MANZONI, Piero
Nacque il 13 luglio 1933 a Soncino, presso Cremona, primogenito dei cinque figli di Egisto e di Valeria Meroni.
Il M., conseguita la maturità classica nel 1951, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università cattolica di Milano. Animato da vorace curiosità intellettuale, negli anni universitari fu più assorbito dall'interesse per letture, musica, cinema e arte che dal corso accademico. Nel 1953 prese lezioni di pittura, inizialmente un diversivo, quindi una vocazione consolidatasi fino a fargli lasciare gli studi giuridici. Nel 1955 si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia di Roma, trasferendosi l'anno dopo all'Università statale di Milano, senza conseguire la laurea.
Fino al 1954 il M. dipinse in una sintetica tecnica figurativa. Nel 1956 iniziò a frequentare lo studio di R. Crippa, le gallerie milanesi e il bar Giamaica in via Brera, luogo di ritrovo di artisti spazialisti e nucleari. Il M. già conosceva L. Fontana dalle comuni villeggiature ad Albisola Marina; e proprio i soggiorni nel borgo ligure - dal 1954, un crocevia artistico con l'Incontro internazionale per la ceramica - lo introdussero anche all'avanguardia del gruppo "Co.Br.A.", P. Gallizio, R. Matta, W. Lam.
Nell'agosto 1956 il M. esordì alla IV Mostra mercato nel Castello Sforzesco di Soncino con due quadri realizzati premendo sul supporto chiavi intinte nel colore (Celant, 2004, nn. 20 s.). A novembre partecipò al premio S. Fedele di Milano e a dicembre firmò con C. Corvi-Rosa, E. Sordini e G. Zecca il manifesto Per la scoperta di una zona di immagini, incunabolo dei temi teorici sviluppati nel corso del 1957.
L'opera d'arte vi era definita come l'esito di un atto di intuizione, che trapassa il vissuto individuale e cattura l'"alfabeto di immagini prime" nelle "zone autentiche e vergini" del "substrato collettivo". In tale scandaglio, l'artista tocca il "germe della umana totalità" e ne trae "le arcai". Negando sia le funzioni mimetiche sia quelle simbolico-espressive, l'artista suscita "forze ataviche […] dal subcosciente" e ne distilla un'immagine chiara; l'arte assume così un "valore totemico, di mito vivente" (in Celant, 1975, p. 73).
Già nel gennaio 1957 l'ascesa del M. nella scena artistica era sancita da una collettiva alla Galerie 17 di Monaco, cui fu invitato con Fontana, S. Dangelo, E. Baj, B. Munari. Nella primavera, mentre approfondiva l'interpretazione antropologico-junghiana dell'arte, il M. consolidò il rapporto con Sordini e A. Verga. Con essi espose alla galleria Pater di Milano e redasse il volantino L'arte non è vera creazione, che insisteva sul valore di totem delle opere d'arte, che danno forma a "mitologemi primordiali", ove l'artista sappia trovare i vasi comunicanti tra inconscio individuale e collettivo.
I morfemi dipinti allora - "ominidi" dalle grandi teste, con piccole antenne e appendici, sospesi su stesure pittoriche informali - erano imparentati tanto con l'immaginario dei nucleari, quanto con le respingenti figure di Totem o Animali mitologici che allora interessavano Crippa. Inoltre, sui temi di archetipi, immagini ancestrali e totem il M. trovò interlocutori in A. Schwarz e il pittore G. Biasi - introdottogli da Baj - che il M. andò a conoscere personalmente a Napoli.
La trama di tali relazioni venne al pettine nel giugno 1957, quando il M., Sordini, Verga, Biasi e M. Colucci aderirono al movimento nucleare con lo scritto Per una pittura organica, che definiva il quadro come spazio di libertà, in cui l'essenziale è "monadizzato" e le "immagini prime" pertinenti alla nostra "esistenza organica" si rivelano. Ad agosto gli stessi compagni presentarono il manifesto Albisola Marina - principalmente redatto da Biasi - che, attenuate le suggestioni junghiane, opponeva al formalismo e all'idealismo astratti il valore intrinsecamente "realista" e "morale" dell'arte, in quanto legata ai processi psicobiologici della vita, filtrati dalla coscienza.
Peraltro fin da gennaio 1957 la visione a Milano di opere di Y. Klein e A. Burri aveva instradato il M. all'abbandono delle forme iconiche. Da Klein - che espose alla galleria Apollinaire monocromi blu identici ma di prezzo diverso, perché presumibilmente pregni di diversa sensibilità pittorica - il M. trasse un modello di radicalismo estetico, sovvertimento logico e costruzione rituale, che avrebbe riadattato al proprio progetto di dilatazione del canone artistico al prosaico e corporeo. La tela con camicie strappate Two shirts di Burri, vista alla galleria del Naviglio, incoraggiò la realizzazione di superfici monocrome di tela grinzata. Coerentemente, nel settembre 1957 il M. aderì al manifesto Contro lo stile, che rigettava ogni convenzione stilistica, tranne le "proposizioni monocrome" di Klein, e chiamava a una pittura come "presenza modificante in un mondo che non necessita più di rappresentazioni".
Dopo la partecipazione alla collettiva "Arte nucleare 1957" (Milano, galleria S. Fedele), a dicembre il M. tenne una personale al Corriere della Provincia di Como, in occasione della quale pubblicò i Prolegomeni per una attività artistica, ultimo scritto sul valore totemico dell'arte, l'intuizione e la necessità di superare l'individualità per catturare le forme precoscienti della "mitologia universale".
Esauritosi il sodalizio con Sordini e Verga, la mostra "Fontana Baj Manzoni" allestita nel 1958 a Bergamo (gennaio: galleria Bergamo) e a Bologna (aprile: Circolo di cultura) attestò la statura di caposcuola del M. che - pur continuando a collaborare con Baj e Dangelo al terzo numero della rivista Il Gesto e a realizzare con Baj ancora nel settembre 1958 il quadro Arrivo dell'ultracorpo (Celant, 2004, n. 157) - in disaccordo con il ritorno a una larvata figurazione da parte dei nucleari, abbandonò l'iconografia degli "ominidi" e scelse una via aniconica.
I primi esemplari (1957-58) della serie di oltre 750 opere intitolate retrospettivamente Achromes, conformi a un paradigma di drastico ascetismo estetico, erano superfici di gesso steso sulla tela a leggere spatolate.
Esposti alla galleria Pater nel 1958, a essi seguirono superfici di tela variamente arricciata e imbibita di caolino (1957-58), tele raggrinzate a pieghe orizzontali e caolino (1958-59), superfici composte da una scacchiera di riquadri di tela liscia (1958-59), o riquadri di tela grinzata (1959), quindi - riducendo la componente manuale e l'uso di materiali assimilabili al pigmento - superfici di tela cucita a quadrati (1959-60), che "rappresentano semplicemente […] le ragioni di essere senza esprimere" (Agnetti, in P.M., 1967, p. 19).
Seguendo una strategia autopromozionale, nel luglio 1958 il M. compì il primo di numerosi viaggi all'estero. Si presentò alla gallerista I. Clert di Parigi e all'artista L. Pieters del Kunstkring di Rotterdam, che a settembre espose 17 monocromi del M. a riquadri di tela e caolino. Conobbe anche H. Peeters, fondatore del locale gruppo "Nul", e H. Sonnenberg, aderendo al progetto di quest'ultimo di collegare un nucleo di artisti internazionali con il nome di gruppo "Zero" (definito nel marzo 1959 e formato da cinque olandesi, due americani, due tedeschi, con il M. unico italiano).
Tornato a Milano, a fine anno trovò in A. Bonalumi ed E. Castellani nuovi interlocutori, con i quali espose alla galleria Prisma nel febbraio 1959 e, ad aprile, nella galleria Appia Antica di Roma, primo contatto con l'ambiente artistico romano.
A maggio 1959 il M. espose al bar La Parete di Milano Superficie acroma (tela a riquadri grinzati e caolino: Celant, 2004, n. 440), prima attestazione del titolo poi codificato con il francesismo achrome, indubbio riferimento al monochrome di Klein. Lo stesso mese espose "quadri rilievo" (tela increspata orizzontalmente) alla galleria Posthoorn dell'Aia; mentre dalla corrispondenza del periodo risulta che il M. aveva venduto quadri in Argentina, ambiva al mercato di Caracas, progettava mostre a Parigi, Tokio, New York, Londra, Anversa e una combattiva rivista internazionale (Battino - Palazzoli, p. 45 ill. 103).
Il progetto del gruppo "Zero" di Sonnenberg si concretizzò con la prima esposizione al Kunstkring di Rotterdam (luglio 1959) e una seconda al Hessenhuis di Anversa (settembre); mentre il M. ottenne di ospitare la terza collettiva alla galleria Appia Antica (ottobre). Di nuovo in viaggio con Castellani nel luglio 1959, ad Anversa conobbe il pittore J. Verheyen ed entrò in contatto con gli artisti H. Mack e O. Piene, direttori della rivista Zero di Düsseldorf, intorno alla quale si stava formando il gruppo omonimo (diverso da quello di Rotterdam). Questi lo inserirono nella collettiva "Dynamo 1" a Wiesbaden (luglio 1959), che a sua volta fu occasione per un contatto con i nouveaux réalistes D. Spoerri, J. Tinguely e con G. Uecker. Ormai il M. era al centro di una rete di colleghi impegnati in una ricerca postinformale, che gli offriva scambi di informazioni e maggiore visibilità critica e di mercato.
Durante l'estate del 1959 il M. realizzò la serie delle Linee: una spessa linea d'inchiostro tracciata su un rotolo di carta, chiuso in un cilindro etichettato con l'indicazione della lunghezza e la data.
Nel corso dell'anno ne realizzò 68 esemplari, di varia misura. Espose le prime Linee - una di 19,93 m srotolata lungo le pareti e altre chiuse in astucci - alla galleria Pozzetto Chiuso di Albisola Marina (agosto 1959). Mere attestazioni di misura e di tempo, prive di funzionalità, le linee negavano "l'inutile esprimersi […] la pittura, le transizioni e i cari ritorni, […] il fascino mnemonico delle cose celebrate e la didascalia storica degli imbalsamatori" (Agnetti, in Ròiss, p. 27). Raggiungibili solo da uno sguardo mentale, esse erano essenzialmente un concetto - come le sei Linee infinite (in realtà cilindri di legno etichettati) realizzate nel 1960 - debitrici, per il loro carattere paradossale, delle Pitture industriali a metraggio di Gallizio (1958) e dei Tre rammendi tipo di M. Duchamp (1914), artista che il M. poté conoscere attraverso la galleria Schwarz e di cui nel 1959 uscì la prima monografia di J.J. Lebel. Intervistato da Il Travaso, il M. si professò dadaista ed evocò il gesto duchampiano dell'esposizione di un orinatoio come oggetto artistico. L'intervista, sostenuta sul filo del non-sense, era perfidamente troncata dal critico: "se mai [le ultime domande] le chiederò per telefono al manicomio" (Battino - Palazzoli, p. 51).
L'ambizione di dotarsi di una voce critica autonoma si realizzò (ottobre 1959) nella rivista Azimuth, diretta con Castellani.
Il primo numero enunciava l'apparentamento ideale con artisti impegnati nel superamento dell'informale (Fontana, Klein, il gruppo "Zero" di Rotterdam), ma anche omaggiava il dadaismo storico, con la pubblicazione di una dichiarazione di K. Schwitters sul Merz, una nota autobiografica di F. Picabia e la riproduzione di opere del new dada americano. Il progetto si completò il 4 dic. 1959 con l'inaugurazione della galleria Azimut, con la mostra "Piero Manzoni 12 linee", messe in vendita a cifre comprese tra 25.000 e 80.000 lire, secondo il metraggio, parodiando i criteri di stima del valore, artistico e commerciale, dell'arte.
Azimut diventò un epicentro artistico, grazie ai contatti mantenuti dal M. con artisti, critici e galleristi europei. Fino al luglio 1960 ospitò dodici mostre, collettive e personali, dando visibilità ad amici di lunga data, quali Biasi, Sordini, Verga, attuali compagni di lavoro, quali Castellani, Bonalumi, Dadamaino (Edoarda Maino), esponenti di collettivi artistici con cui il M. era in dialogo in Italia (membri dei futuri gruppi "T" di Milano e "N" di Padova) e all'estero (gruppo "Zero" di Düsseldorf e il francese gruppo "Motus").
Nel dicembre 1959 il M. si fece fotografare mentre gonfiava palloni di gomma poi collocati su treppiedi come "sculture pneumatiche" (ne realizzò 45 esemplari tra ottobre 1959 e il marzo 1960).
Ispirandosi forse alla Boîte en valise di Duchamp, i Corpi d'aria erano venduti in custodie di legno contenenti il palloncino sgonfio, il treppiedi smontato e un foglio di istruzioni. Presentati alla Azimut nel maggio 1960, essi svilivano ulteriormente lo stereotipo romantico dell'artista, riducendo l'arte al gesto quotidiano, e trasferivano al pubblico il mito del potere creativo dell'artefice-Dio il cui fiato infonde vita alla materia (Silk, 1993). Il M. realizzò anche diciannove Fiati d'artista, palloncini gonfiati dal M. stesso, chiusi da un legaccio sigillato, ancorati a una base con un cartellino museale con il nome dello "scultore". Venduti a 260 lire il litro, essi sottintendevano una proporzione tra erogazione del fiato (ergo quantità di contenuto artistico) e prezzo, ridicolizzando l'opinione che il valore sia connesso al grado di originalità e intervento manuale dell'autore.
Nel gennaio 1960 uscì il secondo numero di Azimuth in occasione dell'esposizione "La nuova concezione artistica" (il M., Castellani, Klein, Mack, K. Breier, O. Holweck, A. Mavignier), enfaticamente definita "la prima mostra d'una tendenza d'avanguardia […] presentata in Italia da alcuni decenni" (nota editoriale a p. 2 della rivista).
Il M. si considerava ormai un pioniere a Milano, insieme con Castellani (tale si definì scrivendo al critico S. Yamazaki nel maggio 1960), al pari di Klein e Tinguely a Parigi e Piene e Mack a Düsseldorf. Viaggiando tra Milano, Anversa, Amsterdam, Parigi e Düsseldorf, il M. fu il Mercurio del movimento tra artisti accomunati dall'avere in Fontana un maestro e in Klein un corifeo e dalla volontà di superare la pittura per ripartire da un "grado zero" in cui i principî elementari della visione (la monocromia, la luce, il movimento) potessero costruire un lessico supernazionale, non soggettivo. Il secondo numero di Azimuth - con testi stampati in italiano, inglese, francese e tedesco - candidava la rivista al ruolo di foro teorico internazionale. Il M. vi pubblicò Libera dimensione - subito ristampato nel catalogo della mostra "Monochrome Malerei" a Leverkusen e a luglio tradotto sulla rivista giapponese Geijutsu Shincho - in cui ridicolizzava gli espressionisti astratti e negava ogni forma di espressione, rappresentazione e principio di composizione. Il M. ammetteva solo distese di "un bianco che non è un paesaggio polare", una sensazione, un simbolo: "una superficie incolore che è una superficie incolore, anzi […] che è e basta". Poco coerentemente, nei nuovi achromes il M. integrò spugna sintetica (1959), riquadri di feltro (1959-60), lastre di polistirolo espanso, cristalli di cloruro di cobalto, riquadri di ovatta e cloruro di cobalto cangianti al variare dell'umidità (1960), cotone idrofilo, panno cucito a riquadri, polistirolo trattato con vernice fosforescente (1960-61), peluche (1961), cotone idrofilo a batuffoli, fibra artificiale, panini coperti di caolino (1961-62), pallini di polistirolo, ghiaia ricoperta di caolino o pacchi avvolti in carta da imballaggio, sigillati e montati al centro di un supporto (1962).
Nel giugno 1960, invitato a Copenaghen dal gallerista A. Køpcke, il M. espose le prime Uova sode "firmate" con l'impronta digitale; quindi rimase a lavorare per tre settimane nella fabbrica di vestiario Angli a Herning, dell'industriale mecenate A. Damgaard, che ospitò l'artista e mise a disposizione tecnici, macchinari, uno stipendio, in cambio di alcune opere.
Il M. si lanciò in progetti demiurgici di duplicazione artistica della natura: grandi Corpi d'aria pulsanti al ritmo del respiro, una parete pneumatica pulsante, un boschetto di cilindri gonfiabili e un robot alimentato a energia solare, i cui moti seguissero il ciclo del giorno e della notte. Perseguendo una ricerca sull'interazione tra moto e luce, progettò Corpi di luce assoluti, il cui prototipo era una sfera di gomma sollevata da getti d'aria compressa. Più fattibili, realizzò "sculture" con singole uova marchiate dall'impronta del pollice e fissate su piccoli piedistalli e uova inglobate in blocchi di resina acrilica. Il 4 luglio tracciò una linea di 7200 m su un rullo di carta nella tipografia del Herning Avis. Chiusa in un cilindro metallico, l'opera doveva essere seppellita (non lo fu mai) per essere un giorno casualmente scoperta (ora Herning, Kunstmuseum) e costituiva l'avvio di una presumibile serie di linee da realizzare in varie città del mondo, la cui lunghezza complessiva avrebbe eguagliato quella di un meridiano terrestre.
Tornato a Milano, il M. continuò a usare le uova come materiale artistico, segnandone ancora alcune con l'impronta digitale per poi adagiarle in ovattate cassettine di legno. Il 21 luglio organizzò l'evento "Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte", che chiuse l'attività di Azimut.
Il M. bollì 150 uova e le fece mangiare al pubblico, che inghiottì "un'intera esposizione" in 70 minuti. La pseudoliturgia, parodia della comunione, demistificava il potere del genio artistico e lo elargiva al pubblico attraverso l'ingestione di un prodotto presumibilmente impregnato di arte. Riadattando in chiave materialista il misticheggiante rituale attuato da Klein nella mostra-evento Le vide (1958) - il cui pubblico bevve cocktail blu - il M. proseguì nel minare la gerarchia tra alto e basso, rituale e banale, sacro e materiale, confondendo arte, vita e prodotto.
Nel gennaio 1961 il M. iniziò a firmare il corpo di modelle come Sculture viventi, rilasciando certificati di autenticità. In aprile firmò altre sculture viventi - nonché una scarpa degli artisti F. Angeli e M. Schifano - in occasione della mostra "Manzoni-Castellani" alla galleria La Tartaruga di Roma. Fino al giugno 1962 firmò 73 persone, inclusi critici, galleristi, artisti. Nel contempo realizzò (gennaio 1961) la Base magica, piedistallo che conferirebbe lo status di opera d'arte a chi vi salga sopra, riprendendo i precedenti delle Anthropométries e i certificati di vendita di "zone di sensibilità pittorica immateriale" di Klein, o gli attestati rilasciati da Tinguely per le pitture dei Métamatics, o da Ben Vautier a chi volesse essere considerato opera d'arte vivente.
Nell'agosto 1961 il M. presentò ad Albisola Marina esemplari di Merda d'artista, un multiplo di 90 scatolette da 30 grammi di feci "conservate al naturale", inscatolate a maggio e offerte al prezzo corrispondente alla quotazione dell'oro.
Opera sconcertante quanto l'esposizione dell'orinatoio da parte di Duchamp, Merda d'artista ha alimentato una vasta esegesi: irrisione dei cibi in scatola dei supermercati (Dante); contestazione dell'omogeneizzazione della società dei consumi; denuncia dell'estetica manipolatrice del packaging (Celant); critica della mercificazione dell'arte e sabotaggio del feticismo collezionistico; confutazione che il lavoro artistico sia non-alienante e riflessione sul rapporto tra l'artista, i propri mezzi di produzione e la confusione tra valore estetico e valore di scambio; esposizione tautologica del corpo umano come produttore di segni (Celant); richiamo all'interpretazione freudiana dell'interesse per il denaro come sublimazione del piacere per i propri escrementi della fase dell'eros anale (Silk, 1993); allusione all'alchemica equazione feci-oro e allo sciamanesimo per l'uso artistico di fluidi corporei. Al M. non sfuggì certo il potenziale scandalizzante del suo gesto, che estremizzava fino al ridicolo il cliché romantico-espressionista dell'arte come frutto di rovello esistenziale, con uno slittamento da "un'arte prodotta da impulsi e bisogni psichici e quella prodotta da impulsi e bisogni fisici" (ibid., p. 67).
Dalla fine del 1960 e per tutto l'anno successivo il M. seguì un fitto calendario espositivo internazionale, partecipando, tra l'altro, a una rassegna astrattista a Taipei, alla collettiva del gruppo "Zero" curata da Mack e Piene a Düsseldorf (con suoi testi riprodotti nella rivista-catalogo Zero n. 3) e a "Nove Tendencije" del gruppo "Gorgona" di Zagabria.
Il M. continuò a viaggiare per proporre a galleristi sue opere, incluse le scatolette di feci, dialogare con artisti e disseminare sculture viventi. A Parigi (maggio 1961) incontrò Arman (F. Armand), Tinguely e Klein, con cui non instaurò il rapporto di lavoro cui probabilmente aspirava. A giugno a Rotterdam rivide i suoi contatti olandesi; quindi scese a Nizza sperando di conoscere di persona Vautier, al cui lavoro si sentiva affine. Tornato a Copenaghen a settembre, espose da Køpcke Sculture viventi e Merda d'artista e, fino a metà dicembre, fu ospite della fabbrica Angli di Herning.
Qui, tra le altre opere, realizzò una seconda base magica e un parallelepipedo di ferro - collocato nel giardino della fabbrica e recante l'epigrafe capovolta Socle du monde e una dedica a Galileo Galilei, a suggerire che l'intero globo terrestre poggia su esso, arrivando al paradosso dell'appropriazione totale del mondo come opera d'arte (entrambi a Herning, Kunstmuseum). Costruì anche achromes "scultorei" - una sfera rivestita di pelliccia di coniglio bianco e una balla di fieno coperto di caolino (Ibid.) - e "quadri pelosi", ossia achromes composti da ciuffi di fibra sintetica. Complessivamente, negli ultimi progetti, sospesi tra atteggiamento neodadaista e creazione di una tassonomia parallela della realtà, il M. espanse l'azione dell'arte all'architettura e all'ambiente, manipolando oggetti banali, segni linguistici, il proprio corpo, la vita e la morte, con le sculture viventi e l'idea, palesemente impraticabile, di esporre cadaveri in blocchi di plastica trasparenti, in una totale sovrapposizione tra arte e mondo.
Nel 1962 le condizioni di salute del M. - peraltro un fortissimo bevitore - si aggravarono, ma continuò a viaggiare ed esporre. A gennaio 1962 era ad Anversa per la mostra "Zero" (gruppo di Rotterdam); a febbraio a Bruxelles per una doppia personale con Castellani, e vi rimase - visitando anche artisti in Olanda - fino a marzo, quando prese parte all'"Ekspositie Nul" allo Stedeljik Museum di Amsterdam, organizzata dall'amico Peeters.
Il M. si entusiasmò per l'evento, proponendo numerosi progetti, come ingombrare una sala con "corpi d'aria" di 1,20 m di diametro, riempire di fiato una stanza sigillata o realizzare una parete fosforescente. Poté realizzare in situ un achrome in fibra sintetica di oltre 3 m (distrutto) ed espose lavori precedenti, inclusi achromes in fibra, in batuffoli di cotone, una "linea" e Merda d'artista.
All'inizio del 1963 il M. partecipò alla mostra "Pittura monocroma" a Firenze; e si recò a Bruxelles per una personale alla galleria Smith, da dove raggiunse Amsterdam per la progettazione di "Nul 2" a Eindhovern.
Morì a Milano il 6 febbr. 1963 per un infarto che lo colse nello studio di via dei Fiori Chiari.
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