giorni dopo all'arresto del Pellico. Carattere impulsivo e inquieto, nei lunghi interrogatorî, prima a Milano, poi a Venezia, scese a rivelazioni per cui furono catturati altri carbonari; e con sentenza del 21 febbraio 1822 fu condannato a morte, ma poi la pena gli fu commutata in quella di vent'anni di carcere duro allo Spielberg. Colà gli fu amputata una gamba, e di quel doloroso episodio della sua vita il Pellico scrisse commoventi parole in Le mie prigioni. Liberato il 1° agosto 1830, gli fu vietato di prendere dimora a Roma, a Bologna, a Firenze; e allora, insieme con il fratello, pure esiliato da Roma per cause politiche, esulò a Parigi (15 febbraio 1831). Colà prese in moglie Amalia Schneider, artista di canto, che gli fu amorosa compagna, e con essa il 24 agosto 1833 partì per gli Stati Uniti, dove visse dando lezioni di musica e d'italiano. Più tardi la sopravvenuta cecità ne turbò le facoltà intellettuali: il M. morì pazzo. A Parigi sorvegliò la traduzione francese di Le mie prigioni, del De Latour (Parigi 1833) e vi aggiunse alcune sue note, alle stesse (Parigi, luglio 1833) aggiunse le Addizioni, che non soddisfecero il Pellico.
Bibl.: Oltre Le mie prigioni di S. Pellico, v. G. Mazzatinti, Per P. M., in Rivista d'Italia, maggio 1902; A. Luzio, Il processo Pellico-M., Milano 1903; J. Rinieri, La verità storica nel processo Pellico-M., Roma 1904; O. Fabretti, Per una completa biografia maroncelliana, in La Romagna, gennaio-agosto del 1914; A. De Rubertis, P. M. a Firenze, in Nuova Antologia, 16 dicembre 1918; A. H. Lograsso, P. M. in America, in Rass. stor. d. Risorg., 1928.